Il suicidio del M5S
di MICRO MEGA
(riprendiamo questo testo dal sito www.micromega.net©Paolo Flores d’Arcais).
di Paolo Flores d’Arcais
In questo mese di trattative per il governo il M5S ha sbagliato tutto.
I consensi ciclopici del 4 marzo erano il frutto di alcune cose semplici ma irrinunciabilmente impegnative: lotta senza quartiere ai privilegi, alle diseguaglianze crescenti, alla corruzione dilagante. Le poltrone non ci interessano, vogliamo portare al governo voi cittadini: questo il messaggio vissuto da milioni di italiani, e per questo vincente.
Dal 5 marzo il messaggio è stato capovolto, irrinunciabile è diventata la premiership di Di Maio, di programmi non si è più parlato, e senza programmi ma con la discriminante Di Maio ci si è rivolti indistintamente a Salvini e Pd, teorizzando i due forni, immemori che i due forni (quanto di più partitocratico e “prima repubblica”) celebrarono la stagione di massima opulenza con Bettino Craxi, versione Ghino di Tacco.
Peggio non potevano fare. Hanno smesso di rivolgersi ai cittadini, i loro interlocutori sono stati solo gli altri inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama. Fino ad alludere a possibili sbracati cedimenti, la flat tax per dire, che oltre che incostituzionale è l’apoteosi del privilegio e dei desiderata dell’establishment più bieco, l’eden di cui invocano puntualmente il ritorno Reagan, Thatcher e altri Trump.
Il programma in dieci punti è stato presentato in zona Cesarini, e rispetto alle promesse elettorali è minestrina tiepida, del resto la precondizione di una politica che faccia argine all’hybris di diseguaglianze – la lotta all’evasione fiscale – era già stata evirata, come analiticamente ricordato in un articolo di Stefano Lepri su “La Stampa”.
La logica dettava tutt’altro, e ovviamente l’avevamo segnalato: pochi punti programmatici in assoluta coerenza con le promesse elettorali, poiché nulla porta al disastro una forza che proclama la lotta ai privilegi quanto l’incoerenza tra dire e fare (“sinistra” docet), nessuna rivendicazione di poltrone ma ovvia pretesa che premier e ministri fossero di assoluta credibilità per quel programma.
Avevamo anche azzardato qualche nome, nomi anch’essi ovvi, quelli che negli ultimi anni i Cinque Stelle avevano agognato e sollecitato in più occasioni. E se in parlamento i voti non ci fossero stati, inevitabile il ritorno alle urne, ma con la chiarezza, e la rabbia crescente, contro chi non avesse sostenuto quello che sulla carta sarebbe stato il miglior governo dell’intero dopoguerra.
Oltretutto tale impostazione avrebbe coinciso anche con intelligenza tattica, nessun dirigente del M5S avrebbe rischiato di bruciarsi, “cattivi” perché amici del privilegio e dei privilegiati sarebbero risultati tutti coloro che si fossero sottratti ad appoggiare la proposta del M5S, e anche il populismo di Salvini avrebbe mostrato quanto poco “per il popolo” fosse e al servizio, invece, di una frazione, benché di massa, di piccoli e medi privilegiati del nord (non si tratta ovviamente di considerare le partite Iva inguaribili nemici, ma non tutte le “masse” sono per l’eguaglianza, un programma non può piacere a tutti).
È possibile che il risultato catastrofico del M5S in Molise (dal 44% al 31%) sia solo espressione del divario altre volte sperimentato tra voto politico e voto locale (anche per mancanze di clientele, assenza da coltivare, sia chiaro), ma era stato Di Maio a suonare la squilla della prima regione a governo Cinque Stelle, e in Molise si era speso molto, insieme a Di Battista.
Ora Fico riceverà il no del Pd, e Di Maio dovrà scegliere tra ingoiare il rospo della destra unita o un governo del Presidente che sarà comunque ammucchiata, magari per rifare una legge elettorale con ballottaggio per coalizioni (destra al governo e in grado di riscrivere la Costituzione), o il ritorno alle urne in condizioni di appannamento vistoso dell’immagine “giustizia e libertà”. Senza contare che se fosse andato in porto il governo Di Maio/Salvini, con quest’ultimo ministro dell’Interno e caccia ai migranti, sarebbe stata la coerenza lepenista del secondo a tenere banco e imprinting del governo presso gli elettori.
In “Gorky Park”, giallo del 1981 giustamente famoso di Martin Cruz Smith, da cui è stato tratto un film altrettanto famoso, a pagina 268 dell’edizione italiana si può leggere questo dialogo:
“‘Lo sa qual è l’alternativa siberiana?’
‘No’
‘E’ una scelta tra due modi di morire congelati. Eravamo andati in gita su un lago ghiacciato, a pescare all’eschimese, quando un nostro professore cadde dentro quel buco nel ghiaccio. L’acqua era poco profonda, gli arrivava appena al collo. Ma non aveva scampo. Se restava dentro l’acqua, sarebbe morto congelato entro trenta o quaranta secondi. Se ne usciva, sarebbe congelato all’istante, trasformandosi in ghiaccio’”.
In Siberia il M5S di Di Maio ci si è messo da solo.
Fonte:http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-suicidio-del-m5s/
Quando uno proietta i suoi desiderata, invece di fare una analisi scevra di passione politica,eh?
L’articolo effettivamente è penoso. Ma che Floris D’Arcais desideri il suicidio del M5S è falso.
Più semplicemente, si tratta di una organizzazione politica molto modesta, al livello programmatico, al livello organizzativo e al livello di classe dirigente, quindi pian piano la sbornia m5s passerà, sebbene per ragioni completamente diverse da quelle indicate dall’autore.