di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1. Mi perdonerete se nell’affrontare il problema dello ius soli svolgerò alcune premesse, traendole da argomenti già trattati.
Il problema, come vedremo, è complesso.
Non di meno, se avrete la pazienza di seguire fino in fondo, si tratta di una questione che può essere assunta in una prospettiva diversa da quella che suscita oggi le più grandi (e peraltro legittime) resistenze. E questa prospettiva si può riassumere in un detto: “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi“.
Tutto, abbastanza naturalmente, parte dalla crisi demografica del nostro Bel Paese…
Ma prima di affrontare un “richiamo” su questo aspetto, mi piace rammentare le parole diMortati, (per chi si fosse messo “in ascolto” da poche puntate, si tratta del maggior costituzionalista italiano del dopoguerra) il cui senso, vi parrà chiaro leggendo il seguito del post (dalle “Istituzioni di diritto pubblico, Tomo I, pagg.125-126):
“Il criterio per il conferimento della qualità di cittadino è diversamente determinato dai vari diritti positivi, ai quali pertanto è da fare riferimento. In generale può dirsi che criteri possibili sono quelli desunti:
a) dal rapporto di discendenza naturale (ius sanguinis) per cui è cittadino colui che è nato, anche all’estero, da un padre (ndr; oggi qualunque genitore) che sia cittadino;
b) dal fatto della nascita nel territorio dello Stato, all’infuori di ogni considerazione della cittadinanza dei genitori (ius soli). Criterio questo che, quando è applicato con carattere di assolutezza, (come avviene in Stati a basso livello di natalità e che quindi tendono ad aumentare artificiosamente il numero dei cittadini), conduce a conseguenze aberranti…”
Mi fermerei qui perchè tanto basta a trarre una prima conclusione: nell’odierno universo massmediatico, Costantino Mortati verrebbe considerato un fascista xenofobo! Costantino Mortati…
2.
A proposito di crisi demografica, cioè del
“perchè”, prima (in nome del
lovuolel’€uropa)
gli italiani siano indotti a non fare figli e, poi, ciò gli venga imputato come colpa giustificatrice dell’obbligo (altamente “etico”?) di accettare l’immigrazione, ci pare giusto, preliminarmente,
rammentare che tutto ciò:“…presuppone l’avvenuto consolidamento del sistema di “costituzione materiale” neo-liberista globalizzato, che sancisca, (
ordoliberisticamente in UEM)…la “
durezza del vivere“, (del cittadino, da privare delle sue parassitarie “sicurezze”) come
nuovo principio eticamente sano, da imporre
extra e contra Constitutionem ai propri cittadini; non a caso tale durezza è implicitamente esaltata, come
grund norm del nuovo “ordo“, dalla corrente culturale €uropeista che
discende da Ventotene.Quindi smantellamento progressivo, e intensificabile, dello Stato sociale, mediante tetti al deficit e politiche monetarie deflazioniste, e, inevitabilmente, svuotamento del diritto al lavoro e all’abitazione, nonchè alla piena assistenza sanitaria pubblica, sanciti dalla Costituzione: artt.1, 4, 32, e 47 Cost..
Tale progressivo e, dopo la crisi del 2007-2008, accelerato svuotamento, non può non essere alla base di una ben prevedibile crisi demografica, determinata dall’obiettivo scoraggiamento della natalità (che, infatti, inizia a manifestarsi proprio con l’affermarsi del vincolo esterno, all’inizio degli anni ’80);
DA NOTARE COME IL RECENTE INCREMENTO “RELATIVO” DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE, cioè NON DEI NATI DI CITTADINANZA ORIGINARIA ITALIANA, SI COLLOCHI IN PIENO IN TEMPI DI EURO, CIOE’ DI VINCOLO ESTERNO €UROPEO INTENSIFICATO, E QUINDI DI ACCELERAZIONE DELLA DE-SOVRANIZZAZIONE DEMOCRATICA ITALIANA.
2.1. Aggiungiamo una serie di eloquenti dati complementari, che confermano come l’aumento più recente della popolazione residente in Italia – residente ma non titolare di cittadinanza- sia dovuto al fenomeno della immigrazione.
Le nascite in Italia diminuiscono col minor benessere delle famiglie coincidente con il “più €uropa”.
E questo, come abbiamo visto nel soprastante grafico, non inizia da ieri, ma almeno dall’entrata in vigore dello SME: il decennio di “arresto” della nascite, non casualmente, inizia nel 1981, anno del fatidico divorzio tesoro-Bankitalia.
Ecco quindi la curva di Phillips demografica da “più €uropa” e da austerità espansiva:
Il pareggio di bilancio, che implica che il risparmio sia esclusivamente realizzato attraverso l’eventuale saldo attivo dei conti con l’estero, è dunque di per sè uno strumento ottimale di limitazione dei costosi diritti sociali: pensioni, assistenza pubblica, assistenza sanitaria “universale”, istruzione pubblica, ed erogazione di ogni tipo di servizio di interesse collettivo in regime di diritto pubblico.
4. Gli immigrati (in Italia), ove aventi un titolo di residenza legittimo (secondo le leggi dello Stato), sono esclusi da questo fenomeno?
Ovviamente no: anche loro sono stati e sono tutt’ora soggetti alla deflazione salariale e ai vincoli di bilancio, per cui, rispetto alla situazione iniziale di arrivo in Italia, – che può collocarsi anche in vari anni o decenni addietro rispetto ai giorni attuali- avranno necessariamente visto la rispettiva situazione peggiorare.
Questo fenomeno è peraltro del tutto prevedibile ed è il riflesso della degradazione dei diritti fondamentali di tipo sociale, – quelli su cui sarebbe fondata la visione umanista della nostra Costituzione- a diritti comprimibili (indefinitamente) in funzione di esigenze di bilancioimposte dall’appartenenza alla moneta unica.
4.1. I non cittadini, legittimamente residenti, infatti, sono, già oggi, a diritto vigente, titolari dei diritti fondamentali, inclusi quelli di prestazione.
Se, come accade nel fenomeno della immigrazione sul territorio italiano, cittadini non italiani si trovino in relazione con le istituzioni democratiche repubblicane, ciò porterà all’applicazione di tutte quelle forme di assistenza umanitaria e dei diritti civili che vengono riconosciuti a “tutti“: per capirlo, basti vedere le norme della Parte I “DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI”, che sono talora formulate in modo da rivolgersi, per l’appunto, a “tutti”,cioè a tutti gli esseri umani sottoposti alla sovranità territoriale e democratica italiana…
Quanto agli stranieri legalmente lavoratori in Italia, il criterio è dunque il seguente: seassistenza sociale e sanitaria (artt.32-40 Cost.) o le altre forme di diritto tutelate in Costituzione – quali l’accesso all’abitazione, 47 comma 2, e alla proprietà in generale, 42 Cost.- sono garantite ai cittadini, altrettanto dovrebbe essere assicurato, in misura tendenzialmente pari, ai non cittadini lavoratori.
Questa parità, finchè sarà conservata la cittadinanza straniera, sarà tendenziale, dato che tale conservazione perpetua il vincolo politico con un’altra comunità nazionale; ma, nondimeno,non potrà tradursi in una posizione addirittura migliore, in termini di efficienza, efficacia e priorità finanziarie, rispetto a quella assicurata ai cittadini italiani.
5. Mettiamo per un attimo da parte l’ultimo passaggio. Cioè la non liceità costituzionale di una “discriminazione al contrario”, cioè la preferenza legislativa per la tutela di non cittadini, nella garanzia dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione.
E’ una situazione paradossale: ma, una volta che si intraprenda la strada del “vincolo esterno” e dei limiti monetari e fiscali, che porta alla de-natalità per
durezza del vivere, questo(apparente) paradosso tende a verificarsi ogni giorno.
Come ben possono rendersi conto ad es;
i terremotati, nelle varie situazioni di
carenza di spesa pubblica per gli interventi di ricostruzione, o le famiglie italiane con genitori disoccupati, rispetto
all’assegnazione delle case pubbliche, in cui anziani soli, a seguito della distruzione sistematica e “austera” delle politiche familiari, e famiglie che hanno subito la denatalità indotta da decenni di politiche deflattive, si vedono “stranamente” sfavoriti.
“IV.3.
La Corte, garantendo il pieno e non solo parziale rimborso (nel caso) delle spese sostenute per il trasporto scolastico dei disabili,
ha tuttavia, in forza dell’inesorabile meccanismo dei saldi di bilancio, vincolati dal patto di stabilità interna,
necessariamente inciso sulla (altrettanto “piena”)
erogabilità di altri servizi sociali finanziati in tutto o in parte, dalla regione, mediante lo stigmatizzato “indistinto” stanziamento: magari avrà determinato che una madre lavoratrice non avesse più posto nell’asilo nido per il bambino (venendone soppressa la stessa struttura); o che un anziano indigente e affetto da malattia cronica non potesse più vedersi assicurata l’assistenza domiciliare.
Non porsi il problema generale di come il pareggio di bilancio incida, in stretta connessione con la questione devoluta alla Corte,
sui complessivi livelli di diritti, tutti egualmente tutelati dalla Costituzione, porta a
comprimerne, o a sopprimerne uno in luogo di un altro, generando un inammissibile conflitto tra posizioni tutelate. Un conflitto che, secondo un prudente apprezzamento della realtà notoria, non può essere risolto scindendo una realtà sociale composta, viceversa,
da elementi interdipendenti;
tale realtà viene, nel suo complesso, sacrificata illimitatamente, in una progressione di manovre finanziarie di riduzione, portate avanti pressocché annualmente, dall’applicazione del pareggio di bilancio e dalla graduale (o anche talora drastica) situazione di de-finanziamento che esso comporta. La sua logica, propria dell’applicazione fattane agli enti territoriali, è infatti quella di una prioritaria allocazione delle risorse al risanamento del debito pregresso e dei suoi oneri finanziari.
IV.4. Non si tratta dunque di tutelare un “pochino” (meno) tutte queste posizioni costituzionalmente tutelate, comunque comprimendole tutte contemporaneamente, ma di
un generale e inscindibile piano di “caduta” (in accelerazione), dovuto alla crisi economica indotta dalla euro-austerità fiscale, con la
disoccupazione (effettiva) record che essa determina e, dunque, con l’oggettivo e notorio (e drammatico)
ampliarsi della sfera dei cittadini aventi diritto alle prestazioni costituzionalmente garantite, cioè
tutelandi (secondo la Costituzione).
Il punto di caduta della legittima comprimibilità di tali diritti dei soggetti socialmente deboli è infatti già ben superato.
La Corte, per parte sua, non sa, e, forse, ancora non pensa di indicarlo univocamente in via astratta e generale, come la Costituzione imporrebbe, in virtù della natura incondizionata delle sue previsioni.
Dovrebbe essere notorio, infatti, che,
di fronte alla massa della povertà dilagante, anche solo il mantenimento dei precedenti livelli di spesa assistenziale si rivela inadeguato e drammaticamente insufficiente.
E tutto ciò, grazie all’applicazione del pareggio di bilancio (e prima ancora del limite del 3% al fabbisogno dello Stato, anche a costo di una sua funzione prociclica), pur quando formalmente “mediata” dalla flessibilità, del tutto
simbolica, offerta dalla Commissione UE! Si è arrivati ormai in una situazione di scelte dolorose obbligate, per cui o si effettua il trasporto scolastico dei disabili o si hanno decenti e sufficienti asili nidi o un adeguato numero di assistenti sociali (o analoghi operatori) per gli anziani. E via dicendo…”
7. Insomma, mentre i diritti sono falcidiati per via di vincolo fiscale e sono messe da parte, senza colpo ferire, le politiche costituzionalmente obbligatorie tese a perseguire l’eguaglianza sostanziale dei cittadini (per…impossibilità finanziaria), può ben accadere che la massiccia immissione di immigrati, con la crescente concessione di svariati titoli di permanenza nel territorio dello Stato, aggiunga povertà importata a povertà indotta dalle politiche €uropee.
Ma, per evidenti inerzie determinate dagli effetti sociali di tali politiche sui cittadini italiani, la legislazione “assistenziale” finisce inevitabilmente per privilegiare la povertà importata che, – tanto più in questa situazione di costante recessione o stagnazione €uroindotta-,risulterà (normativamente) ben più “titolata” nella spartizione della ridotta “torta della disperazione”. L’invecchiamento della popolazione, di conserva con la riduzione di retribuzioni e conseguenti prestazioni pensionistiche, e la disincentivazione a fare figli, divengono colpe imperdonabili (attribuite a chi ha subìto le €uropolitiche).
8. Ma una tale situazione diviene presto socialmente intollerabile: il dissenso che ne consegue, diviene un costo politico-elettorale, per chi è strenuo sostenitore del vincolo esterno e della sua efficacia terapeutica sugli italiani choosy, fannulloni, e adagiati sulla vitafacile.
La
cuccagna è finita e
il senso di colpa (v. qui), da comparazione della propria (pregressa) situazione con quella degli immigrati, immessi a dosi omeopatiche proprio per le loro
più ridotte aspettative di tutela e giustizia sociale, maturate nei paesi di provenienza(altrimenti non sarebbero certo emigrati), viene instillato affinchè non si recrimini troppo.
8.1. Ma quando il senso di colpa non funziona più e lo scontento sociale diviene un fatto politico di ampie proporzioni, occorre allora “sanare” la situazione: la cittadinanza “autoctona”, dotata di diritto di voto, potrebbe non digerire più la “discriminazione al contrario”.
E c’è il rischio che si accorga che questo disagio si acutizza, appunto, per via del fenomeno della coapplicazione di €uro-limiti fiscali prevalenti sui diritti di prestazione costituzionali, e dell’immissione nel territorio statale di contingenti aggiuntivi, praticamente illimitati, – guai a limitarli!- di non-cittadini (che, grazie alla Costituzione, dovrebbero poter godere di questi stessi diritti su un piano di tendenziale parità).
9. Ecco che, quindi, nasce la soluzione dello ius soli: non che questo non fosse già contemplato in una forma ragionevole, per le condizioni vigenti in tempi di fisiologica, – cioè svolta nell’interesse della cittadinanza- preservazione dei confini statali e del mercato del lavoro (come ci insegna Chang).
E neppure, nell’attuale legislazione, mancavano forme di acquisizione della cittadinanza dotate di una ragionevole elasticità (in tempi sempre “fisiologici”) e connesse alla mera residenza dello straniero.
E sempre tenendo conto che la “residenza” legittima era comunque titolo per il godimento di tutti i diritti fondamentali della persona previsti dalla nostra Costituzione.
10. D’altra parte, non si può sostenere che tale regime legislativo, – oltre ad essere compatibile col paritario godimento dei diritti fondamentali (su tutti, istruzione scolastica pubblica, assistenza sanitaria, e risconoscimento pieno dei diritti del lavoro e previdenziali)-,rendesse eccessivamente disagevole l’ottenimento della cittadinanza:
“Il 2016 è stato un nuovo anno record per quanto riguarda le acquisizioni di cittadinanza in Italia.
Sono state, infatti, 205mila. Un numero che ha registrato continui aumenti: si è passati da 29mila nel 2005, a 66mila nel 2010 e a 100mila nel 2013. Da qui in avanti la crescita è stata ancora maggiore, con un totale di quasi 130mila nel 2014, fino a raggiungere il picco di ben 178mila nel 2015.
I dati sono stati diffusi dalla Fondazione Ismu in occasione della Festa della Repubblica, e segnalano anche che sono diventati italiani soprattutto molti di coloro che appartengono a comunità di antico insediamento e che hanno dunque maturato i requisiti di residenza o naturalizzazione: albanesi e marocchini in testa. Da notare che, invece, sono in significativo calo le cittadinanze concesse a seguito di matrimonio. Le quali, nel 2012, rappresentavano ben 1/3 del totale”.
11. Il problema quindi non pare legato, nella pratica e al di là dei giudizi etici aprioristici, alla restrittività delle previsioni sulla cittadinanza né a presunte carenze nel riconoscimenti dei diritti fondamentali e di prestazione ai non cittadini residenti.
Il problema sta anzitutto in un “suggerimento” tutto di provenienza €uropea: un suggerimento dato non si sa in base a quali dati (visto il primato italiano delle “nuove cittadinanze”) e a quali impellenti esigenze. L€uropa, si sa, ci vuole bene e ci addita sempre soluzioni nel nostro interesse:
E quali sarebbero le basi sulle quali affermare che l’Italia, – col suo record di nuove cittadinanze e il suo riconoscimento incondizionato dei diritti fondamentali e di prestazione agli stranieri-, sarebbe indietro nella lotta al razzismo?
Hanno forse interrogato i cittadini italiani con dei questionari e riscontrato che gli italiani ce l’hanno con cittadini di diverse etnie più degli altri €uropei? Non ci risulta proprio…Questa consueta “bacchettatura” ci pare un boutade colpevolizzatrice senza serio ed oggettivo fondamento.
“I salari nei paesi più ricchi sono determinati più dal controllo dell’immigrazione che da qualsiasi altro fattore, inclusa la determinazione legislativa del salario minimo.
Come si determina il massimo della immigrazione?
Non in base al mercato del lavoro ‘free’ (ndr; cioè globalizzato) che, se lasciato al suo sviluppo incontrastato, finirebbe per rimpiazzare l’80-90 per cento dei lavoratori nativi (ndr; oggi è trendy dire “autoctoni”), con i più “economici”, e spesso più produttivi, immigranti.L’immigrazione è ampiamente determinata da scelte politiche. Così, se si hanno ancora residui dubbi sul decisivo ruolo che svolge il governo rispetto all’economia di libero mercato, per poi fermarsi a riflettere sul fatto che tutte le nostre retribuzioni, sono, alla radice, politicamente determinate.“
…
“Naturalmente, nel criticare l’incoerenza degli economisti free-market in tema di controllo dell’immigrazione (ndr; nel senso che l’abolizione dei confini è esattamente una scelta politica degli Stati e anche consapevolmente forte), non sostengo che il controllo dell’immigrazione debba essere abolito. Non ho bisogno di farlo perché (come in molti avranno ormai notato) non sono un free-market economist.
I vari Paesi hanno il diritto di decidere quanti immigranti possano accettare e in quali settori del mercato del lavoro (ndr; aspetto quest’ultimo, che i tedeschi, ad es; tendono in grande considerazione).
Tutte le società hanno limitate capacità di assorbire l’immigrazione, che spesso proviene da retroterra culturali molto differenti, e sarebbe sbagliato che un Paese vada oltre questi limiti.
Un afflusso troppo rapido di immigrati condurrebbe non soltanto ad un’accresciuta competizione tra lavoratori per la conquista di un’occupazione limitata, ma porrebbe sotto stress anche le infrastrutture fisiche e sociali, come quelle relative agli alloggi, all’assistenza sanitaria, e creerebbe tensioni con la popolazione residente.
Altrettanto importante, se non agevolmente quantificabile, è la questione dell’identità nazionale.
Costituisce un mito – a un mito necessario ma nondimeno un mito (ndr; rammentiamo che lo dice un emigrato)- che le nazioni abbiano delle identità nazionali immutabili che non possono, e non dovrebbero essere, cambiate. Comunque, se si fanno affluire troppi immigrati contemporaneamente, la società che li riceve avrà problemi nel creare una nuova identità nazionale, senza la quale sarà difficilissimo mantenere la coesione sociale. E ciò significa che la velocità e l’ampiezza dell’immigrazione hanno bisogno di essere controllate”.
13. L€uropa dunque ci sta in qualche modo suggerendo di fare una scelta politica – che in effetti si sta già facendo- che incide sulla determinazione dei salari. Già…
Ma se non basta la mistica dell’accoglienza, fondata su senso di colpa e accuse disinvolte di razzismo, a tacitare un dissenso dilagante che nasce sostanzialmente dall’austerità espansiva e dalla “scarsità delle risorse”, si deve rendere la massa immessa in funzione di determinazione deflattiva del livello salariale (e che viene pure “caricata” di vittimismo e rancore dalla medesima attenta propaganda filo-€uropeista), politicamente in grado di rafforzare queste stesse politiche e di bilanciare nelle urne, in tempi più brevi possibile, il malessere sociale dei riottosi cittadini italiani, che rischia di convertirsi in debacle elettorale dei partiti filo-€uropeisti.
Quindi le maglie della concessione della cittadinanza vanno allargate più che si può. E, naturalmente, FATE PRESTO!
Alla svalutazione (salariale) dei tassi di cambio reale, perciò, deve corrispondere la svalutazione del diritto politico: l’indirizzamento idraulico del voto dei “nuovi italiani” viene scontato come sistema di rafforzamento del dominio delle oligarchie, che appunto perciò promuovono i propri futuri, e riconoscenti, sostenitori.
13.1. La stessa possibilità numerica di una protesta elettorale che esiga il ripristino della legalità costituzionale, e respinga il vincolo €sterno dei mercati in nome della sovranità del lavoro, viene intanto allontanata.
La coesione sociale che, come ci dice Chang, si lega alla identità nazionale, e che potrebbe condurre alla rivendicazione di sovranità democratica, in opposizione alle politiche antisolidaristiche imposte dall’€uropa, viene stemperata in un gioco di conflitti sezionali irrisolvibili (all’interno della guerra tra poveri che deriva dalla “scarsità di risorse”): i conflitti sezionali, a base etnico-religiosa, sono poi facilmente proiettabili in incessanti false flags elettorali di rivendicazione di diritti cosmetici.
E, a quanto pare, ESSI, previdenti, già si “avvantaggiano”:
14. E quindi: giù con uno ius soli (pur sempre temperato, ma “meno”) molto più largheggiante, cui si aggiunge lo ius culturae: in pratica, anche non essendo nati in Italia, un po’ di scuola, – se di tipo “professionale” basta un ciclo triennale-, e il mero raggiungimento della maggiore età: con tanto di sanatoria, e rimessione in termini, per chi abbia già maturato, in precedenza, i nuovi requisiti (essendo cioè, oggi, già ultraventenne). Questo insieme di previsioni, in pratica, determinerà un’ondata di nuove cittadinanze nell’ordine di svariate centinaia di migliaia di persone, (potenzialmente milioni), concentrate in, presumibilmente, pochi mesi (quelli, in teoria, necessari a perfezionare le pratiche che si accumuleranno tra richiedenti rimessi in termini e richiedenti che avranno comunque maturato i requisiti dopo l’entrata in vigore della legge: tagli al personale delle prefetture e dei commissariati permettendo…).
Ce n’è di che spostare l’equilibrio elettorale a favore di chi sostenga e introduca una tale legge.
15. Ma se, nel breve periodo, tale iniezione di “nuovi cittadini” porterà obiettivamente un grande vantaggio elettorale, altrettanto non si potrà ritenere per il futuro: anche i potenziali milioni di nuovi italiani, infatti, col passare degli anni (non molti in realtà), si renderanno conto delle politiche (specialmente del lavoro) euroindotte e degli effetti del pareggio di bilancio – a cui L€uropa (e il FMI) li condanna, come tutti gli italiani, per i prossimi decenni. E questi stessi neo-italiani, finita la ipotizzata gratitudine iniziale, dovranno subire anche la indispensabile terapia d’urto per ridurre il debitopubblicobrutto. In pratica, passato l’effetto elettorale iniziale, i nuovi italiani non ci metteranno troppo a realizzare che sono finiti sulla stessa barca di quelli “vecchi” e che, anche per loro, non c’è una speranza di democrazia e benessere. Magari “culturalmente” ci metteranno un po’ a capire che avere i diritti politici non serve a granché, quando sei in uno Stato in cui, votare o meno, non cambia di una virgola le politiche che “devono” essere seguite. Ma ci arriveranno; oh, se ci arriveranno!
16. Divenuti cittadini, e caduto lo schermo mediatico dell’inesistente privazione di “diritti”, ogni speranza di normalizzazione delle loro vite in funzione dell’appartenenza a un “ordinamento delle Nazioni Civili”, svanirà rapidamente. Al punto che l’acquisizione della cittadinanza italiana, per coloro che, lodevolmente, saranno i più istruiti o, comunque, i più realistici sulla realtà in cui sono cresciuti, potrà diventare un titolo che agevola l’emigrazione dalla penisola in altri paesi €uropei!
E forse saranno i nuovi italiani i più desti a dire basta con l’ordine sovranazionale dei mercati. Mica peraltro: perché la concessione dei diritti politici, una volta accordata, rende la tangibilità della natura idraulica del voto e la prospettiva di Elisyum molto ma molto più attuale.
Non sempre è una mossa intelligente contare sul fatto che la disperazione, la povertà e la disgregazione sociale possano essere blandite con un contentino…
Iscriviti al nostro canale Telegram
Commenti recenti