Referendum Catalogna, le ragioni di Barcellona e quelle di Madrid
di TGCOM24
Quando si vota, dove e cosa potrebbe accadere già 48 ore dopo. Gli autonomisti sono sicuri della vittoria, Madrid minimizza la portata del referendum. I temi cruciali della contesa
Catalogna al voto, Spagna al contrattacco. Alla vigilia del referendum indipendentista, in programma per domenica primo ottobre non si placa la tensione tra autonomisti e governo centrale. Siamo al muro contro muro. Ma qual è la posta in palio? Cosa accadrà domenica e, soprattutto, da lunedì in poi?
IL VOTO – Sono quasi 5 milioni e mezzo gli elettori con diritto di voto. Il Govern ha annunciato che saranno aperti 2.315 collegi elettorali con 6.249 seggi.
Nonostante il massiccio dispiegamento di forze dell’ordine (quattromila poliziotti della Guardia Civil e migliaia di agenti dei Mossos d’Esquadra), gli indipendentisti non intendono annullare la chiamata alle urne. Il referendum si svolgerà sicuramente, almeno in alcune zone. La vittoria del movimento indipendentista è quasi scontata, ma è improbabile che il distacco da Madrid avvenga subito dopo il voto. E anche il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, smorza i toni: “Una dichiarazione unilaterale di indipendenza non è sul tavolo”, ha sottolineato.
IL QUESITO – Secondo quanto stabilito da una legge approvata dal Parlamento catalano, gli elettori troveranno sulla scheda elettorale una sola domanda: “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?“. Il risultato è vincolante anche se contrasta con la Costituzione spagnola. Il testo approvato a Barcellona prevede anche che, se i cittadini votassero per la secessione, l’indipendenza debba essere dichiarata entro due giorni dalla proclamazione dei risultati.
LA CONTESA – Come molte Costituzioni europee, anche quella spagnola definisce lo Stato “uno e indivisibile“. Il governo centrale, di conseguenza, sta facendo di tutto per fermare la deriva indipendentista. Le autorità catalane coinvolte nell’organizzazione del voto sono agli arresti, circa dieci milioni di schede sono state sequestrate, i siti informativi sul referendum risultano inaccessibili. “Lo dico con calma e con fermezza: non ci sarà nessun referendum”, ha detto il premier Mariano Rajoy, che ha posto i Mossos d’Esquadra sotto il controllo della Guardia Civil. Le reazioni di Barcellona non si sono fatte attendere. “La Spagna ha di fatto sospeso il governo catalano applicando lo stato di emergenza” ha denunciato Puigdemont. Poi ha confermato l’avvio della consultazione, specificando che “nessun tribunale o organo politico”, può esautorare l’esecutivo regionale.
I SONDAGGI – Secondo un rilevamento commissionato a luglio dal governo catalano, il 49% dei cittadini è contrario alla secessione. Ma, oltre a poter vantare il successo della consultazione del 2014, gli indipendentisti tengono le redini della regione. Alle elezioni del 2015 la coalizione di partiti separatisti, Junts pel sì, ha conquistato il 48% dei suffragi.
UNA STORIA MILLENARIA– La Catalogna è una delle 17 regioni autonome spagnole, con una popolazione di 7,5 milioni di abitanti. Contribuisce ad un quinto dell’economia del Paese. Nel 2015 il Pil catalano ammontava a 204 miliardi di euro, una cifra equivalente al 19% del Pil spagnolo. La regione ha proprie tradizioni e lingua locale, e la spinta indipendentista è considerata tra le cause della Guerra civile degli Anni ’30.
La Catalogna, una delle regioni più ricche della Spagna, vide revocati i suoi privilegi nei decenni della dittatura di Francisco Franco (1939-’75). I nazionalisti catalani ripresero la lotta e ottennero l’autonomia nel 1978, quando fu promulgata la nuova Costituzione. Ulteriori concessioni nel 2006, quando la parola “Nazione” fu inserita nello statuto regionale.
LA LOTTA INDIPENDENTISTA E IL REFERENDUM DEL 2014 – Nel 2010 la Corte costituzionale spagnola cancella parte delle conquiste sancite dal documento del 2006. Esasperati dall’erosione della loro autonomia, dalla crisi economica e dai tagli alla spesa pubblica, gli indipendentisti organizzano un referendum non vincolante nel 2014. La vittoria è schiacciante: l’80% dei votanti dicono sì alla secessione. Un ulteriore endorsment alla causa indipendentista arriva l’anno successivo, quando gli autonomisti vincono le elezioni locali. E questa volta, i catalani decidono di sfidare apertamente Madrid, annunciando una consultazione mirata all’addio definitivo alla Spagna.
SPAZIO PER UN COMPROMESSO? – I ministri spagnoli dicono che sono contenti se i catalani festeggiano e manifestano domenica e il governo a Madrid sta aprendo la porta a riforme costituzionali. Potrebbero essere pronti a offrire una piu’ ampia autonomia finanziaria, ha detto il ministro dell’Economia Luis de Guindos al Financial Times. Ma potrebbe non essere abbastanza per Carles Puigdemont e per la leadership catalana.
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