Macron è il nostro peggior nemico
di LINKIESTA (Fulvio Scaglione)
Il mondo è pieno di gente convinta che la gazzosa non sia più gazzosa ma ben altro solo perché qualche anno fa le hanno dato un nome inglese. Allo stesso modo in Italia molti si erano convinti che bastasse mettere un nome francese, tipo Emmanuel Macron, alla vecchia politica per avere una politica nuova. E il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Bisognava essere piuttosto ingenui per pensare che un ex banchiere d’affari che era stato ministro dell’Industria e della Finanza con Francois Hollande potesse, diventato Presidente, inventarsi chissà quale rivoluzione. Però ci abbiamo creduto. Un po’ perché crediamo a (quasi) tutto, un po’ perché ce l’hanno ripetuto in (quasi) tutte le salse, su (quasi) tutti i giornali, da (quasi) tutte le Tv. Qualche entusiasmo, è vero, si è spento dopo che Macron ha consegnato le chiavi dell’economia alla destra, assegnando il premierato al repubblicano Edouard Philippe, le Finanze a Bruno le Maire (politicamente nato nell’Ump, più volte ministro con Sarkozy) e il ministero per l’Azione e i Conti Pubblici a Gerald Darmanin (anche lui ex Ump e pupillo di Sarkozy), mettendo un po’ di figurine popolari nei ministeri del folklore (una schermitrice allo Sport, un divo Tv all’Ecologia…) e due pezzi da novanta del Partito socialista annichilito dal voto agli Interni e alla Difesa.
Ma ci sono voluti i fatti perché si capisse che cosa voleva chi si è inventato En Marche! e il macronismo, ovvero la gazzosa con il nome straniero. Lasciamo pure stare il crollo nell’indice di gradimento dei francesi (dieci punti in un mese), che hanno poco gradito il prolungamento fino all’inverno dello stato di emergenza che doveva scadere a metà luglio (con l’aggiunta di un comitato per la sicurezza che risponderà solo al Presidente) e le notizie sulla nuova legge sul lavoro, che come la precedente (quella approvata quando Macron era ministro dell’Industria) verrà varata per decreto e si propone di far prevalere la contrattazione aziendale, via referendum in fabbrica, sulla contrattazione nazionale.
Stiamo a ciò che più ci riguarda, come italiani e come europei. Mentre queste righe baluginano sullo schermo del vostro computer, Macron incontra a Parigi lo pseudo presidente della Libia di Tripoli, Fayez Serraj, e lo pseudo generale della Libia di Tobruk, Khalifa Haftar. Vuole, il francese, proporsi come primo mediatore nella crisi libica, allo scopo di conquistare una posizione privilegiata quando arrivasse il momento di sfruttarne le ricchezze e la posizione strategica. Parafrasando Carl von Clausewitz, possiamo dire che la politica non è che il proseguimento della guerra con altri mezzi. Macron, con queste iniziative, persegue gli stessi scopi che Sarkozy perseguiva nel 2011, quando si fece promotore della spedizione armata contro Muhammar Gheddafi.
Piccolo problema: a scontare le conseguenze di quell’infausta pretesa di grandeur è stata soprattutto l’Italia, che da sei anni affronta il solitudine l’afflusso dei migranti, che ha provato in ogni modo a ricostruire con Farraj gli accordi che a suo tempo Silvio Berlusconi aveva stipulato con Gheddafi per il contenimento dei flussi, che avrebbe tutta l’esperienza e ogni diritto per guidare il processo di riconciliazione nazionale in Libia e che ora, invece, si vede scalzata dall’iniziativa di Macron. Il quale, peraltro, fa il doppio gioco anche con la comunità internazionale, schierata compatta con il Governo di Tripoli. La Francia macroniana, infatti, sostiene il Governo Farraj in quanto membro dell’Unione Europea ma allo stesso tempo si offre come interlocutore privilegiato del generale Haftar. Proponendo la creazione di un esercito unificato libico, Macron fa gli interessi di Haftar, che dal punto di vista militare è già più forte, e infatti ha raccolto gli applausi di Egitto ed Emirati Arabi Uniti, che dell’ex generale di Gheddafi ed ex collaboratore della Cia sono i maggiori sostenitori.
L’uomo nuovo, insomma, fa la politica più vecchia del mondo. Piena di populismo e retorica nazionalistica, nostalgica di una Francia che non c’è più e che proprio per questo piacerà a una parte dei francesi. Politica che, per quanto riguarda l’Europa, è certo più fine, elegante e manovriera di quella di Kaczynski in Polonia e di Orban in Ungheria, ma non molto diversa nella sostanza. Un’Europa usa e getta, buona per ammortizzare le crisi e utile soprattutto per perseguire l’interesse nazionale
Emmanuel Macron, l’uomo nuovo che avrebbe dovuto dare impulso e smalto all’Unione Europea, si è peraltro ben distinto anche in un altro dossier decisivo per le politiche continentali: le migrazioni. Anche qui monsieur le Président prima ha tirato una coltellata a quegli ingenuotti degli italiani, rifiutando di far sbarcare, anche solo temporaneamente, le navi cariche di migranti nei porti francesi. Poi ha mandato a farsi friggere la stessa Unione Europea e i suoi piani di redistribuzione dei migranti, mettendosi a farfugliare di “migranti economici” da respingere e “richiedenti asilo” da aiutare (a patto che intanto li accogliamo noi italiani, chiaro). Una ridicola scusa perché tutti ormai hanno capito che un commerciante siriano di Aleppo o un eritreo che si è pagato il viaggio con i risparmi di tutta la famiglia sono, quando sbarcano in Italia, sia migranti economici (perché vogliono rifarsi una vita) sia richiedenti asilo (perché fuggono da situazioni comunque insostenibili).
L’uomo nuovo, insomma, fa la politica più vecchia del mondo. Piena di populismo e retorica nazionalistica, nostalgica di una Francia che non c’è più e che proprio per questo piacerà a una parte dei francesi. Politica che, per quanto riguarda l’Europa, è certo più fine, elegante e manovriera di quella di Kaczynski in Polonia e di Orban in Ungheria, ma non molto diversa nella sostanza. Un’Europa usa e getta, buona per ammortizzare le crisi e utile soprattutto per perseguire l’interesse nazionale senza poi pagar pegno una volta fatti i pasticci.
Anche la questione dell’esercito europeo, come si è visto, era una mezza fregatura. Macron se ne serve per ricostruire l’asse privilegiato con la Germania, che in questo caso unirebbe la potenza nucleare francese alla potenza economica tedesca. È tutto qua, altro che Unione Europea che manda i suoi reparti in giro per il mondo a pacificare le genti. E anche in questo caso l’Italia, che pensava di essere della partita grazie alle ottime referenze maturate dai suoi soldati in decine di missioni all’estero, si è trovata spiazzata. Con tanti saluti all’idea che con la Francia si sarebbe trovata una buona intesa, basata sulla percezione di un “rischio Mediterraneo” da affrontare insieme.
Ora facciamo un po’ la corte ad Angela Merkel, che non è più la culona (Berlusconi dixit) responsabile di tutti i nostri mali ma il leader riconosciuto di questa parodia di Europa unita. E comunque rifiutiamo tenacemente di fare l’unica cosa che davvero servirebbe: riconoscere che questa Europa è ormai un’arena dove chi si fa pecora il lupo lo mangia, tirar fuori un po’ di carattere e picchiare qualche pugno sul tavolo con tutta l’energia che ci danno molte buone ragioni. Se persino un uomo misuratissimo come il presidente Mattarella, parlando alla Conferenza degli ambasciatori, ha invocato “fermezza negoziale” nei rapporti con la Ue, vuol dire che la misura è proprio colma. Altro che Macron, Brigitte e cavolate varie.
fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2017/07/25/macron-e-il-nostro-peggior-nemico/35023/
“Emmanuel Macron, l’uomo nuovo che avrebbe dovuto dare impulso e smalto all’Unione Europea……” non fa altro che gli interessi del suo paese e dei suoi concittadini. Alla faccia del cartonato Gentiloni e di tutta la compagnia cantante che, all’indomani delle elezioni, esultava su tutti i media alla vittoria di Macron, salutato come salvatore dell’Europa, o meglio della cosidetta Unione Europea, di fronte al pericolo mortale rappresentato dalla populista LePen. Dovrebbe ormai essere chiaro che l’Unione Europea esiste solo nelle teste dei lettori del Corriere della Sera/Repubblica, degli elettori del PD (Partito Demolitore) e degli infatuati ventoteniani seguaci dell’ayatollah Boldriny.