di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Andrea Muratore)
Il progressivo sviluppo della “Nuova Via della Seta”, di recentemente irreggimentato su una base multilaterale in seguito allo svolgimento del Belt and Road Forum di Pechino a metà maggio, ha portato a una continua crescita delle prospettive geopolitiche della Repubblica Popolare Cinese, oramai divenuta un attore in grado di proiettare i propri interessi economici su scala globale e le proprie strategie di medio-lungo periodo all’interno della macroregione euroasiatica.
Se sulle rotte terrestri interessate dalla Belt and Road Initiative la proiezione multilaterale del progetto ideato dal governo di Xi Jinping è maggiormente percepibile, considerata l’elevato numero di Paesi coinvolti, l’eterogeneità degli scenari attraversati (dall’heartland centroasiatico all’Europa Orientale) e l’elevata estensione dei programmi di investimento concordati, come il China-Pakistan Economic Corridor da oltre 50 miliardi di dollari, il ramo marittimo della “Nuova Via della Seta” è destinato a essere plasmato come creatura primariamente, se non essenzialmente, di matrice cinese. Sulle acque oceaniche, gli obiettivi generali della “Nuova Via della Seta” e quelli particolari del governo di Pechino giungono, in definitiva, a convergere. La prospettiva di un ampliamento dei traffici commerciali sulle “autostrade marittime” si sposa in maniera completa con la volontà cinese di garantire sicurezza e ordine alla propria sfera di influenza economica ed espandere il potenziale operativo del governo della Repubblica Popolare, in modo tale da poter reagire nel migliore dei modi a eventuali scenari di crisi regionali. Lo strumento principale con cui la Cina mira a proiettare la propria potenza è la marina militare nazionale, la People’s Liberation Army Navy (PLAN): in un contesto caratterizzato dall’incremento dei traffici commerciali sulle rotte indopacifiche, già teatro di importantissimi interessi economici, la protezione della rete marittima risulta vitale per l’interesse nazionale cinese ed arriva a sovrapporsi con la questione dell’operatività a lungo raggio della PLAN.
Lo sviluppo di nuove basi portuali sta caratterizzando l’interventismo cinese sul ramo marittimo della “Nuova Via della Seta”: in Sri Lanka i capitali cinesi stanno contribuendo allo sviluppo del porto di Hambantota, in Bangladesh l’interesse di Pechino è rivolto verso lo scalo di Chittagong e in Pakistan il modernissimo hub di Gwadar è destinato a fungere da punto focale e centro di gravità del sistema CPEC.
Al tempo stesso la Cina, in questi ultimi anni, sta procedendo a un rapido ed esteso programma di ammodernamento della propria flotta militare. Dopo essere stata a lungo relegata in secondo piano nella visione d’insieme dei vertici militari cinesi, rimasti a lungo focalizzati su una dimensione “continentale”, la PLAN a partire dai primi anni del Terzo Millennio è stata sviluppata notevolmente. Gli investimenti per la marina sono aumentati di otto volte dagli Anni Novanta ad oggi, giungendo ad assorbire circa il 35% del bilancio della Difesa della Repubblica Popolare e garantendole di conseguenza una velocissima modernizzazione.
La presentazione a maggio della ‘nuova via della Seta’ marittima, al termine di un forum organizzato a Pechino dal Presidente Xi Jinping
Considerata tradizionalmente una forza destinata ad impieghi di mero pattugliamento costiero, la PLAN ha potuto in seguito includere nella sua area di operatività l’area marittima compresa tra la Cina e la “prima cintura di isole”, ovverosia l’arco di arcipelaghi del Pacifico occidentale che corre dall’isola russa di Sahkalin alle Filippine. Un ulteriore salto di qualità nel progetto di ammodernamento della PLAN è stato realizzato in seguito all’ascesa al potere di Xi Jinping, che ha fatto dell’espansione della potenzialità operativa della flotta cinese il perno della sua politica in materia di forze armate. Negli ultimi anni, infatti, la PLAN ha definitivamente assunto la conformazione di blue-water navy, dispiegando unità in grado di operare a notevolissima distanza dalle coste cinesi, come dimostrato nell’aprile 2015, quando una forza navale cinese ha contribuito all’evacuazione di parte dei cittadini stranieri risiedenti ad Aden, in Yemen, paese sconvolto dalla guerra civile e dai bombardamenti della coalizione a guida saudita.
L’incremento dell’operatività della Marina cinese è stato principalmente dovuto allo sviluppo di una moderna flotta di portaerei, elemento imprescindibile per garantire efficacia all’azione di una blue-water navy e adempiere a quello che il Chinese Military Strategy’ White Book del 2015 definiva come il compito primario delle forze navali della Repubblica Popolare: “[…] estendere la propria focalizzazione dalla offshore defense a una combinazione di offshore defense e proiezione in alto mare”. La prima portaerei cinese, la Liaoning, è entrata in linea nel 2012 e nel novembre 2016 è stata dichiarata dai vertici della PLAN completamente pronta al combattimento.
Un video che mostra il cambiamento di volto della città di Gwadar, con lavori finanziati interamente dai cinesi i quali impianteranno qui uno dei porti strategici per la nuova via della Seta
La convergenza tra i due capisaldi della strategia marittima cinese e la sovrapposizione tra la proiezione commerciale e lo sviluppo della PLAN ha portato allo sviluppo di diverse congetture riassumibili nella teoria della “collana di perle” (String of Pearls), secondo la quale la volontà di Pechino di incentivare lo sviluppo infrastrutturale e portuale dei Paesi rivieraschi dell’Oceano Indiano sottenderebbe l’intenzione di sfruttare, in caso di necessità, gli scali commerciali come approdi militari: tale corrente di pensiero è particolarmente diffusa ai vertici del governo indiano, che osteggia la BRI e vede nella Cina un potenziale rivale strategico, nonché un avversario di primaria importanza. Tuttavia, la conformazione e la disposizione logistica degli scali commerciali sviluppati dalla Cina non sono funzionali a una rapida conversione degli stessi in basi militari e, al contempo, la Repubblica Popolare sta approntando alla luce del sole la sua prima base all’estero, situata nello strategico Gibuti. La volontà di Pechino è, semmai, opposta: nella visione strategica cinese, infatti, l’incremento dell’operatività della PLAN è funzionale al mantenimento di un’adeguata soglia di protezione alla sicurezza delle rotte commerciali e degli approvvigionamenti energetici cinesi, che si trovano a dover affrontare numerose insidie nelle acque del Mar Rosso, in colli di bottiglia come il Canale di Malacca e in aree oceaniche turbolente come il Mar Cinese Meridionale. La volontà cinese è garantire con la propria flotta la tenuta del ramo marittimo della “Nuova Via della Seta”: nel pragmatico e ambizioso progetto geopolitico di Pechino, infatti, l’interventismo militare non è mai considerato uno strumento utile in sé stesso.
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/la-doppia-sfida-oceanica-della-cina/
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