Terrorismo: è possibile prevedere gli attentati?
di LOOKOUT NEWS (Tiziano Li Piani)
Gli attacchi di matrice jihadista degli ultimi anni hanno colto impreparato l’Occidente in più occasioni. Ma arginare la minaccia è possibile
È una circostanza generalmente nota che la società moderna sia esposta a un numero crescente di rischi naturali progressivamente più complessi da decifrare e gestire. In un’intervista a L’Espresso di circa dieci anni fa, il sociologo tedesco Ulrich Beck evidenziava che se una volta le cose erano «date per sicure» sino al verificarsi di un errore o di un danno, oggi qualsiasi cosa vale come non sicura solo perché «potrebbe diventarlo». E in quest’epoca di incertezza “istituzionalizzata”, le stesse “previsioni scientifiche” vengono accolte spesso con diffidenza dal cittadino.
Ciò che infatti è meno noto è che una “probabilità di fallimento” sia già quantificata in molti settori della società. Ad esempio, nel decreto ministeriale del 2008 Norme Tecniche per le Costruzioni le verifiche di sicurezza delle strutture vengono effettuate secondo il metodo semi-probabilistico agli stati limite, ovvero confrontando valori di sollecitazione e resistenza calcolati in frattile, ossia, semplificando, quel valore associato alla variabile (aleatoria) che ha una certa probabilità di essere minore del valore stesso.
Ogni opera civile realizzata dall’uomo è dunque intrinsecamente soggetta a una aleatorietà statistica. A dire il vero, questa percentuale di insicurezza, da qualcuno definita negli studi di ingegneria ironicamente “la percentuale di Dio”, è oggi molto ridotta proprio in virtù del progresso scientifico. Ad esempio, nel campo dell’ingegneria sismica si stanno progressivamente affermando anche a livello commerciale progettazioni strutturali basate su analisi dinamiche non lineari, ovvero simulazioni del comportamento di una struttura modellata fedelmente alla realtà e sottoposta a reali eventi sismici registrati nel passato o generati mediante algoritmi stocastici.
Ciò nonostante, pur considerando solo le opere costruite conformemente agli standard vigenti, le catastrofi naturali sono tuttora suscettibili di provocare danni all’uomo e alla sua proprietà anche nell’epoca moderna, come alcune catastrofi hanno confermato nel recente passato.
Fenomeno del terrorismo: come affrontarlo
Ora, se l’uomo fa parte della natura, anche le sue azioni, per quanto sofisticate, sono eventi naturali. Anche un fenomeno come l’attentato terroristico rientra pertanto in quelle calamità da cui le istituzioni della società moderna hanno il dovere di proteggere i propri cittadini.
Eppure, i recenti attacchi compiuti in alcune delle maggiori capitali del mondo da oltre due anni a questa parte hanno svelato una profonda mancanza di conoscenza e preparazione rispetto alla “nuova” minaccia terroristica. È indubbio che i servizi di intelligence, in primis quello italiano, svolgano una efficace azione di contrasto e prevenzione sul territorio, disinnescando cellule terroristiche e identificando cause e rimedi ai processi di radicalizzazione prima che si verifichi un attentato. Tuttavia, una visione moderna della società non può prescindere dalla consapevolezza della ineluttabilità di un attentato, anche solo quale mera eventualità statistica.
Beninteso, esistono e sono già in vigore in molti Paesi del mondo normative anti-terrorismo per target sensibili e strategici, che però nella maggior parte dei casi si limitano ad analizzare e limitare gli effetti sulle strutture delle onde d’urto (onde che si propagano a una velocità superiore alla velocità del suono) provocate da eventi balistici o detonativi, senza considerare l’elemento umano alla base di tali sollecitazioni. Ovvero ignorando l’essere umano che cammina armato di coltello, che nasconde uno IED (ordigno esplosivo improvvisato) sotto una vettura o che indossa la cintura esplosiva che attiverà a tempo opportuno.
Un database per quantificare il fenomeno
Negli anni del terrorismo di matrice jihadista targato ISIS, l’opinione pubblica continua a chiedersi se un comportamento di un uomo che si appresta a compiere un attacco in una città d’Europa possa essere così difficile da prevedere rispetto, ad esempio, a una scossa sismica. Questa è stata la domanda alla base di una ricerca condotta per l’Istituto Alti Studi Strategici e Politici di Milano (IASSP) e presentata in anteprima in parlamento il 10 aprile del 2017. La ricerca si intitola Operative Guidelines for the Protection of Places of Worship. A new approach toward security design of sensitive buildings.
La prima parte del progetto, finalizzato in ultima analisi alla produzione di linee guida per la prevenzione e mitigazione dei danni provocati da attentati terroristici perpetrati in luogo di culto, perviene alla risposta del quesito mediante il nuovo I.T.A.W. Database. Sono già disponibili correntemente alcune liste complete e affidabili che raccolgono informazioni significative su attentati perpetrati dal terrorismo di matrice islamista negli ultimi venti anni. La ricerca ha fatto però un ulteriore passo in avanti, creando uno strumento in grado di ricostruire in forma parametrizzata l’intera dinamica degli eventi che sottende ciascun attentato, sin dalle sue fasi preliminari, desunte da fonti di informazione pubblica.
(Una delle persone ferite nell’attentato alla metro di San Pietroburgo, 3 aprile 2017)
Dall’analisi prodotta dall’I.T.A.W. Database emerge chiaramente l’esistenza di pattern comportamentali legati alla tipologia di attentato, ovvero all’arma adottata per perpetrarlo. Trend definiti che non si riferiscono solo al modus operandi adottato, in alcuni circostanze anche facilmente immaginabile, ma che sono possibilmente riconducibili anche al giorno della settimana prescelto, al momento della giornata e alla fase liturgica esplicata all’interno del target. Dai risultati sembrerebbe emergere che, a prescindere dalle diverse modalità e forme con cui avviene il processo di radicalizzazione, l’addestramento si concretizza sempre nell’applicazione operativa di modelli consolidati di urban warfare.
Tuttavia, esiste un ulteriore livello di lettura della questione, più profondo. Infatti, il progetto conferma che il comportamento umano, anche quando esplicato da colui che viene riconosciuto come un “folle”, sia intrinsecamente connotato da un livello di astrazione e razionalità che lo rende infine più prevedibile di un qualsiasi movimento del terreno. E costituisce pertanto un primo approccio volto non solo a decodificare ma anche a “modellare” la componente umana che costituisce la vera minaccia di un attacco terroristico.
L’attentato a Westminster
D’altronde, anche i recenti avvenimenti di cronaca confermano l’urgenza di un nuovo paradigma di valutazione e risposta nei confronti di attentati terroristici perpetrati in suolo urbano. Ad esempio, è interessante valutare l’attacco avvenuto nel centro di Londra lo scorso 22 marzo 2017. Secondo la ricostruzione dell’accaduto, il target finale dell’attentato era il parlamento di Londra, contro i cui cancelli è terminata la corsa della Hyundai Tucson guidata dall’attentatore da cui questi è sceso armato di coltello uccidendo una guardia inerme prima di essere a sua volta neutralizzato. Tuttavia, l’impatto più significativo provocato dall’attentato si è configurato piuttosto nel tragitto intrapreso per raggiungere il palazzo, ben prima dei suoi cancelli e, in particolare, a partire dal ponte di Westminster attraversato per raggiungerlo, dove l’attentatore ha provocato quattro morti oltre al ferimento di decine di persone.
(I primi soccorsi dopo l’attacco a Westminister del 22 marzo 2017)
Gli attacchi alle Chiese
Tale vulnerabilità era stata già sollevata nel gennaio del 2017. L’applicazione analitica di possibili minacce terroristiche su modelli planimetrici in cui le Chiese possono essere inserite, aveva rivelato che il pericolo per cose e persone derivante da un attentato terroristico di qualsivoglia natura, pur diretto al singolo edificio, si estende a una porzione di spazio urbano esterno allo stesso.
Questo margine è stato definito nella ricerca «spazio di influenza» dell’edificio. Nel caso di una Chiesa, questo spazio comprende il sagrato, la possibile piazza antistante e una porzione delle sue strade di accesso. Lo spazio di influenza non viene determinato dalla tipologia di minaccia terroristica, bensì è una caratteristica intrinseca dell’edificio, definito dall’insieme di quelle relazioni spaziali che esso instaura con l’ambiente circostante in relazione alla funzione svolta e alla morfologia urbana. Questa considerazione è alla base di un nuovo modo di intendere la protezione dell’edificio sensibile in ambito di antiterrorismo, garantita attraverso la messa in sicurezza del tessuto urbano in cui è inserito. Già nel passato l’ambiente era stato riconosciuto come un elemento cruciale per la difesa dagli attacchi terroristici.
Tuttavia, le prospettive con cui viene concepito adesso sono diametralmente opposte. Secondo la CPTED (acronimo di “crime prevention through environmental design”, una filosofia di pensiero nata in America agli inizi degli anni Settanta) l’ambiente è la soluzione al problema: la sua modifica deve costituire un deterrente al comportamento criminoso. Ad esempio, la massiccia e visibile adozione di CCTV (closed-circuit television, telecamere a circuito chiuso), è pensata per scoraggiare il possibile attentatore. Inoltre, l’implementazione di cancelli delimita chiaramente lo spazio pubblico da quello privato, che però finisce con l’influenzare negativamente anche l’esperienza urbana del comune cittadino.
(La chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia, dove il 26 luglio 2017 due affiliati a ISIS hanno sgozzato un prete)
Come rendere più sicure le città
Al contrario la città moderna, per potersi definire evoluta, dovrà essere progressivamente più aperta, democratica ed estetica, libera di consentire in assoluta anonimità la piena esperienza estetica e civile a qualunque persona, a prescindere da fede, origine e status sociale, non intenzionata ad arrecare danno ai suoi simili. Dunque lo spazio di influenza, ovvero il “problema”, deve costituire un confine invisibile ma sicuro, garantito mediante l’implementazione di sistemi tecnologicamente avanzati, invisibili e anonimi, che consentano un tempestivo riconoscimento della minaccia terroristica e criminale e una efficace risposta selettiva. Il modello proposto ovviamente sollecita una ridefinizione delle state policy della città moderna.
(Roma, soldati dell’esercito italiano presidiano la zona del Colosseo)
In conclusione, a prescindere dalla proposta contingente, ciò che emerge chiaramente è la necessità di ripensare radicalmente il modo in cui viene inteso attualmente il terrorismo, che deve essere affrontato con lo stesso approccio con cui le istituzioni già si prodigano ad assicurare protezione ai cittadini nei confronti di altre calamità naturali.
Questa consapevolezza si traduce nell’urgenza di nuovi strumenti normativi capaci di convertire conoscenza acquisita in disposizioni operative. In questo senso, in Italia alcuni membri del COPASIR stanno già concretamente promuovendo con lungimiranza questo cambiamento di pensiero, destinato a garantire più sicurezza ai cittadini e all’intero sistema paese. Se l’uomo è, e forse resterà la prima minaccia di se stesso, con lo sviluppo di strumenti sempre più innovativi potrà esserne anche la soluzione.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/attentati-terrorismo-isis-prevenzione/
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