La lingua è un potente strumento di politica estera, la lezione di Macron
di LINKIESTA (Andrea Camaiora)
I francesi hanno a cuore la loro lingua (tanto da rifiutare forestierismi). E così Emmanuel Macron decide di puntare al rilancio del francese a livello internazionale. L’obiettivo? Essere la terza lingua più parlata al mondo
Nei giorni in cui la politica italiana, dopo una faticosa quadra per eleggere i presidenti delle Camere, si accinge a costruire una maggioranza più che mai ballerina, altri Paesi macinano progetti. Alcuni di grandissimo respiro. È il caso della Francia, la nazione del vecchio continente con la leadership politica più brillante attualmente in campo. Emmanuel Macron si permette di suggerire ricette per sbloccare la paralisi europea persino ai tedeschi, finalmente usciti dallo stallo in cui erano precipitati dopo le elezioni nazionali, e rilancia contemporaneamente il protagonismo francese nel mondo.
Come? Non raddoppiando la spesa militare, non con un tour del Capo dello Stato francese in molteplici capitali del mondo, ma puntando sulla lingua. L’obiettivo dichiarato è portare il francese dal quinto al terzo idioma più parlato al mondo. Il giovanissimo presidente della repubblica recupera così il soft power che ha rappresentato per anni un punto di forza del rilievo della Francia sulla scena internazionale. Bene inteso, i francesi tengono moltissimo alla loro lingua, al punto da rifiutare – al contrario di come fanno gli italiani – le espressioni che giungono dall’estero, anche al rischio del ridicolo. Così, ad esempio, il personal computer è l’ordinateur e i social network sono réseaux sociaux.
Inutile dire quanto appaia siderale la distanza tra il vertice dello Stato francese e quanto ci aspetta dal livello delle discussioni e di gran parte dei protagonisti del nostro quadro politico. Non è velleità quella di Macron: la lingua può essere la strada maestra per dirimere questioni anche particolarmente aggrovigliate, per fare affari, per rafforzare relazioni tra persone, ambienti, nazioni. Dunque, pensano all’Eliseo, confortati dalle proiezioni demografiche che danno in potente crescita le popolazioni africane parlanti francesi, è ora di spingere sull’acceleratore della «Francophonie».
Questo formidabile rilancio, esempio di una politica culturale che si fa al tempo stesso politica estera, economica e di difesa, non è altro che la prosecuzione di un antico pallino di Parigi: il «rayonnement de la France dans le monde», l’influenza della Francia nel mondo si «irradia» secondo le modalità più varie. Macron, insomma, sogna un ritorno prepotente della Françafrique e ha deciso di puntare su questa scommessa. E, in modo scaltro, lo fa con stile abbondantemente post colonialista dichiarando che «il francese si è emancipato dalla Francia, è diventato questa lingua mondiale, questa lingua arcipelago».
Chissà che – in un futuro ideale e speriamo non troppo lontano – qualcuno lo comprenda anche nel nostro sempre più malandato Paese. Altrimenti una cosa grande per l’Italia, come essere diventati il terzo investitore straniero in Africa (posizionamento strategico realizzato in questi ultimi cinque anni), sarà una parentesi chiusa presto, nella migliore delle circostanze, tra un s’il vous plait et un merci…
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