Libertà, giustizia, sovranità e classe dirigente
di STEFANO D’ANDREA
I moti del 20-21 e del 30-31 mostrarono che non era possibile ottenere le libertà individuali senza indipendenze statali. Il 1849 mostrò che non era possibile ottenere le indipendenze statali senza l’Unità nazionale.
Oggi la situazione è diversa. L’Unità nazionale è un bene ancora non in pericolo: il rischio della disgregazione farà capolino soltanto nel caso in cui la crisi si prolunghi per altri 15 anni.
Invece la libertà di impresa e il libero svolgimento delle professioni e in genere dei lavori autonomi, nonché la giustizia sociale e la tutela del lavoro subordinato, sono oggi sacrificati, ma non possono essere realizzati di nuovo senza prima riconquistare la sovranità.
Nuova classe dirigente e riconquista della sovranità stanno e cadono assieme, perché la nuova classe dirigente sarà quella che avrà riconquistato la sovranità o, in caso di implosione dell’Unione europea per causa esterna all’Italia, avrà perseguito con pazienza ed efficacia questo obiettivo.
L’Italia ha infatti due problemi preliminari: non ha la sovranità e non ha una classe dirigente degna di questo nome. Nel merito i problemi riguardano la libertà e la giustizia, ma la causa dei diffusi ostacoli alla libertà e alla giustizia è l’assenza di sovranità e di una classe dirigente.
Non tutti hanno chiaro l’ordine delle priorità, senza il quale l’azione, sotto il profilo strategico, non potrà mai essere non dico potente, ma persino sensata.
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