Il primo turno delle elezioni legislative francesi, depositarie di un’importanza paragonabile a quella del voto presidenziale, hanno visto una netta affermazione del movimento La République En Marche! (LREM) del neopresidente Emmanuel Macron, che conquistando assieme agli alleati del MoDem il 32,32% delle preferenze ha posto le basi per l’ottenimento di una larga maggioranza in Parlamento: nelle proiezioni, infatti, si prevede che la formazione di Macron e i suoi alleati possano conquistare almeno 400 dei 577 seggi dell’Assemblée Nationale nei ballottaggi previsti per domenica 18 giugno.
Sulla scia della vittoria di Macron alle elezioni presidenziali di maggio, l’affermazione di LREM alle legislative sancisce la definitiva evaporazione del tradizionale sistema della Quinta Repubblica francese: il movimento del Presidente ha infatto conquistato un numero di suffragi superiore alla somma dei voti ottenuti dalla coalizione di centro-destra facente capo a Les Républicains (fermatisi al 15,77%), che ha conquistato il 21,56%, e dall’oramai disastrato Parti Socialiste, inchiodato a un misero 7,44%. L’evaporazione dei partiti tradizionali è stata indotta da una manovra tattica di Macron che ha avuto sicuramente l’effetto di drenare consensi dalle storiche formazioni della Quinta Repubblica: la nomina del gollista Eduard Philippe, sindaco della cittadina di Le Havre, alla guida del governo ha consentito a Macron di conseguire un ampliamento “orizzontale” della sua base di consensi e di compattare in suo sostegno una fascia consistente del tradizionale di centro-destra, che è andato a sommarsi al voto liberale e ai frutti del declino socialista. Il parlamento dominato dalla formazione di Macron è destinato a consolidarsi come un’assemblea della società civile, dato che tra le principali peculiarità della corsa di La République En Marche! verso le attuali elezioni spicca la decisione di Macron di candidare, in buona parte dei 577 collegi, cittadini rimasti lungamente avulsi dalla vita politica. Dal matematico Cédric Vallini all’ex torera occitana Marie Sara, Macron ha presentato una compagine eterogenea al cui interno i “volti noti” della politica sono oltremodo limitati: in tal senso, il Manchurian Candidate che ha conqusitato l’Eliseo ha saputo cavalcare il vento della contestazione verso le formazioni politiche tradizionali, rifiutando i rischi che prese di posizione come quella del sostegno accordato dall’ex Premier Manuel Valls potevano comportare. Macron prosegue nella sua illusoria pretesa di rappresentare l’alternativa a un sistema di cui è manifestazione e prodotto: oltre il “Partito della Nazione”, oltre il concetto stesso di governo tecnico, il successo di LREM alle elezioni legislative rappresenta l’apice della continua, reiterata e ininterrotta procedura di costruzione del “personaggio” Macron. L’affiancamento di una maggioranza parlamentare di società civile a un governo che ambiguamente professa la sua natura di formazione d’unità nazionale rappresenta il miglior invito al completamento della dissoluzione di Lés Republicains (pronosticata come prima forza di opposizione in Parlamento con circa un centinaio di seggi) e del Partì Socialiste, al cui interno non mancheranno in futuro frange di “responsabili” pronte a correre in soccorso al vincitore di turno.
La strada sembra dunque aperta per l’implementazione concreta del programma di governo di Macron, che come ricordato da Anna Maria Merlo del Manifesto è destinato a improntarsi su due capisaldi: da un lato, una nuova riforma del lavoro destinata ad essere annunciata con una speciale ordinanza dal Consiglio dei Ministri il 28 giugno prossimo e a introdurre ulteriore flessibilità, un passo in più verso l’uberizzazione del Paese, in un mercato già travolto dalla Loi Travail di Hollande e Valls; dall’altro, scrive la Merlo, un “progetto di legge anti-terrorismo che, in vista dell’uscita dallo stato d’emergenza, prevede di far rientrare nel diritto comune gran parte delle misure d’eccezione”, dagli arresti domiciliari preventivi alle perquisizioni domiciliari. La preponderanza parlamentare di LREM e dei suoi alleati è assicurata dalla ristrettezza della rappresentanza delle principali forze di opposizione concreta del Paese, La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e il Front National di Marine Le Pen, che per motivi diversi eleggeranno all’Assemblée Nationale pattuglie relativamente esigue. Se per La France Insoumise era prevedibile una riduzione rispetto al risultato del primo turno delle presidenziali, che avevano visto il leader della sinistra radicale Mélenchon avvicinarsi alla soglia del 20%, e si può considerare positivo il prospetto di 15-20 seggi assegnati dalle proiezioni, il tracollo del Front National è sonoro e incontestabile. Quest’ultimo, infatti, si è fermato poco sotto la soglia dei 3 milioni di voti, chiudendo con un 13% che ridimensiona decisamente una formazione rimasta a lungo, in prospettiva, il partito di maggioranza relativa e che ora paga in maniera massiccia gli errori macroscopici compiuti da Marine Le Pen e dai suoi a partire dalla corsa verso il ballottaggio per l’Eliseo.
En Marche! è stato il primo partito con il 32%, ma con il sistema maggioritario potrebbe avere circa il 70% dei seggi del prossimo Parlamento francese
Macron vede campo aperto di fronte a sé: vinte le presidenziali, blindata in prospettiva la maggioranza in Parlamento, apparentemente non resta che spazio per le entusiastiche celebrazioni dei sostenitori del Manchurian Candidate, della mitologica alternativa di sistema destinata a garantire un volto giovane, fresco e rinnovato a un establishment sempre più sotto contestazione in Francia e nel resto d’Europa. “Due mesi fa era un’ipotesi politica e un’incognita elettorale; da ieri sera assomiglia a un Bonaparte che contempla il campo di battaglia dove ha vittoriosamente lanciato la cavalleria leggera”, commenta Cesare Martinetti su La Stampa, esaltando “la cavalleria e l’orgoglio” di Macron, “leader già entrato nella storia della Quinta Repubblica” in un’epocare dove nella storia stessa si entra con la forma prima ancora che la sostanza. Tuttavia, nel successo di LREM e dei suoi alleati si intravedono, apparentemente impercettibili agli entusiasti commentatori nostrani, delle crepe di non secondaria misura che potrebbero, sul lungo periodo, incrinare la costruzione macroniana. In primo luogo, la corposa ed eterogenea maggioranza potrebbe ritrovarsi ben presto disconnessa dal polso reale del Paese; la svolta mercantilista e l’ortodossia liberale promesse da Macron fanno presagire importanti divaricazioni di aspre tensioni sociali già avvertitesi da un lato all’altro dell’Esagono. A ciò si aggiunge l’elevatissima astensione, che al culmine di una crescita ultratrentennale nel contesto delle elezioni legislative (era al 22% nel 1986, al 35,58% nel 2002) ha raggiunto la soglia del 51,29%, portando di conseguenza il Parlamento a nascere nell’indifferenza e nella disillusione della maggioranza assoluta dell’elettorato. Proprio in questa enorme astensione, cresciuta di quasi 9 punti dal primo turno del 2012, si può leggere la natura della disillusione dei francesi verso il sistema politico: dagli elettori lepenisti delusi dal contraccolpo del ballottaggio presidenziale a vaste fette della base socialista e repubblicana e per i cittadini delle aree più depresse di Francia, si sta creando un meccanismo di disaffezione per le istituzioni poltiche che danno l’idea del declino continuo della Quinta Repubblica. L’opposizione più grande, per Macron, sarà proprio il Paese stesso: un Parlamento praticamente monopartitico avrà il suo contraltare nelle piazze, nella Francia profonda, nelle categorie sociali maggiormente squassate dalla duratura crisi del Paese. Nonostante il travolgente successo della formazione del Presidente, la sensazione che la Francia non sia destinata a morire macroniana è confermata da pochi, significativi dati: l’altra faccia della medaglia ignorata da buona parte degli edificatori della retorica macronian-bonapartista.
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/macron-le-roi/
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