Il colore dell’odio
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Emanuel Pietrobon)
Il risveglio del suprematismo bianco e la nuova ondata di disordini razziali negli Stati Uniti rischiano di far detonare una nuova rivolta di Los Angeles, questa volta su scala nazionale; ma sono davvero i Wasp a guidare la classifica dell’odio?
Abort all white male children: con questo tweet provocatorio, Stephanie Gurstein, un’insegnante di Chicago, ha surfato l’onda di razzismo antibianco che si sta abbattendo sulla terra delle opportunità a colpi di crimini d’odio, disordini razziali, abbattimenti di statue e monumenti accusati di generare divisione e simboleggiare razzismo. La lotta contro il risveglio del nazionalismo bianco e la brutalità poliziesca razzialmente motivata è scemata in una deriva altrettanto razzista e violenta, diretta contro i bianchi e contro tutto ciò che li rappresenta. Il vero paradosso è che questo clima è alimentato e sostenuto da una cospicua fetta di pensatori, politici, giornalisti e personaggi riciclatisi intellettuali per l’occasione, tutti rigorosamente bianchi e di orientamento politico liberal-progressista, come la sopracitata signora Gurstein. Che cosa ha trasformato il sogno americano in un incubo? Per scoprirlo bisogna fare, inevitabilmente, un passo indietro.
Forse, negli Stati Uniti, la costruzione d’una società realmente egualitaria, senza distinzioni razziali, è più un miraggio che qualcosa di raggiungibile: dalla fondazione ad oggi, sono più di 150 i disordini urbaniscoppiati per tensioni interrazziali o interetniche. Molte delle violenze, hanno causato numerose vittime, trasformando le città in campi di battaglia in cui i bersagli da abbattere erano dei connazionali colpevoli di avere un altro colore della pelle.
Con il tempo, i rapporti tra i wasp – ossia i bianchi protestanti, discendenti dei primi coloni, e gli altri popoli europei, immigrati successivamente – si sono normalizzati, per via della loro avvenuta americanizzazione, ma le relazioni sono rimaste in una fase di stallo con gli altri americani, afroamericani in primis. La tensione tra i bianchi e i neri americani ha iniziato a diventare stellare dall’epoca delle lotte per i diritti civili, gli anni di Martin Luther King e Malcolm X, delle violenze delle Pantere Nere e della Nazione dell’Islam, della trasformazione del pugile Mohammed Alì in un’icona culturale, simbolo della lotta afroamericana per la definitiva liberazione dalle catene dell’oppressione della white nation.
Poi, nel 1992, arrivò Rodney King, un tassista afroamericano il cui brutale pestaggio da parte di quattro poliziotti, bianchi, in seguito ad una fuga automobilistica, e la loro assoluzione in tribunale, scatenò una guerriglia urbana a Los Angeles, la città del fatto, durata sei giorni. 63 morti e oltre 2mila feriti, questo fu il bollettino (di guerra) della sommossa, che sin da subito mostrò i suoi connotati razzisti. Quando si parla della rivolta della città degli angeli, si parla di Rodney King e del razzismo della polizia, ma ci si dimentica di Reginald Denny, un automobilista picchiato e ridotto in fin di vita da quattro afroamericani – ribattezzati gli LA Four, per il solo fatto di essere bianco.
Il paese non si è mai ripreso completamente dalla rivolta di Los Angeles; da allora le comunità vivono in uno stato di quiete nervosa, periodicamente rotto da crimini d’odio commessi da gang afroamericane contro altre etnie o viceversa, o dalla brutalità poliziesca
Da Rodney King a Michael Brown, l’afroamericano ucciso da un poliziotto bianco, la cui morte ha scatenato le violenze di Ferguson nel 2014, qualcosa è cambiato, ma in peggio: la società multirazziale statunitense è più divisa che mai, la rabbia si trasforma subito in violenza, l’odio riempie i discorsi di politici e predicatori delle comunità e ogni controversia è suscettibile di assumere contorni razziali. Non è un caso che le ultime elezioni presidenziali siano state caratterizzate da violenze e che il voto dei wasp sia stato essenziale per la vittoria di Trump, colui che ha promesso di riportare la nazione ai fasti di un tempo, strizzando strategicamente l’occhio all’elettorato della destra più conservatrice, nostalgica e razzista, apparentemente in crescita per via dell’aumentato risentimento covato dal bianco americano medio nei confronti della società.
Corey Saylor, portavoce del Council of American-Islamic Relations, commentando l’aumento dei crimini razziali avvenuto dalla fine della presidenza Obama, ha accusato Trump d’aver creato un clima d’odioper esigenze elettorali. Ma, chi sono le reali vittime di questa esplosione di violenza? Secondo l’ultimo rapporto del Fbi sui crimini d’odio, nel 2015, i reati razzialmente motivati contro i bianchi, sono passati dall’essere il 10,5% al 18,7% del totale, facendone la seconda categoria più colpita, dietro gli afroamericani; e, complessivamente, i crimini d’odio hanno subito un incremento del 20%.
In un paese la cui storia è intrisa del sangue di africani comprati sulle coste dell’Africa occidentale, prima schiavizzati, poi linciati, segregati e infine inclusi obbligatoriamente, l’aumento del razzismo anti-biancopotrebbe essere interpretato come un ritorno di fiamma, anche comprensibile, ma i rischi sono enormi. L’aumento dei sentimenti anti-bianchi, sommato alle preoccupazioni scaturite dalle nuove traiettorie demografiche del paese, ha galvanizzato un risveglio spirituale, nel fondamentalismo evangelico e uno politico, nel nazionalismo bianco, due fenomeni che vorrebbero invertire le attuali tendenze demografiche: secondo le più recenti proiezioni dell’US Census Bureau, entro il 2050 – a parità di condizioni, il 53,7% della popolazione americana sarà non bianca, un evento dalle conseguenze politiche, culturali e religiose importantissime, considerando che nel 1960 i bianchi rappresentavano l’85%. La psicosi antibianca potrebbe essere probabilmente esagerata e strumentalizzata ad arte dalla nuova destra americana, quella che si definisce alternativa, ma è indubbio che le tensioni interrazziali abbiano raggiunto un picco storico. Negli Stati Uniti, i crimini razziali sono perseguiti seriamente ed esiste una task force del FBI che si occupa di monitorare la situazione dei gruppi razzisti attivi nel paese, di qualsiasi schieramento siano, ma l’odio – qualsiasi cosa se ne dica, fa più notizia quando colpisce la comunità afroamericana, perché il sistema mediatico è dominato da un politicamente corretto a visione unica, che non vuole vedere la realtà dei fatti, perché troppo scomoda, e agisce in ogni modo per insabbiarla.
Persino quando a gennaio scorso, quattro giovani afroamericani, sequestrarono e torturarono un disabile, bianco, a Chicago, trasmettendo le violenze in diretta su Facebook, sullo sfondo d’un ripetitivo Fuck Donald Trump, fuck white people, la polizia decise di trattare il caso come un crimine d’odio motivato dalla disabilità della vittima, negando la chiara evidenza. Commentando l’episodio, il Southern Poverty Law Center, per voce del suo direttore Richard Cohen, ha denunciato la pericolosa polarizzazione in atto e l’aumento dei crimini di odio da parte di ogni comunità, smentendo le dichiarazioni dell’ex presidente Barack Obamaall’indomani del fatto medesimo, secondo cui non starebbe aumentando l’animosità tra le varie comunità etnorazziali del paese. Sempre Cohen, nello stesso intervento, ha sostenuto di ritenere la retorica anti-Trump un sinonimo di anti-bianco, invitando a non sottostimare le violenze commesse contro i seguaci del presidente dal pre-elezioni ad oggi.
Per dare un’idea di quanto il sistema mediatico ruotante attorno il mondo liberal tenti di nascondere i crimini d’odio antibianchi, basterebbe leggere la mappa dell’odio del 2017, pubblicata da ThinkProgress, un progetto di divulgazione politica del Center for American Progress. La mappa divide ed evidenzia la percentuale dei crimini commessi contro ebrei, islamici, afroamericani, latinoamericani, comunità Lgbtq ed altri gruppi – questi ultimi si pongono come terza categoria più attaccata, leggendo i dati, e includono persone di altri colori ed elettori di Trump. Un comportamento molto strano per una classifica che vorrebbe mostrare in maniera minuziosa e dettagliata quali comunità sono più oggetto d’odio nel paese, ma che maldestramente svia la situazione dei bianchi. Mentre i crimini d’odio aumentano, nel totale oscuramento mediatico, la retorica antibianca raggiunge livelli sempre più alti, ottenendo il plauso unanime da parte del mondo progressista. Salon, una rivista online seguita mensilmente da quasi 20 milioni di persone, pubblica periodicamente articoli carichi di astio verso i bianchi, come “White men must be stopped: The very future of mankind depends on it“, un invito ad abbattere il sistema valoriale biancocentrico, o “Why I don’t write about anti-white hate crimes like the Fresno murders“, in cui l’autore spiega che dare visibilità ai tre omicidi a sfondo razziale perpetrati lo scorso aprile da Kori Alì Muhammad, farebbe il gioco dei suprematisti, sostenendo inoltre che sia stata la società, razzista ed escludente, a trasformarlo in un assassino; per finire, Devega prevede una condanna più severa di quella che toccherebbe ad un bianco a parti invertite, dato il razzismo imperante nel sistema giudiziario americano.
Non sono soltanto blog, giornali ed intellettuali dalla discreta notorietà ad inveire contro la coscienza storico-culturale del paese, ma anche persone e riviste con un largo seguito, quindi ancora più pericolose. Michael Moore, noto documentarista, ha plaudito alle ultime proiezioni dell’Us Census Bureau, sostenendo che gli Stati Uniti saranno un paese migliore soltanto quando i bianchi saranno una minoranza. Su Twitter, Jordan Horowitz, noto produttore cinematografico, è diventato la nuova icona dei liberal dopo aver scritto che tutti i maschi bianchi, eterosessuali sono sessisti e razzisti. New Republic, in “Earth Day is Too White and Out of Touch With Reality“, ha accusato i bianchi d’ipocrisia, impegnati a godersi i cosiddetti privilegi acquisiti inquinando il pianeta, mentre il resto del mondo ne paga il prezzo.
Il problema non è l’abuso della libertà d’espressione, ma la trasformazione delle parole in azioni: sullo sfondo di questa bombardante campagna mediatica vengono abbattuti o vandalizzati monumenti e statue, accusati di ritrarre il passato razzista e colonialista dell’Occidente. A Los Angeles, Denver e Seattle è stata cancellata l’annuale parata del Columbus Day, non ritenendo più, Cristoforo Colombo, un simbolo della storia americana, ma un simbolo d’odio. Intanto, nell’università del Minnesota, il gruppo di discussione United Tongues ha adottato un regolamento in cui impedisce ai bianchi eterosessuali di partecipare agli eventi da esso promossi nel campus universitario.
Sì, gli Stati Uniti sono attraversati da una tremenda tensione sociale e razziale che rischia di sfociare in un’estesa crisi dalle gravi ripercussioni e non per causa del risveglio del nazionalismo bianco, ma per l’apatia e il senso di colpa da occidentale che affliggono l’americano medio. Un senso di colpa che sta lasciando il destino del paese tra due opposti estremismi in lotta contro quello che ritengono il colore dell’odio.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/inevidenza/razzismo-anti-bianchi/
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