Elezioni tedesche. Per chi suona la campana?
di UGO BOGHETTA
Si fa un gran parlare dei risultati delle elezioni tedesche e, ovviamente, del risultato della destra.
Forse qualcuno pensava che, viste le politiche di austerità, la situazione della Germania est (il doppio di disoccupazione), l’arrivo in blocco di un milione di rifugiati, si potesse avere un risultato diverso!?
Tuttavia, l’errore più grave che vedo in certe analisi o, meglio, reazioni pavloviane, è quello di pensare che coloro che hanno votato AfD siano tutti razzisti. Una regola aurea è quella di non identificare mai nettamente chi vota con chi è votato. Non credo che siano tutti razzisti. Non credo che lo siano ancora. È, dunque, un grave errore in Germania come in Italia forzare questa lettura: si aiuta un processo che ancora non è compiuto. Per essere ancora più chiari: a volte è un certo antirazzismo ad alimentare il razzismo. A questo proposito lo scrittore Peter Schneider in un’intervista a Repubblica afferma: “Molti elettori di Afd sono persone normali, con preoccupazioni che fin dall’inizio sono state bollate come razziste o neonaziste. Così li abbiamo spinte in un angolo dell’estremismo: ma questo non aiuta, anzi”. Schnedeir poi sostiene che queste persone non sono poveri ma si sentono perdenti e non comprese dal discorso ufficiale. A me non sembra che le cose stiano esattamente in questi termini, forse il voto può essere composito a seconda che si guardi ad ovest piuttosto che a est. L’ipotesi culturale non esclude quella sociale.
Tuttavia credo si debba riflettere quando aggiunge, criticando la campagna del SPD, che non è tanto la questione sociale a determinare questo voto ma: ”l’insicurezza globale”. Un groviglio di questioni, dunque, che stanno nel liberismo e negli effetti multipli della globalizzazione.
In questo quadro il risultato della Linke appare buono. Ha aumentato i voti di mezzo milione (dall’SPD), ma ne ha anche ceduti verso AfD. La questione “insicurezza” mal impostata ha contato. Tuttavia mi sembra sia un risultato autoreferenziale: di massa, e non è poco. Ciò, tuttavia, può comportare problemi con la collocazione all’opposizione del SPD. Anche la Linke, dunque, è nella situazione di dover fare un salto politico-culturale.
Val la pena di riflettere anche sulle dichiarazioni dell’intellettuale polacco Adam Michnich. Egli invita l’SPD e tutta la socialdemocrazia a reinventarsi. Il buffo ed il tragico della cosa è che questa viene criticata come se fosse ancora socialdemocratica mentre da lustri è diventata liberal-liberista-blairiana: cane da slitta del liberismo. In questa scambio di nomi e di significati non si comprende quale potrebbe essere la nuova identità visto che le due possibili soluzioni sono state già esperite. Rimane solo l’agonia. Ed è proprio questo uso del termine “sinistra” e la confusione consenguente che rende il tutto impresentabile e inutilizzabile.
Stante questa situazione e queste verifiche, la cosiddetta sinistra radicale, i comunisti in Italia potrebbero avere un grande spazio se solo sapessero reinventarsi. Succede in Spagna, Francia, Inghilterra.
Per chi suona la campana? Per chi la vuol sentire!
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