Le società del malessere: gli Stati Uniti /2
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Emanuel Pietrobon)
Malattie alimentari, disturbi mentali e di genere, suicidi e una nuova epidemia di droghe pesanti stanno letteralmente uccidendo la popolazione degli Stati Uniti.
I problemi della prima potenza mondiale non riguardano solo la diffusa delinquenza giovanile, le tensioni inter-etniche, il dramma del record delle sparatorie di massa e le difficoltà di creare le condizioni adatte per ridurre le disparità sociali ed economiche che hanno prodotto la più numerosa popolazione carceraria del pianeta. L’allarme sociale è causato anche da altri eventi, che stanno letteralmente uccidendo gli Stati Uniti, anch’essi – come gli altri trattati nel precedente approfondimento – largamente ignorati dalle autorità e finora privi di una soluzione. In quali condizioni di salute versa la popolazione della società del benessere (o malessere) per antonomasia? Innanzitutto, secondo il National Center for Hearth Statistic, l’aspettativa di vita dalla nascita, dopo anni di crescita, nel 2015 si è ridotta di 0.1 punti, posizionandosi a 78.8 anni: la prima riduzione dal 1993, l’anno nero dell’epidemia di Aids.
Tra i motivi alla base del calo, l’aumento di 8 delle 10 principali cause di morte, tra cui ictus, diabete, suicidio, malattie cardiache, renali e dell’apparato respiratorio. Non è un caso che il calo dell’aspettativa di vita sia avvenuto in concomitanza all’aumento di coloro che soffrono di obesità, che è alla base di buona parte dei problemi suscritti, che rappresentavano il 38% della popolazione adulta americana nel 2016 e che dovrebbero aumentare di 4 punti percentuali entro il 2030, secondo i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC).
La cultura del cibo spazzatura della fast food nation ha giocato un ruolo fondamentale nella diffusione dei disturbi alimentari nel paese e sono stati nulli gli effetti di campagne governative tese alla sensibilizzazione sul fenomeno, come Let’s Move inaugurata sotto l’amministrazione Obama, o le iniziative di contrasto all’ignoranza alimentare, come l’introduzione di nuove etichettature dei beni alimentari tese ad informare il pubblico consumatore sui loro valori nutrizionali. Non solo obesità, ma anche epidemia di suicidi, divenuti la prima causa di morte per i maschi adulti sotto i 50 anni in accordo con il CDC. Nel 1999 il tasso di suicidio era di 10 persone ogni 100mila abitanti, nel 2014 era salito a 13.
Chi e perché decide di togliersi la vita? L’identikit del suicida medio è quello del maschio bianco, in età matura, con problemi lavorativi o di famiglia, ma la scelta di uccidersi è aumentata in ogni etnia, sesso e categoria sociale. Il disturbo post traumatico da stress (DPTS) contribuisce in maniera importante ad instillare negli statunitensi tendenze suicide, trattandosi del paese con le percentuali più alte di persone affette dalla patologia: il 3.5% della popolazione adulta la sperimenta annualmente (contro lo 0.5% – 1% della media globale) e si manifesta, almeno una volta nella vita, al 9% degli statunitensi, secondo le stime dell’American Psychiatric Association del 2013. Emblematico il caso dei suicidi tra gli universitari, i militari e i veterani. Secondo il Dipartimento degli Affari dei Veterani, tra i 20 e i 22 ex militari si tolgono la vita quotidianamente, per un totale di circa 8mila suicidi l’anno. Tra le cause alla base del malessere che affligge militari ed ex militari, il DPTS e le difficoltà di reintegrazione nella società causate dall’esperienza bellica o dal mancato riconoscimento del valore sociale dell’impresa svolta.
Nelle università statunitensi, complici l’elevata competizione, la tensione emotiva e la pressione legata alle aspettative personali e al costo dell’istruzione, il suicidio è diventato la seconda causa di morte tra gli studenti, secondo quanto denunciato dal College Degree Search. Il tasso dei suicidi tra gli universitari statunitensi è di 7.5 ogni 100mila studenti, per un totale di 1100 suicidi l’anno. Poche e infruttuose le iniziative promosse per contrastare il problema, tra cui l’istituzione del National Graduate Student Crisis Line e della National Action Alliance for Suicide Prevention. In aumento vertiginoso anche le morti per overdose da sostanze stupefacenti, soprattutto eroina e droghe sintetiche, e da farmaci oppiacei, come l’OxyContin e il Fentanyl. Le morti per droga sono quadruplicate tra il 1999 e il 2015 secondo il CDC. Soltanto tra il 2014 e il 2015, il tasso di morti per overdose da eroina è passato da 6.2 ogni 100mila abitanti a 14.7.
Un servizio-inchiesta del New York Times che ha creato molta discussione nel paese, ha stimato in oltre 59mila i morti da overdose per droga nel 2016, in aumento del 19% rispetto all’anno precedente, in cui se ne registrarono 52.404. Come nel caso dei suicidi, l’identikit del tossicomane e farmacodipendente medio è un bianco americano adulto, seguito a grande distanza da afroamericani e latinos. Secondo uno studio di Arthur Williams e Adam Bisava per il New England Journal Of Medicine particolarmente sottovalutato è l’allarmante fenomeno della dipendenza da OxyConti, Fentanyl e altri farmaci oppioidi, di cui farebbero uso circa 95 milioni di persone l’anno, di questi 2.4 milioni ne sarebbero dipendenti, sviluppando successivamente dipendenza da eroina, una crisi paragonabile a quella dell’Aids degli anni ’90. Emarginazione sociale, malessere esistenziale, problemi familiari, smarrimento nella società dell’ipercompetizione capitalistica nel mondo studentesco e lavorativo, i fattori alla base dell’aumento delle tossico- e farmacodipendenze. Particolarmente significativo è il caso dell’Ohio, lo Stato che ha sofferto maggiormente la recente crisi economica e che è sede del più elevato numero di morti per droga della nazione, 2590 soltanto nel 2015.
Oggetto di studio è anche la diffusione della povertà, soprattutto quella estrema, anch’essa divenuta un serio problema nazionale. Coloro in stato di povertà nel 2015 erano tra i 43 milioni e i 46 milioni, ossia quasi il 15% della popolazione totale, di questi quasi 21 milioni vivrebbero in condizioni di povertà estrema. Una situazione che ha colpito ogni comunità etnica, soprattutto quella latinoamericana: nel 2016, secondo l’organizzazione caritativa Pan para el Mundo, il 18.5% delle famiglie versava in condizioni di indigenza. Nel 2016, secondo il Dipartimento dell’Agricoltura, 15.8 milioni di famiglie statunitensi nel corso dell’anno hanno avuto difficoltà a nutrirsi, cifre in linea con le stime di Feeding America secondo le quali quasi un americano su 7 ogni notte va a letto senza mangiare.
Il caso dell’impoverimento degli statunitensi è stato argomento di approfondimento da parte della professoressa Elisabetta Grande, che nel recentissimo libro Guai ai poveri ha raccontato il paradosso americano: la creazione ed accumulazione di ricchezza dal 1976 ad oggi ha prodotto ricadute positive solo su una piccola parte della popolazione, lasciando che la maggioranza pagasse i costi di tale processo e, sebbene i poveri siano presuntamente 46 milioni, coloro che vivono al limite della sussistenza, senza riuscire a soddisfare altro che i bisogni primari, sarebbero circa 105 milioni. Si tratta di numeri discutibili, ma confermati anche da enti autorevoli del settore come Oxfam America ed Economic Policy Institute, secondo i quali nel 2015 la metà di tutti i lavoratori statunitensi riceveva una paga oraria al limite della sopravvivenza. L’impoverimento non ha riguardato solo la classe media e le più deboli comunità etniche, ma anche le famiglie, facendo aumentare il numero dei minori in stato di povertà alimentare: 16 milioni e 700mila nel 2013 secondo Feeding America, in aumento di 600mila unità rispetto all’anno precedente.
Ma la popolazione statunitense vive anche altri problemi, di natura psichiatrica, come l’aumento dei casi di disturbi dell’identità di genere. Un’indagine del Public Religion Research Institute del 2015 ha evidenziato che i Millennials sono la generazione più incline a tendenze omosessuali, bisessuali e la più identificata in un genere diverso dal sesso di nascita, il 7% del totale. Un simile sondaggio effettuato quest’anno dalla nota organizzazione lgbt GLAAD avrebbe invece messo in luce che il 20% dei Millennials non si identificherebbe con un genere.
Non solo i più giovani degli statunitensi, ma il 4,1% della popolazione adulta – secondo il Williams Institute, nel 2016 si identificava come appartenente ad un’identità lgbt, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti. Le cifre sono state ovviamente accompagnate da un aumento del ricorso ad operazioni di chirurgia di riassegnazione di genere, soprattutto da persone di bambini ed adolescenti. Secondo l’American Society of Plastic Surgeons, questo tipo di trattamenti ha subito un picco del 20% nel 2016, rispetto all’anno precedente.
L’aumento dei casi di riassegnazione di genere tra i bambini è stato così vertiginoso che in tutto il paese sono state aperte cliniche apposite, come quella dell’ospedale pediatrico di Boston, una delle più laboriose del paese. Secondo il direttore dell’unità di genere del suscritto ospedale, il dottor Norman Spack, i disordini d’identità di genere sarebbero sempre più frequenti tra i bambini e ne soffrirebbe 1 ogni 10mila. In un rapporto pubblicato da Spack sul tema bambini e riassegnazione di genere, è emerso come il paziente più giovane mai trattato dalla clinica avesse soltanto 4 anni, troppo pochi per imparare a contare fino a 20, ma abbastanza per finire vittime delle follie delle società del malessere.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/societa/stati-uniti-2-societa-del-malessere/
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