Costretti a lavorare anche la domenica, altrimenti avanti un altro. Ma così ci distruggono la vita
di LUCA TELESE
Da giorni, commentando la notizia delle madri che hanno scioperato per chiedere di poter non lavorare quattro domeniche su quattro al mese (e se sono cinque, anche cinque su cinque) ricevo un numero incredibile di commenti e reazioni. Come se avessi detto una eresia.
Oggi questo polemiche si sono infittite, dopo il solenne richiamo dei Vescovi, secondo cui il diritto al “riposo domenicale” è sacro e inviolabile per ognuno di noi. “Possono chiederlo ai loro fedeli – sostengono molti – non a tutti gli italiani”. Il no al riposo si legittima con una sorta di anticlericalismo posticcio. Niente di più falso: ci sono molte motivazioni perfettamente laiche (e che nulla hanno a che fare con la dottrina religiosa) per spiegare che anche ai non cattolici il diritto al riposo deve essere riconosciuto.
Ne discuto a Radio24 (animatamente) con il mio amico-gatto Oscar Giannino (il nostro spazio si chiama “Cani e gatti”). Lui è convinto che quello di disporre del proprio calendario festivo non possa essere considerato un diritto assoluto inalienabile: “Dimmi per quale motivo – afferma Oscar – uno non può recuperare i propri turni di riposo in un altro giorno della settimana”. E ancora: “Anche io sono un libero professionista in cui lavoro, spesso insostituibile, deve essere svolto, con buona pace della famiglia, il sabato e la domenica”.
Affermazioni apparentemente piene di buonsenso, se non fosse che l’organizzazione della vita dell’80% del paese reale ruota intorno ad orari verticali, e al principio che il week end è sacro e inviolabile. Senza trascurare un dettaglio: un libero professionista come Oscar (ma come chiunque altro svolga professioni liberali) spesso è molto ben pagato per il suo lavoro non-sostituibile (“una firma” per definizione è unica) mentre un lavapiatti o una cassiera, se il datore di lavoro ha un minimo di buonsenso (e di capacità organizzativa) dovrebbero poter essere sempre sostituibili.
È facile rispondere ad Oscar Giannino e a chi la pensa come lui (infine) che la domenica si svolgono le feste, i pranzi di famiglia, i pic nic di classe nei parchi, i matrimoni, i battesimi, le partite di pallone a cui quelle madri (e quei padri) chiedono di poter partecipare. In una parola: la vita sociale, che non è un lusso per mantenuti, ma una esigenza insopprimibile. Ho in mentre l’immagine di bambini che partecipano regolarmente a tutti questi eventi da soli, e so bene (cosa che molti ignorano) che alcuni contratti, come quelli del commercio, non consentono maggiorazioni di salario per questo lavoro straordinario dei loro genitori.
È bastato aprire i microfoni della radio per ricevere decine di testimonianze in questo senso. Aneddoto personale. Ricordo benissimo che per un anno, dopo aver comprato casa, lavorai senza interruzione per cinquanta settimane pur di abbattere le spese di ristrutturazione (che con il mio ordinario stipendio di redattore non riuscivo a sostenere), fino a quando il buonsenso del mio caporedattore dell’epoca (Mario Sechi) non mi impose il riposo forzato. Uscii dalla routine controvoglia e subito crollai. Al ritorno dimezzai i miei “straordinari” (a due domeniche al mese) e imparai a conoscere la forza (e anche il fascino) dell’istinto di auto-sfruttamento quando hai una necessità di far quadrare i conti. Aggiungo: potevo sostenere quello sforzo a 30 anni, da scapolo, oggi da padre non potrei più farlo.
Ma il mio contratto da giornalista dell’epoca era molto generoso con lo straordinario domenicale, il gioco valeva la candela. A tanti dipendenti di oggi a cui si chiede di lavorare oggi – invece – non viene in esso nemmeno un moccolo in cambio di questo imperativo: devi essere presente sempre quando ti viene chiesto, devi farlo anche se non hai maggiorazioni salariali, devi farlo anche se il tuo contratto formalmente non ti obbliga a farlo (perché altrimenti non vieni rinnovato).
I grandi alibi dei datori di lavoro solo la lotta contro Amazon e l’E-commerce, la necessità di offrire un servizio, l’imperativo di essere aperti sempre per smaltire prodotti deperibili. So bene che alcuni lettori di questo sito mi scrivono protestando o accusandomi per questa posizione di principio (è accaduto proprio oggi) di essere un trinariciuto di “sinistra”. Credo al contrario che il diritto al lavoro non possa mai essere considerato un regalo o una concessione. E che non ci sia nulla di più liberale di chiedere ai datori di lavoro di fare l’impossibile per garantire il riposo. C’è in questa ferocia contro chi chiede il riconoscimento di diritti elementari un segno dei tempi che stiamo vivendo, l’idea che il lavoro debba essere considerato un regalo, una concessione, un gioco da prendere o lasciare, altrimenti avanti un altro. Ecco perché da questo paradosso si esce solo trovando un equilibro difficile, ma sorretto da una cornice solida: il riposo della domenica non può essere un dogma, ma il vicolo del lavoro domenicale perenne è un sopruso.
Fonte: http://notizie.tiscali.it/esteri/articoli/no-lavoro-di-domenica/
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