L’unica possibilità (la profezia di Basso)
di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
- Il dibattito seguito al post “Vademecum per la difesa della sovranitàdemocratica” non ha soltanto consentito di approfondire la tematica delle politiche socio-economiche effettivamente seguite dalla Germania nazista.
Tra i commenti, infatti, è stato citato, da natolibero, un discorso di Lelio Basso del 1949, inserito nel “Ciclo totalitario” (peraltro citato in precedenza più volte nei post e nei commenti). Lo riproduco arricchendolo dei links a post e fonti che trattano di argomenti corrispondenti (a cominciare dalla grande bufala EU=Eurss, se non si comprende l’origine e la necessitàconservativa del totalitarismo dello “Stato liberale”, “bufala” la cui mancata comprensione può fenomenologicamente spiegare perché le prossime elezioni saranno inutili).
- Ecco le profetiche analisi e soluzioni offerte da Basso nel 1949 (!):
“La nostra analisi non sarebbe compiuta da un punto di vista marxista se non cercassimo di trarne le necessarie deduzioni sull’atteggiamento che il movimento operaio deve assumere di fronte a questa tendenza totalitaria in atto del mondo capitalistico.
Ora il punto di partenza per trarre utili deduzioni deve essere questo appunto, che noi non siamo in presenza di un fenomeno involutivo particolare all’Italia e spiegabile con motivi particolari tratti dalla nostra storia, e, meno ancora, dalla nostra educazione politica o dalla nostra psicologia (v.qui, p.10, qui e qui), bensì di una tendenza generale del mondo capitalistico, che, quanto più procede verso forme monopolistiche e di alta concentrazione (qui, p.4), tanto più diventa incompatibile con un regime democratico, e sia pure di democrazia borghese.
Le forme democratiche possono sussistere, ma sono svuotate di ogni contenuto e di ogni reale efficacia, in quanto il potere politico tende ad identificarsi sempre più col potere economico e ad essere sempre più espressione degli interessi dei pochi gruppi monopolistici.
Questo processo, che si verifica in tutti i paesi capitalistici e naturalmente si inserisce nelle particolari situazioni sociali e storiche (per cui se il fenomeno in se stesso non è spiegabile con motivi particolari dei singoli paesi, questi motivi particolari diventano importanti per capirne e combatterne gli aspetti determinati e le espressioni diverse che esso assume nei differenti paesi), si trova oggi coordinato su scala mondiale dalla guida dell’imperialismo americano, che tende ad unificare il mondo, sia i paesi coloniali che i paesi a economia capitalistica, sotto una comune norma di sfruttamento, adattata alle più diverse circostanze.
Ne consegue che, in ogni singolo paese, politica internazionale (e cioè vincoli di subordinazione verso l’America e di inserimento nel “grande spazio” dello sfruttamento americano), politica economico-sociale (tendente a favorire i gruppi monopolistici più forti e quindi, in via normale, quelli di portata internazionale, garantendone i profitti a scapito del tenore di vita dei lavoratori e dei ceti medi e a scapito dell’indipendenza delle piccole, medie e talvolta anche relativamente grandi imprese), e politica interna (tendente ad escludere le classi lavoratrici da ogni reale influenza sul potere e successivamente ad eliminare ogni serio controllo parlamentare e di opinione pubblica, asservendo i sindacati, la stampa, ecc.) sono in realtà tre aspetti di un’unica politica, che non possono essere considerati e combattuti separatamente.
Quali siano queste trasformazioni di struttura abbiamo già più volte indicato: esse vanno dal superamento dell’economia di concorrenza alla conseguente distruzione della produzione indipendente, cioè non legata a gruppi (v. p.14), sia essa piccola, media o relativamente grande, dall’abbandono di certi tipi di produzione industriale alla trasformazione delle culture agrarie in relazione alle direttive dell’imperialismo americano e alle sue esigenze disfruttamento di un solo grande mercato europeo, dalla cartellizzazione e cosiddetta “razionalizzazione” dell’industria, alla modificazione delle abituali correnti di traffico, dall’abbandono di difese doganali alla rinuncia a sovranità nazionali, dalla subordinazione dei poteri pubblici alle direttive dei monopoli fino alla creazione di un sistema di sicurezza del grande capitale capace di garantirgli la tranquillità del profitto e di socializzarne le perdite.
Tutto questo processo è evidentemente destinato ad accrescere la disoccupazione operaia, ad aumentare il livello di sfruttamento delle masse contadine, e, in misura forse ancora maggiore, a sgretolare e pauperizzare i ceti medi, a soffocare ogni libertà di pensiero e ad avvilire intellettuali e tecnici al rango di servi dell’imperialismo.
Non importa se i nostri avversari si riempiono la bocca di formule altisonanti di democrazia: la loro politica, più ancora di quella di Hitler, è la minaccia più grave che abbia fino ad oggi pesato sulle possibilità di sviluppo democratico dell’uomo moderno.
È chiaro perciò che la politica della classe operaia deve essere una politica capace di interessare non soltanto gli operai stessi, ma altresì tutti quei ceti – e sono l’immensa maggioranza della popolazione – che la politica dell’imperialismo distrugge od opprime sia economicamente sia spiritualmente (sempre qui, p.4 e peraltro nel solco di una precedente visione di Gramsci e Rosa Luxemburg) e coi quali noi dobbiamo ricercare i mezzi e le vie per creare un nuovo equilibrio di forze sociali che rovesci quello oggi in via di consolidamento.
Dev’essere chiaro per tutti che le forze, che oggi si sono insediate al governo del nostro paese,non hanno alcuna possibilità di tornare indietro dalla strada su cui si sono avviate (qui,pp. 7-8 e qui) e che è la strada del domino totalitario dello stato per conto dei grossi interessi capitalistici; e che perciò la sola possibilità offerta a chi non vuole soggiacere a questa nuova edizione del regime fascista che si profila, è di opporvisi con tutte le proprie energie, non per tornare indietro o per stare fermi, ma per allearsi con tutte le forze decise a creare un nuovo equilibrio che segni un passo avanti sulla strada della democrazia e del progresso.”
Ciclo totalitario (3), «Quarto Stato», 1-31 lug.-15 ago. 1949, n. 13/14/15, pp. 3-6.
- Per inquadrare il senso profondo della consapevolezza “bassiana” – proprio in quanto ormai completamente, e tragicamente, avulsa da qualsiasi discorso svolto “a sinistra”- facciamo un passo indietro nella storia del ‘900.
Rammentiamo perciò questa sintesi di Trotskij riportata da un commento di Arturo (il cui nick diviene misteriosamente criptato…). Il commento riguarda il destino europeo, e più di tutti italiano, nella dialettica, ancora attuale, tra egemonia tedesca (endogena) e egemonia degli Stati Uniti (quasi-esogena), focalizzando sulla natura della seconda:
“Alla fine la differenza è fra un’egemonia economica, unione monetaria inclusa – (il link è all’articolo di Gattei sull’ “euro dei Nazi e il nostro”, del 2014, anno per molti versi “fatidico”, il cui quadro ricostruttivo andrebbe, per la verità, integrato con il “Rapporto von Ribbentrop” del 21 marzo 1943) -, appoggiata direttamente sulle armi tedesche (senza naturalmente sminuire gli aspetti ideologicamente più aberranti e mostruosi che vi si sono accompagnati sotto il Terzo Reich, da cui però non bisogna neanche farsi abbagliare), oppure sull’imperialismo “pacifista” americano, come lo definiva sarcasticamente Trotskij (Le prospettive di una rivoluzione mondiale, 1924):
“Fatto notevole: è a scopo d’interesse che l’America ha alimentato la guerra attraverso la sua industria; è a scopo di interesse che è intervenuta, per schiacciare un temibile concorrente; e, tuttavia, è riuscita a mantenere una solida reputazione di pacifismo. È uno dei paradossi della storia, paradosso che non ha e non avrà niente di divertente per noi. L’imperialismo americano, fondamentalmente brutale, spietato, rapace, grazie alle particolari condizioni dell’America, ha la possibilità di avvolgersi nel mantello del pacifismo – cosa che non possono fare gli avventurieri imperialisti del vecchio mondo. Ciò dipende da ragioni geografiche e storiche.
Gli Stati Uniti non hanno avuto bisogno di mantenere un esercito di terra. Perché? Perché sono separati dai loro rivali da immensi oceani. […] Ecco la principale ragione geografica che ha permesso loro di agghindarsi con questa maschera del pacifismo. In realtà, contrariamente all’Europa e agli altri paesi, l’America, fino ad ora, non aveva esercito. E se ne ha uno, è perché vi è stata costretta. Chi l’ha costretta? I barbari, il kaiser, gli imperialisti tedeschi.
La seconda ragione della reputazione di pacifismo degli Stati Uniti, bisogna cercarla nella storia. Essi sono intervenuti nell’arena mondiale quando l’intero globo terrestre era già conquistato, diviso e oppresso. Per questo l’avanzata imperialista degli Stati Uniti si effettua sotto le parole d’ordine: «Libertà dei mari», «Frontiere aperte» ecc. ecc. Perciò, quando l’America è costretta a compiere apertamente una canagliata militarista, agli occhi della sua popolazione e, in una certa misura, di tutta l’umanità, la responsabilità incombe unicamente sui cittadini ritardati [nel senso di ritardatari] del resto del mondo.”
Finché l’accordo regge…
(Certo però sarebbe simpatico vivere in un mondo un po’ più civile…)”.
- Non è dunque possibile, che il vincolo €sterno, e la sua incarnazione nell’UE-M, si sgretolino, e consentano alle nazioni democratiche di perseguire gli interessi dei loro popoli, se prima non si verificano le condizioni che sono riassunte in questa, ormai “antica”, descrizione:
“Il problema è che gli USA, non paiono coscienti di quanto in Europa l’operazione di distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad auspicare (“le irrinunciabili riforme strutturali”), conduca ad un assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l’introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Cioè, in specie, un diverso modello di banca centrale capace di coadiuvare le politiche espansive che tutt’ora mettono al centro di ogni possibile soluzione della crisi da domanda.
Dimenticando, tra l’altro, la loro stessa propensione all’intervento pubblico sulla spesa, come attestano i ben diversi andamenti dei deficit pubblici tra bilancio federale e area UEM.
Non hanno capito che, una volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le riforme strutturali provocano un effetto politico di raffozamento delle tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome “dell’apprendista stregone”, (opposta a quella del “questa volta è diverso”).
Una volta evocato il capitalismo sfrenato non si può poi fermarlo a piacimento: il “lavoro-merce” diviene un problema di arretramento oltre gli stessi desiderata dell’improvvido apprendista.
Riusciranno a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di “recupero” delle potenzialità dei mercati UEM?
…Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica: il neo-liberismo, non è buono se legato alle “nuove” politiche monetarie e all’occupazione precarizzata, apparente, nel settore dei servizi a basso valore aggiunto, mentre diviene “cattivo” se trasposto in Europa in forma di ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca.
Il liberoscambismo è un blocco unico di tendenze politiche che in Europa poteva affermarsi solo nella forma attuale: diversamente non sarebbe stato possibile fronteggiare, avversandola in modo vincente, decenni di applicazione delle Costituzioni democratiche. Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Ma non è possibile ritenere che un ripensamento di questo genere avvenga, da parte loro, in tempi accettabilmente brevi e senza traumi al loro stesso interno.
Per questo, anche alla luce delle attuali “voci” critiche verso l’ordoliberismo instaurato in UEM, ma virato irresistibilmente verso il mercantilismo (autodistruttivo), mi sento ancora di più di affermare:
“Sto cominciando a maturare la convinzione che, in assenza di stalinismo alle porte, è impossibile replicare la stagione keynesiana-costituzionale post 1943.
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell’interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell’informazione…(segue)”
Solo entro la consapevolezza di questo quadro può collocarsi un’azione utile, per l’interesse democratico nazionale, da parte di qualsiasi forza politica.
Fonte: http://orizzonte48.blogspot.it/2017/10/lunica-possibilita-la-profezia-di-basso.html
Commenti recenti