L’infilata è stata notevole. Prima Time Magazine, con un reportage spietato da Kiev, protagonista un presidente Zelens’kyj che, nelle confidenze dei suoi stessi collaboratori, sembra aver perso il senso della realtà. Poi The Guardian, impegnato a raccontare la disillusione e il pessimismo degli ucraini mentre la guerra si prolunga.  Quindi il Wall Street Journal, che invita a rimettere i piedi per terra quanto a sconfitta della Russia. Per chiudere Gazeta Wiborcza, il più importante quotidiano polacco, che titola “Mosca trionfa, l’Occidente esita”, e parla di “vergognoso fallimento” (nostro) nella guerra in Ucraina. Questo ammosciamento generale mi fa poca impressione: è assolutamente speculare al ridicolo entusiasmo che su queste stesse testate dilagava un anno fa, quando Zelens’kyj e i suoi parlavano addirittura di marcia su Mosca. Ho scritto sempre che questa guerra non avrà vincitori ma solo sconfitti e resto del mio parere. Anche per quanto riguarda la Russia che, al di là delle pesanti conseguenze militari, politiche ed economiche, spostandosi verso l’Asia rinnega la sua anima più vera e profonda.

Resto del mio parere anche su un altro fatto, che cercai di sottolineare più di un anno fa, quando nella nostra povera provincia informativa impazzava la caccia al putiniano. Scrissi per Lettera da Mosca che i veri putiniani “cioè quelli che fanno gli interessi di Vladimir Putin e della classe dirigente russa che abita il Cremlino, sono proprio i sostenitori della guerra senza se e senza ma, della guerra da condurre fino allo sfinimento delle forze armate russe e/o al tracollo economico della Russia e a quello sociale del popolo russo, considerato colpevole quanto i suoi leader”. E anche qui non era difficile azzeccare il pronostico.

Tutto quello spirito combattivo, tutta quell’ansia di “fargliela vedere”, infatti, si basava su previsioni minate alla base da  due errori fondamentali, da due sottovalutazioni fatali. Il primo errore: sottostimare la Russia in generale e il Cremlino in particolare. Non sembra ma erano e sono molti quelli convinti che avesse ragione il povero (perché è morto giovane e perché non era molto acuto) John McCain quando diceva che la Russia non è altro che una pompa di benzina travestita da Stato. Piace vincere facile. E invece eccola lì la tua pompa di benzina, che resiste a migliaia di sanzioni, riconverte l’apparato industriale in un’economia di guerra e tira avanti più che bene. E poi, altra previsione sbagliata: tutti a immaginare rivolte di piazza e complotti anti-Putin. Nulla di tutto questo, Prigozhin parzialmente a parte. A colpi di servizi segreti, intimidazioni e leggi repressive il Cremlino ha tenuto il controllo del Paese. Cosa che peraltro non sarebbe riuscita (e anche questa banalità la scrivo da molti anni) se dietro Putin non ci fosse anche il consenso di una parte più o meno importante della popolazione.

L’altro errore fondamentale è stato sottovalutare la situazione internazionale. Ovvero, non rendersi conto che c’era tutta una serie di Paesi che della politica occidentale a trazione Usa ne aveva piene le tasche. D’altra parte, come poteva essere diversamente dopo l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia  ecc. ecc.? Dopo l’ascesa della Cina e dell’India, dopo gli infiniti pasticci americani in America Latina? Come potrebbe essere diversamente se il pensiero del responsabile della politica estera (e quindi della diplomazia) dell’Unione europea, Josep Borrell, è che l’Europa è un giardino e tutto il resto una giungla? Questo ha fatto si che, al momento dello scontro anche economico con l’Occidente, la Russia trovasse un sacco di sponde. L’Iran, la Cina, certo. Ma anche Paesi da sempre alleati dell’Occidente: per esempio l’Arabia Saudita, che nell’Opec+ collabora con la Russia per tenere discretamente alti i prezzi del petrolio, tanto che il famoso “tetto” dei 60 dollari a barile, decretato dal presuntuosissimo G7, è andato subito a farsi benedire. Come testimonia il Financial Times, il petrolio russo è andato venduto a non meno di 75-80 dollari a barile per tutto l’anno. Quelle sponde hanno aiutato la Russia a resistere alle sanzioni e a chiudere il 2023 con un attivo di 75 miliardi di dollari nella bilancia commerciale.

Il risultato di questa incredibile approssimazione politica è quello che abbiamo sotto gli occhi e che i giornali fin qui citati (nessuno sospettabile di putinismo, vero?) stanno cominciando a descrivere. E dunque avevo ragione. I putiniani veri erano quelli che incitavano alla guerra, senza rendersi conto del pasticcio in cui andavamo a infilarci. Un pasticcio, peraltro, che il radar delle opinioni publiche ha intercettato da tempo. Davvero nessuno nota  che quasi tutti i Governi europei che erano in carica nella prima fase della guerra sono stati mandati a casa come in Slovacchia (dove ora è premier quel Robert Fico che è considerato filorusso) o in Finlandia o in Italia o nel Regno Unito, o feriti a morte come in Polonia (lì avevano fiutato l’aria e avevano cominciato a litigare con l’Ucraina ma il Pis di Jaroslaw Kacsinski non riuscirà a formare una coalizione). Altrove l’hanno sfangata con esiti paradossali come in Spagna dove il premier Sanchez, pur di restare in carica, si è acconciato all’amnistia per i separatisti catalani. E l’autonomismo catalano, per molti qui da noi e in Europa, a suo tempo era un prodotto degli hacker russi!

Sapete quali sono stati i due massimi putiniani? Angela Merkel e Francois Hollande. Hanno confessato, anche con un certo orgoglio, di aver lavorato, dopo il Maidan del 2014 e la ribellione del Donbass, non per realizzare gli Accordi di Minsk o comunque trovare una via per la pace ma per rafforzare militarmente l’Ucraina. Non sarebbe stato meglio invece cercare una soluzione pacifica? Oggi davvero pensiamo che, rinunciando a priori a quella prospettiva, Merkel e Hollande abbiano fatto un favore all’Ucraina e all’Europa?