Le bollette elettriche non pagate saranno a carico di tutti i contribuenti
de Il SOLE 24 ORE (Jacopo Giliberto)
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PREMESSA: “Profitto privato e socializzazione delle perdite”
Come durante la crisi bancaria del 2008, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un fallimento di tipo imprenditoriale che coinvolge stavolta l’ex azienda di stato ENEL.
Se accettiamo, infatti, il principio della concorrenza tout-court, come ci viene predicato ormai da decenni da tutte le forze politiche, tali aziende dovrebbero semplicemente affrontare una crisi a prescindere dalla difficoltà incontrata (in questo caso dovuto all’insolvenza dei propri clienti), e lasciare il proprio destino nelle mani del mercato. Qust’ultimo, nel caso di chiusura delle imprese, dovrebbe poi provvedere a sostituirle con altre più efficienti.
Così avviene quando ad esempio gli artigiani, oppure le PMI, incontrano serie difficoltà di insolvenza da parte dei loro clienti, vuoi perché la domanda interna sia calata, oppure perché si rivolge il proprio consumo verso mercati esteri più convenienti, tali soggetti economici non sono mai autorizzati a distribuire le proprie perdite in maniera aggregata.
A questo punto, al fine di evitare il crack, si aprono quindi alcuni scenari piuttosto difficili che molti imprenditori italiani però si trovano ad affrontare puntualmente specie da 10 anni a questa parte:
a) l’impresa può procrastinare la condizione di banca rotta facendo richiesta di promulgare i prestiti bancari nell’attesa che, nel breve \ medio periodo, l’economia torni ad essere pro-ciclica. Eppure, come sappiamo, la domanda interna è asfittica ormai dal 2008 e non accenna minimamente a risalire;
b) l’altra opzione può consistere nel delocalizzare. Non si tratta però di una scelta che va bene per tutti, in quanto si riserva a quelle imprese che si trovano ancora nella condizione di poter investire col fine di trasferire impianti e strutture altrove. Di solito tuttavia tali imprese arrivano già con l’acqua alla gola, oppure sono di modesta dimensione, e perciò molto difficilmente riescono ad accedere a questa possibilità;
c) molti sperano infine che la propria azienda indebitata, e ormai prossima alla chiusura, venga acquistata da altre imprese (spesso di provenienza estera) che li possano assumere se pur con tagli significativi ai loro stipendi.
Ora, qualora artigiani e imprese non fossero in grado di accedere a nessuna di queste opzioni, il fallimento dell’azienda sarebbe inevitabile, e con essa vengono meno anche i loro gettiti fiscali. Ovvio che l’ENEL, viceversa, non può essere liquidata in maniera così semplice. La gestione dell’energia elettrica, infatti, fa parte di quei famosi assets strategici che furono saggiamente fatti nazionalizzare durante la ricostruzione dell’immediato dopo guerra, proprio perché in nessun caso si poteva rischiare che divenissero l’oggetto arbitrario di un fallimento da parte della mano invisibile del mercato.
Difatti, insolvenza o meno, un paese industrialmente avanzato non può rimanere privo né di energie, né di materie prime, né di servizi essenziali. Perciò, come è accaduto a suo tempo per MPS, la soluzione per compensare gli ammacchi delle bollette non pagate dovrebbe provenire dal settore pubblico, qualora riuscisse però a sottrarsi dall’obbligo dei vincoli di bilancio europei.
Dunque, la soluzione che è stata trovata dal Tar in questa occasione non solo va contro una insensata preclusione dell’intervento pubblico, ma anche contro il principio di efficenza così tanto decantato in questi ultimi decenni da ogni forza politica. Infatti, se volessimo rispettare la logica interna della narrazione liberale, si diventerebbe in questo modo sostenitori di aziende mal gestite, le quali molto banalmente sono in perdita. Fatto sta che viene concesso loro al contrario di scaricare le proprie responsabilità sulle spalle di contribuenti sani.
Si tratta, appunto, dello stesso meccanismo applicato a quel sistema bancario fallimentare che aveva provocato la crisi epocale del 2008 – 2011, a causa di un eccessivo debito privato, il quale infine le banche non riuscivano più a sostenere. Perciò, attraverso la decisione del Tar, si legittima che lo scoperto di bilancio ENEL venga compensato dalla socializzazione delle perdite. Negli USA, durante il 2008, fu lo Stato ad intervenire mettendo in salvo l’intero comparto bancario commerciale del paese; nel 2011 Monti recuperò 4 miliardi di euro dai risparmi dei cittadini italiani per salvare MPS nonostante gli errori che avevano commesso. Quindi, ora come allora, si è scaricato il problema su altri soggetti, nel caso dell’ENEL sulle famiglie e sulle aziende.
Siamo insomma di fronte ad un’ingiustizia sociale. Tanto per cominciare, nella misura in cui in questo maniera si danneggia il risparmio del settore privato il quale, viceversa, dovrebbe essere tutelato dall’articolo 47 della Costituzione. In secondo luogo, perché viene meno la giustizia sociale che vede PMI e artigiani lasciati al loro destino rispetto ad altri soggetti economici più privilegiati come banche commerciali e imprese strategiche.
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Si stima attorno al miliardo di euro l’insoluto totale delle bollette elettriche non pagate dai morosi, non i morosi che oggi s’inteneriscono per San Valentino ma quelli di ben altra specie che evadono la fattura della corrente. Al posto loro ne pagheranno una parte tutti gli altri consumatori elettrici, quelli che saldano con regolarità il conto della luce. L’hanno stabilito ricorsi e sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, e l’Autorità dell’energia ha formalizzato: sarà distribuita fra tutti i consumatori una prima fetta di “oneri generali” elettrici pari a circa 200 milioni arretrati.
Diverse aziende elettriche erano entrate in crisi, e qualcuna aveva addirittura dovuto chiudere i battenti, quando si è trattato di saldare ai fornitori alcune voci parafiscali della bolletta che erano state fatturate ai consumatori ma non erano state incassate. Il meccanismo per ripartire questa parte di evasione su tutti i consumatori era già stato adottato per il canone Rai, che si paga attraverso la bolletta. Quando la si paga…
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