Scuole superiori quadriennali: la truffa della sperimentazione
di CARMELO LUCCHESI
Il ferragosto è stato segnato da un’intensa disputa sul Decreto Ministeriale emanato dal MIUR sull’avvio di una sperimentazione che istituisce licei e tecnici della durata di 4 anni, invece dei 5 anni canonici. Proposte di riduzione di un anno per le scuole superiori – che non hanno avuto esito – ne sono apparse negli anni scorsi. Sul finire degli anni ’90, ad esempio, fu l’allora ministro Berlinguer che voleva unificare in un ciclo settennale, scuola elementare e media.
Ben conosciamo la fine miseranda che il ministro fece nel 2000 a seguito delle straordinarie mobilitazioni di massa dei lavoratori della scuola. Fu subito dopo la ministra Moratti (2001-2006) a riprovarci. Il progetto prevedeva percorsi di studio per le superiori di 4 anni, più un quinto anno opzionale raccordato con l’università e finalizzato ad agevolarne l’accesso. Alla fine, anche in ragioni di contrasti sull’argomento all’interno della coalizione di centro-destra, la L. 53/2003 fu licenziata senza questo ulteriore obbrobrio.
Infine, nel 2012, il ministro Profumo riprese il tormentone, costituendo una commissione per vagliare le varie ipotesi per conseguire la maturità a 18 anni. La commissione al termine dei suoi lavori consegnò un corposo documento in cui senza tentennamenti si sostenevano i numerosi vantaggi realizzati togliendo un anno di lezioni agli alunni. La proposta non ebbe conseguenze per la caducità del governo Monti, ma fu ripresa nel 2016 dalla ministra Giannini che non ha fatto in tempo a vararlo a seguito delle dimissioni del governo Renzi.
La nostra sommaria ricognizione ci suggerisce una preziosa indicazione: governi di centro, di centro-sinistra e di centro-destra vogliono o hanno provato a scorciare di un anno il percorso scolastico. Ciò conferma la nostra convinzione che è molto arduo trovare differenze tra governi e schieramenti di censtro-destra e centrosinistra sia nelle politiche scolastiche che in quelle sociali.
Il MIUR promuove un piano nazionale per “verificare la fattibilità della riduzione di un anno dei percorsi” dei licei e degli istituti tecnici, escludendo dalla sperimentazione gli istituti professionali. Il piano è destinato ad una sola classe prima di cento licei e istituti tecnici – statali e privati paritari – previa selezione pubblica sulla base di “progetti di innovazione metodologico-didattica”, secondo un bando nazionale.
La sperimentazione si farà a partire dall’a. s. 2018/19, e coinvolgerà una classe prima per scuola partecipante per ogni anno scolastico seguente, avrà durata quadriennale e si potrà rinnovare al termine dei quattro anni, previa valutazione positiva. Se la valutazione sarà negativa, la scuola non potrà attivare nuove classi prime su percorsi di 4 anni ma potrà solo terminare quelli già avviati. I progetti presentati dalle scuole dovranno essere in linea con gli orientamenti del PTOF e deliberati dagli organi collegiali competenti.
Le classi sperimentali potranno essere articolate diversamente dal gruppo classe fruendo di didattica laboratoriale e, negli ultimi due anni di corso, dovranno attivare l’insegnamento di almeno una disciplina non linguistica con metodologia CLIL (lo studio di una disciplina in una lingua straniera). Inoltre il curricolo potrà essere articolato anche con insegnamenti opzionali. L’orario di lezioni annuali e settimanali in queste classi dovrà essere rimodulato, al fine anche di “compensare, almeno in parte, la riduzione di una annualità del percorso scolastico per conseguire gli obiettivi specifici di apprendimento previsti per ciascun indirizzo di studi, e per realizzare progetti di ASL”.
Stesse regole per la Maturità sia per i chi fa i 4 anni sia per chi ne fa 5. Il Miur istituirà il Comitato scientifico nazionale scegliendone i membri tra esperti dei diversi percorsi di istruzione secondaria e verificherà l’andamento della sperimentazione attraverso le relazioni annuali ricevute dai Comitati scientifici regionali che dovranno valutare annualmente i risultati delle sperimentazioni delle singole scuole.
Complessivamente l’accorciamento di un anno di scuola non ha ricevuto accoglienze calorose. Scontati gli entusiasmi di Confindustria e del succitato Luigi Berlinguer in cerca della rivincita che lo trasformerebbe da esponente dei potentati politico-economici a precursore incompreso di cotanta innovazione. Le censure e i rifiuti del progetto riduzionista sono arrivate da svariate parte e possiamo sintetizzare i punti critici nel modo seguente. È solo una manovra economica: le stime dicono di 1 – 1,5 miliardi di euro di spesa in meno nel bilancio istruzione perché occorreranno un quinto in meno di docenti e ATA.
Non si capisce come in quattro anni si possano raggiungere realmente i medesimi obiettivi formativi di un percorso quinquennale, anche prevedendo un allungamento del tempo scuola dei quattro anni che non potrà eguagliare quello dei 5 anni. Comporta un allungamento dell’orario giornaliero con minor tempo per lo studio casalingo, l’anticipo di materie come la filosofia per i licei al secondo anno con alunni non sempre pronti, la richiesta di maggiore velocità di esecuzione per gli studenti, il che è in netto contrasto con l’esigenza pedagogica di tempi più distesi per un’effettiva ricostruzione personale del sapere.
È farsesco il presunto ingresso anticipato nel mondo del lavoro sostenuto dal MIUR, alla luce dei dati sull’occupazione giovanile e sulle caratteristiche delle professionalità ricercate dal mercato. Non si capisce quale nesso ci sia tra la presunta esigenza di introdurre innovazioni e il taglio di un anno di lezioni. Perché non si applicano le innovazioni metodologiche e didattiche direttamente agli attuali licei quinquennali?
La riorganizzazione oraria e didattica creerà curricoli differenziati per ogni scuola pregiudicando l’unitarietà del sistema scolastico nazionale. L’analoga esperienza della laurea breve (il famigerato 3 + 2) ha dato esiti totalmente opposti a quanto annunciato dai suoi sostenitori (ma perfettamente in linea con quelli sottaciuti: rendere selettiva l’Università, sfornare manodopera dequalificata e sempre più docile): sono aumentati i tassi di abbandono, sono diminuiti la preparazione dei laureati, gli iscritti all’Università e le percentuali dei neo-laureati che trovano lavoro.
Mancano i presupposti teorico-scientifici alla sperimentazione dato che si lascia alle singole scuole la possibilità di aderire con uno specifico progetto, falsando fin dall’inizio i risultati. Si coinvolge in una presunta sperimentazione un’élite di duemila alunni non rappresentativi dell’universo studentesco italiano che darà esiti sicuramente eccellenti ma senza alcun valore statistico.
Come tutti gli interventi fatti sulla scuola negli ultimi decenni, si tratta di una disposizione apicale che non ha coinvolto i docenti. Non è vero quanto sostenuto dal MIUR che le superiori a 4 anni rispondono all’esigenza di un adeguamento delle superiori italiane al resto degli Stati europei. I sistemi di istruzioni nei Paesi UE sono molto variegati e, in sintesi, si distinguono in quelli che terminano il percorso scolastico a 18 anni (13 paesi, tra cui Spagna e Francia ) e quelli che lo terminano a 19 anni (15 paesi tra cui Italia, Germania, Danimarca). E poi, scrive Pierluigi Battista, “siamo certi che le scuole europee dovrebbero essere oggetto privilegiato di imitazione proprio sul numero degli anni di studio e non, per dire, sulla serietà degli studi, sulla solidità degli edifici scolastici, sulla preparazione degli insegnanti e anche sulle loro retribuzioni?”.
In aggiunta, sono necessarie ulteriori notazioni. Le classi coinvolte nella sperimentazione non saranno 1 per ognuna delle 100 scuole scelte, ma 4, perché diventeranno 2 nel 2019/20, 3 nel 2010/21 e 4 nel 2021/22. Normalmente una sperimentazione finisce, ha una durata certa: in questo caso non è previsto un termine temporale e non si capisce quando cesserà e si valuterà. Precedenti esperienze di sperimentazioni nella scuola ci indicano che il loro significato è solo d’immagine. Così è accaduto, ad esempio, con il Progetto Cl@ssi 2.0, promosso dal MIUR in associazione con la Fondazione Giovanni Agnelli e la Fondazione per la scuola della Compagnia San Paolo (che ne hanno sostenuto le spese).
Il progetto, svoltosi dal 2009 al 2011, era rivolto alle classi della scuola media, col fine di “registrare” il cambiamento “ambientale” prodotto dall’introduzione delle nuove tecnologie nelle aule. hanno partecipato al progetto 156 classi di 155 scuole; ogni classe ha preso un finanziamento di 30 mila euro vincolati al progetto, per un totale, dunque, di 4 milioni e 680 mila euro. Intanto il progetto è partito in ritardo e, soprattutto, ogni scuola si è mossa per conto proprio.
“Il ministero non è stato in grado di esercitare alcun controllo sulla sperimentazione. I ricercatori che hanno steso il rapporto [finale] parlano spesso di «inquinamento» e di «contaminazione» della scena sperimentale. Nessuna distinzione è stata garantita tra classi sperimentali e classici confronto. (…) Non tutte le scuole hanno, poi, lavorato alla stessa maniera. C’era chi, il computer, se lo portava a casa, e chi, invece, poteva lavorare solo per la metà del tempo. I presidi hanno selezionato le classi sperimentali scegliendo spesso quelle con gli studenti migliori e rendendo così inattendibili i risultati. Di più lungo corso, dunque, più stabili e di maggiore esperienza didattica, erano pure gli insegnanti coinvolti direttamente nel progetto. (…) Alla fine la situazione è risultata talmente compromessa che uno dei ricercatori scrive: «Nelle condizioni descritte fin qui è risultato difficile ricostruire un quadro completo di cosa sia effettivamente accaduto nelle classi coinvolte nel progetto». (…) Con invidiabile aplomb gli estensori del rapporto scrivono che «da questo punto di vista la rilevazione degli effetti della sperimentazione è difficilmente misurabile con indicatori oggettivi, e non può basarsi sulla percezione del corpo docente»” (Adolfo Scotto di Luzio, Senza educazione, il Mulino 2016).
Riteniamo che anche la sperimentazione della ministra Fedeli farà un percorso simile: nessun risultato scientificamente valido (dati le premesse: campione non rappresentativo, presupposti teorici inesistenti, durata imprecisata ecc.) ma il MIUR potrà dire tra un paio d’anni: “Sulla base della sperimentazione fatta, possiamo estendere le superiori a 4 anni a tutte e scuole”. Tanto chi controlla gli esiti?
[“Cobas”, 2/2017]
E sì, è la storia del lupo e dell’agnello: è già deciso che la scuola pubblica deve essere distrutta didatticamente e ridotta temporalmente; tutto il resto sono argomenti ‘ad hoc’.