Mosul liberata, ma è sbagliato considerare ISIS sconfitto
di: LOOKOUT NEWS (Rocco Bellantone)
Il premier Al Abadi annuncia la riconquista della roccaforte jihadista. Ma il Califfato rappresenta una minaccia viva in altre aree del Paese, e considerarlo spacciato sarebbe un grave errore
Sono serviti nove mesi di assedio serrato per sradicare lo Stato Islamico da Mosul, capitale del Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi in Iraq. A dare l’annuncio della vittoria è stato domenica 9 luglio il premier iracheno Haider Al Abadi. Spesso snobbato durante i summit con gli alleati internazionali, il primo ministro non si è lasciato sfuggire l’occasione di marciare trionfante per le strade della città liberata. Ha indossato un’uniforme militare nera, si è annodato al collo una bandiera irachena, ha stretto mani, dispensato sorrisi e garantito che «ciò che resta (dello Stato Islamico, ndr) è circondato, ed è solo una questione di tempo l’annuncio al nostro popolo della grande vittoria».
Dunque Mosul è stata «liberata», anche se in realtà rimangono ancora una o due aree adiacenti la città vecchia ancora controllate dalle ultime sacche della resistenza jihadista. Stanare gli irriducibili del Califfato non sarà una passeggiata, ma l’obiettivo della campagna lanciata nell’ottobre scorso può dirsi ormai raggiunto.
I numeri della campagna militare
Il prezzo che il popolo iracheno e le forze armate di Baghdad hanno dovuto pagare è stato altissimo. Mosul è una città quasi totalmente da ricostruire, teatro di una barbarie che oggi si riflette sulle macerie della grande moschea di Al Nuri, dal cui pulpito il 29 giugno del 2014 Abu Bakr Al Baghdadi si autoproclamò Califfo di tutti i musulmani e che il 21 giugno scorso è stata rasa al suolo dagli stessi jihadisti.
Negli oltre tre anni di occupazione dello Stato Islamico, circa metà della popolazione di Mosul (915.000 persone) è stata costretta a fuggire. I civili morti o feriti – perché usati come scudi umani da ISIS o perché finiti per errore calcolato nel mirino dei caccia della coalizione internazionale a guida USA – sono stati più di 8.000. Dei 44 quartieri residenziali di Mosul, sei sono stati ridotti in polvere, 22 sono stati danneggiati in modo significativo e solo in 16 è realistico pensare di poter tornare a vivere a breve.
(Il premier iracheno Al Abadi si congratula con i militari in prima linea nell’assedio a Mosul)
Il governo di Baghdad non ha fornito numeri ufficiali sulle perdite subite dal suo esercito, ma secondo il Dipartimento della Difesa statunitense le forze speciali irachene nella loro lenta avanzata avrebbero perso fino al 40% dei propri effettivi. Proprio agli USA adesso il premier Al Abadi si rivolge per avere garantiti i fondi necessari per portare avanti sul terreno la campagna contro ISIS (1,2 miliardi di dollari per il 2018) e per ridare vita alle aree distrutte dai combattimenti (si dovrà partire da una base di almeno 1 miliardo di dollari secondo l’ONU).
Perché ISIS continuerà a resistere in Iraq
La caduta di Mosul non significa però la fine del Califfato in Iraq. Il fronte anti-ISIS – formato dall’esercito iracheno, dai combattenti curdi peshmerga, da tribù sunnite e dalle milizie sciite Al Hashd Al Shabbi (Forza di Mobilitazione Popolare) sostenute dall’Iran – ha ancora davanti a sé una lunga battaglia da affrontare. ISIS ha perso la sua roccaforte, ma rappresenta ancora una minaccia insidiosa in altre aree del Paese: nel distretto di Tal Afar nel governatorato nord-occidentale di Ninive; nel distretto di Hawijah nel governatorato centro-settentrionale di Kirkuk; nel governatorato centro-occidentale di Al Anbar. È soprattutto in questa vastissima striscia di terra, per lo più desertica e confinante con la Siria, che il Califfato continuerà a coltivare l’ambizione di essere Stato ancora per molto. Ed è qui che finiranno per convergere gli interventi militari di tutti (o quasi tutti) gli attori protagonisti del grande conflitto siro-iracheno una volta che si concluderà l’altra decisiva battaglia in corso, vale a dire quella per la ripresa di Raqqa, capitale siriana dello Stato Islamico. Da una parte la Russia, il governo di Damasco, l’Iran e le milizie sciite libanesi di Hezbollah; dall’altra Stati Uniti e curdi; in mezzo la Turchia.
Dopo mesi di incertezze e scambi di accuse accompagnati da scontri e bombardamenti che non si sono mai arrestati, l’atteso incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin all’ultimo G20 di Amburgo ha prodotto una tregua nelle regioni del sud-ovest della Siria (Al Quneitra, Deraa e Suwayda) scattata alle 12 ora locale del 9 luglio. È presto per dire se e quanto durerà questo cessate il fuoco, ma questa prima intesa è il segnale della comune intenzione di collaborare di Stati Uniti e Russia. Se seguiranno altre azioni concrete nelle prossime settimane, la morsa attorno al Califfato al confine tra Siria e Iraq potrebbe stringersi rapidamente.
Cosa rischia l’Iraq adesso
Nell’immediato, in attesa di capire quale sarà la prima direzione che la coalizione internazionale a guida USA deciderà di imboccare in Iraq, il rischio concreto per il governo di Al Abadi è quello di venire travolto da una nuova ondata di attentati. Attacchi kamikaze o con camion bomba che potrebbero riversarsi sulla capitale Baghdad, il più vicino possibile a sedi governative, ambasciate e centri di comando militari internazionali, con l’obiettivo di tenere alta l’attenzione mediatica sui colpi di coda del Califfato. È un cambio di strategia prevedibile ora che per ISIS i territori da difendere sono sempre di meno, e che avrà dei riflessi tanto sugli sciiti del Paese (obiettivo da sempre privilegiato da ISIS e che in Iraq rappresentano circa il 65% dell’intera popolazione) quanto in Occidente, dove il terrore “fa più notizia” e i morti hanno un peso specifico nettamente maggiore rispetto al resto del mondo.
(Un’area di Mosul ridotta in macerie)
«Non dobbiamo vedere la riconquista di Mosul come il risuonare della campana a morto per lo Stato Islamico» sostiene Patrick Martin, analista specializzato in questioni irachene dell’Institute for the Study of War, thin thank con base a Washington. «Se le forze di sicurezza (irachene, ndr) non adotteranno le misure necessarie per garantire una durata di lungo termine a questa vittoria, ISIS potrebbe risorgere e riconquistare nuovo terreno». È uno scenario altamente probabile, a cui la multiforme galassia jihadista ha già abituato il mondo nella tormentata storia dell’Iraq del post Saddam Hussein.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/mosul-liberata-da-isis-iraq/
Commenti recenti