Le diete che uccidono
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Se un dietologo vi dicesse che dovete perdere ad ogni costo il 30% del vostro peso nel giro di un mese, la riterreste una pretesa illogica e impossibile e dubitereste della sua professionalità. Mirare a un proposito di dimagrimento così drastico e repentino, oltre a determinare l’irraggiungibilità dell’obiettivo prefissato comporterebbe, nel tentativo disperato di perdere più peso possibile, danni collaterali notevoli. L’adozione di un regime dietetico di quasi-digiuno produrrebbe di certo effetti pericolosissimi sulla salute, rischiando di danneggiare irreparabilmente i tessuti di organi vitali. I legittimi dubbi sulla serietà dello specialista diverrebbero certezze nel momento in cui vi proponesse di amputarvi gli arti superiori per aumentare le possibilità di conseguire il risultato prefissato. Di fronte a una simile richiesta, dovreste prendere atto di trovarvi di fronte a un pazzo squilibrato da denunciare immediatamente alle autorità competenti.
Nell’Unione Europea accade qualcosa di molto simile.
Gli obiettivi di bilancio imposti ai paesi membri sono illogici, perché non si basano su alcuna evidenza scientifica, impossibili da conseguire e, soprattutto, pericolosi per la salute delle economie degli stati aderenti all’unione. Il patto di bilancio europeo, noto come “Fiscal Compact”, viene adottato nel marzo del 2012 e ratificato dal parlamento italiano quattro mesi più tardi, con il voto favorevole di tutte le forze di governo che hanno rappresentanza parlamentare (si opposero solo la Lega con il voto contrario e l’IDV con l’astensione).
Questo importante passaggio, che costituisce l’evoluzione del patto di stabilità e crescita sancito con il trattato di Amsterdam del 1997, irrigidisce le già insostenibili regole di bilancio imponendo una dieta drastica, impossibile e dannosa alle finanze pubbliche italiane. L’obiettivo di ridurre significativamente il rapporto del debito sul PIL per portarlo alla soglia del 60% in un ventennio è illogico, irrealizzabile e pericoloso.
Illogico, perché non esiste alcuna evidenza scientifica su quale sia il livello di debito pubblico ottimale (in Giappone, per esempio, ha superato il 250% del PIL e verosimilmente toccherà il 300% entro i prossimi dieci anni).
Irrealizzabile, perché per l’Italia comporterebbe la necessità di conseguire un avanzo di bilancio di 75 miliardi l’anno, chiaramente un obiettivo impossibile da perseguire. Per fare un esempio, l’abolizione delle Province e la sterilizzazione del Senato che si sarebbero realizzati con la riforma costituzionale bocciata dal referendum dello scorso 4 dicembre, avrebbero comportato, nella migliore delle ipotesi, un risparmio della spesa di 500 milioni di euro. Mezzo miliardo. Il tentativo disperato di inseguire questo obiettivo impossibile ha comportato l’adozione di una legge di rango costituzionale che ha introdotto il pareggio di bilancio nei principi regolatori dei conti pubblici. Questo limite impedisce di dare concretezza ai principi sanciti nella prima parte della Costituzione, perché vincolare per sempre la spesa al conseguimento del pareggio vuol dire rendere incostituzionale qualsiasi misura di deficit spending, cioè rendere impossibile l’investimento pubblico e, in definitiva, arrendersi all’idea di non poter finanziare interventi che incentivino l’occupazione e mitighino le disuguaglianze in periodi di crisi attuando le necessarie politiche anticicliche.
Oltre che illogico e irrealizzabile, come dicevo, questo obiettivo di dimagrimento del debito pubblico è dannoso. L’unico modo per tentare disperatamente di recuperare una tale entità di risorse, infatti, è quello di suggerire l’amputazione degli arti cui si accennava.
Così l’Italia è costretta a tagliare la spesa pubblica nei settori vitali, chiudendo presidi ospedalieri e provvedendo alla razionalizzazione (che è diventata sinonimo di taglio) dei servizi di quelli che restano in piedi o producendo norme che inducano i medici a ridurre all’essenziale le prescrizioni dei farmaci. Gli organici vengono ridotti all’osso, negli ospedali, come nelle scuole e negli enti pubblici, sovraccaricando il personale restante di incombenze che amplificano i problemi di inefficienza della macchina amministrativa. I plessi scolastici vengono accorpati e le spese di gestione ordinaria caricate sui contributi “facoltativi” richiesti alle famiglie. Le risorse per mettere in sicurezza gli edifici che non rispettano le norme antisismiche languono. Non vengono risparmiate neanche le forze di pubblica sicurezza in questi tagli orizzontali, così non di rado sentiamo i sindacati di polizia lamentarsi della carenza dei mezzi, del contingentamento delle risorse che impone persino il razionamento del carburante per le automobili di pattuglia e degli straordinari estenuanti cui sono costretti uomini spesso sottoposti a ritmi di lavoro inconciliabili con il delicato compito che devono svolgere.
Anche lo smantellamento della previdenza pubblica persegue questo obiettivo di dimagrimento. Per noi nati negli anni ‘80 la pensione sarà maturata dopo i settant’anni e sotto la soglia della minima, pertanto sarà certamente necessaria un’integrazione privata, se lo stato non interverrà per compensare il trattamento dell’intera platea.
Basterebbe leggere il contenuto dei trattati che ratifichiamo per capire cos’è l’Unione Europea. È quel dietologo che ci convince a morire di fame e a tagliarci le braccia per perdere peso, perché secondo lui, se pesiamo 80 kg, è necessario perdere 24 kg nei prossimi trenta giorni per stare meglio. E noi obbediamo. Chi non l’ha ancora capito lo capirà presto sulla propria pelle.
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