Riflessioni sui ballottaggi. Una premessa di metodo per capirci qualcosa.
di ALDO GIANNULI
Per capire la linea di tendenza tracciata da questo voto, occorre familiarizzarsi con due concetti connessi e non tenuti minimamente presenti dalla stragrande maggioranza dei commentatori: “voto in libertà” e “Quarto polo”. Per voto in libertà intendo quei comportamento non riducibili allo schema dei due o tre poli principali e cioè, essenzialmente, astensione e liste civiche distinte dai tre partiti maggiori.
L’astensione ha superato la soglia critica del 50% e, per di più, appare segnata da un grande nervosismo di flussi in entrata ed in uscita. Al primo turno di queste amministrative ha votato meno del 60% (cinque punti in meno delle amministrative precedenti), al secondo turno i votanti sono stati il 46%, cioè circa un 12% è andato ad aggiungersi a quelli che si erano già astenuti (14% in meno delle precedenti amministrative). Il che sindica almeno due tendenze: la crescente insoddisfazione degli italiani per l’offerta politica precedente e la tendenza degli “esclusi” dai ballottaggi a preferire l’astensione al voto fra uno dei due competitori finali. Altro che ritorno al bipolarismo classico! Questo inganno ottico è dovuto all’ortopedia del sistema elettorale che “forza” il comportamento riducendo a competizione bipolare quello che nella società dimostra molteplici tendenze centrifughe. Siamo di fronte ad un mega parcheggio elettorale dal quale in ogni momento possono partire flussi di rientro che non è affatto detto si dirigano verso i due o tre partiti maggiori, né che lo facciano in modo proporzionale. Può accadere che premino uno solo di essi o nessuno dirigendosi piuttosto verso formazioni minori o anche verso nuove proposte politiche. Ed il sospetto si accentua ove consideriamo quel 10-15% di consenso raccolti dalle liste civiche extra partiti che non si sa bene come si distribuiranno alle successive elezioni politiche: è questo il fenomeno del voto in libertà. E quando hai una bolla del 60-65% di voti in libertà, è quasi matematico che si approssimi una scossa che terremoterà l’attuale geografia elettorale. Può accadere che questo accada a vantaggio di uno dei competitori ormai classici (centro destra, centro sinistra, M5s), ma potrebbe venir fuori qualsiasi altra cosa. Ad esempio un fenomeno macroniano o simili. Faccio un esempio di totale fantasia (non prendetemi alla lettera): immaginiamo che, magari non alle prossime politiche, ma per esempio alle europee del 2019, i vari personaggi outsider di centro o comunque meno riducibili alle coalizioni classiche (Parisi, Calenda, Tremonti, Quagliariello, Tosi, Fitto, Marchini, Letta) facciano un a lista comune con a capo un nome di grande attrattività, ad esempio Mario Draghi (sempre che l’interessato ci stia): pensate che la geografia elettorale resti la stessa? Quanti voti perderebbero Fi e Pd verso il nuovo arrivato? E quanto voto in libertà si dirigerebbe verso questa nuova offerta politica? Un risultato superiore al 20% non sarebbe assolutamente fuori della realtà.
Oppure, a sinistra si forma un polo con Landini, De Magistris, pezzi di Arci e Cgil (sul modello dei comitati per il No al referendum) e che magari aggrega anche Pizzarotti o simili, trovando un leader nazionale che non sia già logorato: quanti voti potrebbe sottrarre al Pd? E quanti al M5s? E quanto voto il libertà pescherebbe? Anche qui una previsione a due cifre non sarebbe eccessiva (magari un 15%). E’ ovvio che anche solo uno di questi due esempi cambierebbe la geografia del sistema dei partiti.
E di esempi di questo genere se ne possono fare anche altri, ipotizzando unificazioni dei piccoli o scissioni dei partiti maggiori. E qui siamo al discorso del “quarto polo” che un pero e proprio polo, almeno per ora, non è, ma solo una somma astratta. Attualmente, i quattro principali partiti (Lega, Fi, Pd, M5s) assommano a circa l’85% del corpo elettorale, il che significa che l’area dei partiti minori (Fd’I, Si, Mdp, minutaglia centrista ecc.) assommano a circa il 15%. Occorre tenere presente, però, cheì, con l’eccezione della Lega, tutti i maggiori partiti perdono in voti assoluti (per effetto della crescente astensione) rispetto ai voti ottenuti nel 2013. Ad esempio, il Pdl ottenne 7.332.000 voti. il Pd 8.646.000 voti ed il M5s 8. 691.000 su 34.000.000 di voti validi (su 50. 450.000 aventi diritto) per un totale di circa il 73% sul totale. Proiettando i risultati delle attuali amministrative (è solo una ipotesi, tanto per capirci), avremmo circa 29,6 milioni di voti validi (arrotondati per comodità a 30.000.000) e queste percentuali molto approssimative: Fi 14,5%, Pd 24,5%, M5s 15 44%.
Quindi,
Fi, 4.350.000 ( meno 4.296.000 voti rispetto al 2013 )
Pd 7.350.000 (meno 1.296.000 voti rispetto al 2013)
M5s 4.500.00 ( meno 4. 200.000 voti rispetto al 2013).
E’ però evidente che tutti questi partiti recupereranno in misura più o meno vistosa in caso di elezioni politiche: sappiamo che alcune civiche (oltre quelle considerate “in libertà”) erano liste Pd più o meno travestito, che il m5s alle amministrative di solito va male, che una parte degli astenuti rientreranno verso di loto, quindi è ovvio che i risultati finali saranno molto più favorevoli a questi tre partiti. Però gli “ammanchi” sono decisamente vistosi: per ritornare alle quote del 2013, il Pd deve recuperare circa il 15% del suo elettorato del 2013, il M5s il 48,3%, e Forza Italia ben il 58,5%. Quindi una quota decisamente non piccola ma con diverso peso per ciascun partito. Il Pd è quello che vede recuperare meno e potrebbe farcela senza troppo sforzo se la tendenza al calo non proseguisse, ma registrerebbe l’azzeramento di tutto il terreno conquistato in epoca renziana, per tornare quasi ai livelli del Pd di Bersani, cioè una fortissima sconfitta politica.
Simile è il giudizio sul M5s: considerato il consueto divario politiche amministrative, è realistico che recupererà gran parte del terreno perso, ma considerate le aspettative, se si attestasse intorno al 25, il livello del 2013, sarebbe una cocente sconfitta politica (ed un disastro se andasse anche uno 0,5% sotto quel livello) ed il tramonto di qualsiasi speranza di andare al governo da soli, Al massimo potrebbe aspirare a superare di un soffio il Pd conquistando il posto di partito di maggioranza relativo in un “sorpasso in discesa”.
Diverso il discorso per Fi, che, considerata la forte parabola discendente di questi anni (in cui ha rischiato di scendere sotto il 10%) potrebbe anche accontentarsi di un 16-17% e di considerare un clamoroso successo tornare sopra il 20% anche di un pelo.
In ogni caso, la tendenza del termometro non è favorevole ai tre partiti “massimi” che devono vedersela con il perverso intreccio fra la bolla del voto in libertà ed il “quarto polo”, quella sommatoria che non esporime in positivo una nuova offerta politica ma contribuisce ad indebolire quelle maggiori esistenti.
Questa storia ha tre morali:
1. E’ possibile che il risultato delle prossime politiche possa essere favorevole ad uno dei tre partiti maggiori, più difficilmente a due di loro, mentre è quasi impossibile che lo sia a tutti tre
2. ”Quota 40” ciascuno dei tre contendenti maggiori possono contemplarla con il cannocchiale
3. Se stai con la melma alla bocca, non cantare vittoria se il tuo vicino ha la melma al naso e cerca di non fare onde!
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/riflessioni-sui-ballottaggi/
Commenti recenti