Il tema dell’uscita dall’euro (e dall’Europa) sembra ormai essere sdoganato definitivamente, quando solo pochi anni fa anche solo pensarlo sembrava scandaloso, per la legge del piano inclinato, il tema ha smosso coscienze e si è diffuso a macchia d’olio. Il nostro collega Raffaele Alberto Ventura, alias Eschaton, propone delle interessanti domande al fronte cosiddetto “sovranista”; noi che rifiutiamo decisamente questa impropria dicitura, ci siamo prodigati nel voler tentare di rispondere al limite delle nostre capacità, per poter dimostrare che non tutti hanno idee confuse e vaghe. Ecco quello che ne è venuto fuori.
Se si smettesse di considerare un tabù l’uscita dell’Italia dall’Euro (e parlare di questioni monetarie di cui comunque nessuno capisce niente) sarebbe l’occasione di chiedere ai sovranisti di chiarire a grandi linee il loro progetto, ammesso che esista. Esclusi dalla zona Euro e potenzialmente sottoposti a una ritorsione commerciale dai nostri attuali partner, verso quali paesi concentreremo i nostri scambi?
Non c’è nessun dato certo per quanto riguarda le ritorsioni commerciali dai nostri attuali partner – ipotizzando che esista ancora una zona euro dopo la nostra uscita – prima di tutto perché siamo importatori netti verso la zona UEM di 4.02 miliardi di euro. Appare in questo caso difficile che per ritorsione i nostri vecchi partner smettano di venderci i loro prodotti, essendo Germania e Francia i primi due paesi da cui importiamo con una quota del 24,8% sul totale del nostro import. Concentreremmo i nostri scambi dove li abbiamo sempre concentrati, area euro compresa, trattando all’uscita con i singoli paesi – come per altro si dice stesse facendo la Germania sul fronte Brexit – ma anche con il Regno Unito che anch’esso necessita di nuovi partner commerciali dopo l’uscita dall’Unione Europea.
Si potrebbe pensare anche di potenziare gli scambi verso fronti dove da anni siamo importatori netti, la Cina per esempio (importiamo dall’area dell’Asia Orientale, al netto, 6.6 miliardi), grazie ad un minor costo dei nostri prodotti dato dal cambio e attraverso il potenziamento dei nostri accordi sul fronte della Belt and Road Initiative. Ma anche incrementare su quei fronti dove praticamente l’interscambio è inesistente, quali: Oceania, America Centrale e Meridionale e Asia Centrale, se infatti sommiamo l’export in queste tre aree (21 miliardi), non arriviamo a quello rivolto verso la sola Asia Orientale (29.5 miliardi).
Quali settori andrebbero sviluppati per autoconsumo e quali per esportazione, in funzione dei bisogni e dei reciproci vantaggi competitivi?
Appare evidente che i settori destinati all’autoconsumo sono il settore primario, risultando essere importatore netto per 6.95 miliardi, che non riesce a essere compensato dall’utilizzo di tali beni dall’industria alimentare per prodotti finiti in cui siamo esportatori netti; infatti, la risultante del settore rimane negativa per 4.5 miliardi. L’Italia vista la persistente assenza di materie prime è da sempre stata un paese trasformatore e votato all’export di prodotti finiti (che rappresenta quasi il 95% del nostro export). Ecco quindi che naturalmente si delineano i settori che andrebbero sviluppati: prodotti finiti ad alto tasso tecnologico, prodotti di lusso, ma anche i grandi prodotti dell’industria alimentare (vino, insaccati, formaggi, ecc.). È importante sottolineare che la svalutazione della nuova moneta adottata non costituirà un improprio aumento del costo del prodotto finito, questo perché sarebbe compensato dal minor prezzo dato dal cambio, essendo oltretutto prodotti ad alto valore aggiunto.
Sarebbe poi necessario sviluppare un rafforzamento in sede commerciale del made in Italy e far sì che i distretti e le realtà territoriali sappiano fare sistema. Questo indipendentemente dalla permanenza o meno nell’euro e dalla valuta di scambio risulterebbe un fattore chiave nell’espansione dell’interesse commerciale nazionale. Si pensi ad aree strategiche come la siderurgia. Importiamo infatti prodotti siderurgici per il 3,7% del totale dell’import, quando abbiamo grandi acciaierie nazionali costrette alla chiusura. Sarebbe forse anche una questione di interesse nazionale rendere più caro, attraverso il cambio, l’acciaio estero, per poter salvare soprattutto importanti posti di lavoro e il know-how italiano.
Se fosse necessario reinternalizzare certi settori economici per garantirsi una parziale autosufficienza, quali sarebbero i tempi operativi e i modi previsti per ristabilire le filiere?
Non ci sono interi settori economici che in Italia sono completamente scomparsi, con una vasta sottoutilizzazione del sistema produttivo e una domanda interna stagnante il problema decisamente non si pone. Attraverso l’incremento della domanda interna, la filiera grazie alla grande distribuzione, alle nuove tecnologie di servizi informativi oltre che al grande sviluppo delle aziende di logistica potrebbe essere ristabilita in tempi moderatamente brevi, non è possibile di certo stabilire una precisa tempistica, ma si può ipotizzare il tempo limite di un anno.
In un contesto pressoché emergenziale di unità nazionale, quale spazio di libertà verrebbe lasciato ai sindacati? (nota storica a margine: non fu proprio l’impostazione nazionalista del PCI togliattiano e dei grandi sindacati negli anni della ricostruzione a porre le basi della successiva reazione operaista contro politiche giudicate troppo concilianti?)
È la stessa natura del sistema neoliberista ad aver guidato l’involuzione del sindacato sino allo stato attuale delle cose: non sarebbe certamente l’uscita dall’euro a stravolgere uno status già snaturato da almeno tre decenni. La perdita della raison d’etre dei sindacati non passa per nessuna emergenza nazionale, ma è necessario che si valuti in maniera sistemica, che si esca o si rimanga nell’euro e nell’Europa.
Visto che avete letto Laclau: quali compromessi politici (sui diritti civili ad es.) si potranno accettare per tenere in piedi il fronte sovranista, nel momento in cui apparirà evidente che per tenere assieme le forze necessarie si dovrà aggregare una domanda politica proveniente da destra?
Tali compromessi andrebbero valutati caso per caso, anche perché di questo passo sarà la domanda politica proveniente da destra a dover aggregare il fronte proveniente da sinistra.
Come spiegherete ai giovani già incazzati perché non trovano lavoro nel terziario avanzato all’altezza dei loro studi che ve ne saranno ancora meno nel momento in cui il paese dovesse gestire una transizione verso un’economia meno integrata nella divisione internazionale del lavoro?
L’Italia fuori dal mercato comune e dall’euro non sarà meno integrata a livello internazionale, come non lo sarà la Gran Bretagna (o non lo sono gli USA), la cui economia è in gran parte terziarizzata. Considerando anche l’aumento della domanda interna (per un ovvio aumento del costo delle importazioni) e il relativo aumento della produzione, l’aumento della richiesta nel terziario avanzato non sarà indifferente. Va anche detto che questo problema dei giovani (che va di pari passo con quello delle pensioni) è un problema che va affrontato a livello interno in ogni caso, che si esca dall’euro o che si rimanga dentro perché da tempo l’ascensore sociale è “out of order”.
In concreto, come chiuderete le frontiere all’immigrazione dal Mediterraneo? Chi vi finanzierà? Come gestirete (o non gestirete) i flussi in uscita verso il Nord Europa? Cosa farete contro i carri armati austriaci?
La riduzione dei flussi nell’ultimo anno, 2017, non è stata conseguita grazie ad un cruciale intervento dell’Europa, ma grazie all’attivismo del Ministro dell’Interno Marco Minniti (che è spiccato forse perché il suo predecessore e adesso collega agli esteri è talmente incompetente che rasenta l’assenza). I flussi vanno in primis ridotti, grazie a ciò che una volta veniva chiamato Cooperazione e Sviluppo, permettendo il debellamento del grande profitto dato dal traffico di esseri umani che trova sfogo in Niger e in Nigeria, aiutandole nello sviluppo delle loro economie, come scriveva nell’edizione di novembre 2017 Andrea Riccardi su Limes. Facendo si che il continente africano non continui a spopolarsi di una delle risorse più preziose che possiede, ovvero la forza lavoro. Ribadiamo, cosa ha fatto l’Europa contro i carri armati austriaci? Contro la polizia francese a Ventimiglia? Assolutamente niente.
Insomma, come gestirete le infinite conseguenze di una scelta tanto radicale?
Attraverso la strutturazione di un piano condiviso e oculato, gestendo la transizione facendo valere l’interesse nazionale (termine che ormai sembra quasi far paura) e la razionalità. Considerando un fatto non trascurabile, l’Europa e l’euro sopravvivrebbero ad una uscita dell’Italia? Bisogna inoltre sottolineare (cfr. ultimo numero di Limes) che anche Paesi come la Germania hanno elaborato piani strategici per gestire un’eventuale uscita dall’Unione monetaria o un collasso dell’Unione Europa. Al di là della reale volontà politica di giungere a tale estrema conseguenza, il caso del collasso dell’eurozona va tenuto in considerazione come opportunità non implausibile per i prossimi due decenni. Farsi trovare impreparati di fronte a una situazione del genere potrebbe causare conseguenze devastanti. Elaborare un piano di uscita “unilaterale” non rappresenta dunque solo un esercizio mentale, una prova di fantapolitica o una provocazione, ma aiuterebbe a capire meglio a quali conseguenze l’Italia andrebbe in contro anche nel caso in cui il collasso dell’Eurozona o dell’intera Unione Europea si verificasse per altre, imprevedibili cause.
Detto ciò, vorremmo far notare l’ipocrisia di chiedere al fronte che sostiene l’uscita dall’euro di presentare un programma strutturatissimo dove quasi viene chiesto di prevedere il futuro, ma chi sostiene lo status quo può permettersi di avere dei programmi scompaginati, vaghi e senza prospettive. Purtroppo anche il mantenimento dello status quo ha dei rischi e non è detto che questi rischi superino i benefici, ma soprattutto che siano rischi inferiori rispetto all’uscita dalla moneta unica. Per questo, ci siamo prodigati nel formulare a nostra volta delle domande per il fronte europeista:
1) Visto e considerato che negli ultimi due anni se siamo riusciti ad avere una ripresa dell’export – e del PIL – è stato grazie ad un euro in forte discesa, con un euro in forte risalita dovuto alla ritrovata große koalition tra CDU-CSU e SPD e la preparazione dei mercati verso la fine del QE, dove concentreremo i nostri scambi?.
2) Ammettiamo che il successore di Mario Draghi alla BCE riesca a non farsi influenzare dai falchi tedeschi e continui il programma di QE e l’euro torni ad un livello – sul mercato dei cambi – a noi più favorevole, come pensate di rianimare la domanda interna se un euro per noi favorevole è per la Germania una moneta ancora più sottovalutata rispetto alla sua economia che si traduce in un ancora minor costo (e quindi una maggiore competitività) dei suoi prodotti (rispetto ai nostri) in territorio italiano?
3) Come pensate di risolvere l’impasse costituito dalla necessità, rimanendo nei trattati fiscali europei, di dover continuamente praticare politiche fiscali restrittive per poter rientrare nel pareggio di bilancio, deprimendo la domanda e in questo modo l’introito fiscale – come successe nel 2011 con Mario Monti al Governo – costringendovi ad aggravare la politica fiscale restrittiva (per compensare il mancato l’introito), che deprimerà nuovamente la domanda, continuando questo infinito circolo vizioso (in cui siamo da appunto il 2011, senza peraltro riuscire a diminuire il debito pubblico che ha ricominciato a crescere)?
4) Come pensate di risolvere il problema della necessità di svalutare continuamente il lavoro (di cui il Jobs Act è la prova), visto che non è possibile svalutare la moneta (essendo fortemente sopravvalutata) per rendere competitivi i nostri prodotti all’estero? Come vi ponete di fronte al drammatico problema della svalorizzazione dell’idea di lavoro portata avanti dall’ideologia neoliberista, quando politiche fiscale decisamente aggressive imposte dall’austerità ostacolano dal principio la possibilità di investimenti in innovazione tecnologica atti a migliorare la produttività?
5) Come pensate di risolvere il problema della disoccupazione giovanile e in generale della disoccupazione quando il DEF citando la metodologia della commissione europea discussa in sede OGWG, individua ancora nel 2028 un NAWRU (Non Accelerating Wage Rate of Unenployment, il tasso di disoccupazione che non fa aumentare prezzi e salari) di 9.8 punti percentuali?
6) Come pensate di mantenere in piedi il fronte europeista quando la necessità, imposta dai trattati europei e dalla moneta unica, di continuare con politiche antisociali eroderà i vostri consensi (come peraltro è già accaduto non solo qui in Italia, ma anche ai Socialisti in Francia e all’SPD in Germania)? Perché nei vostri proclami di “più Europa” non si sente mai alcuna riflessione seria sul tema di un’Europa sociale, capace di sviluppare un livello di crescita più inclusiva e non necessariamente manifestazione di logiche di carattere neoliberista?
7) Nei vostri annunci per un cambiare l’Europa, perché non si è mai preso in considerazione (e portato avanti) un salario minimo europeo per limitare la delocalizzazione e un’eguale tassazione a livello europeo sui capitali e sulle imprese per contrastare i cosiddetti “Stati canaglia”? Come pensate di risolvere questa situazione?
8) L’unico modo per tenere in piedi la moneta unica e l’unione politica è la necessità di una unione fiscale sul modello americano, che intrinsecamente prevede dei trasferimenti di ricchezza dai paesi del Nord a quelli del Sud. Come pensate di convincere l’élite tedesca ad accettare questo fatto quando da dieci anni ormai continua la propaganda anti-italiana in Germania e in Europa, coronata dalle parole di Dijesselbloem “non puoi spendere tutto in alcool e donne e poi chiedere aiuto”?
9) Se, dopo la volontà italiana di portare avanti una riforma non voluta da Bruxelles (per via della stabilità dei conti), la BCE dichiarasse di non garantire più i titoli italiani (facendo cavalcare lo spread e riproducendo, in pratica, la crisi del debito sovrano del 2011), come vi comportereste? Come gestireste una tale situazione?
10) Insomma, come gestirete le infinite conseguenze di una scelta tanto radicale?
Un sito dissidente curioso.
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