Nel libro autobiografico, “Un presidente non dovrebbe dire che…“, pubblicato nel 2016 pochi mesi prima delle elezioni presidenziali francesi del 2017, l’allora presidente francese François Hollande ammetteva che la Francia avesse “un problema con l’Islam. Non ci sono dubbi”, scriveva. E anche che la Francia avesse un problema con le donne velate in pubblico e con l’immigrazione di massa. Aggiungendo poi: “Come possiamo evitare una spaccatura? Perché è questo dopo tutto ciò che sta accadendo: una spaccatura”.
La “spaccatura” di cui parlava Hollande sarebbe la vera e propria partizione della Francia – una parte per i musulmani e un’altra per i non musulmani.
Il successore di Hollande, il presidente Emmanuel Macron eletto nel 2017, sembra considerare questo rischio di spaccatura più come una soluzione. Tenendo conto delle sue esternazioni e delle sue mosse dopo l’incarico, si può dire che la divisione del Paese sia ormai in corso. Ufficialmente, ovviamente, Macron continua a essere il guardiano della Costituzione, che incarna l’unità nazionale. Ma passo dopo passo, sembra profilarsi una strategia di partizione della Francia.
Il primo passo di questo processo di partizione è stato, a quanto pare, creare un nuovo avversario. Per Macron, infatti, l’avversario non è l’Islam radicale, che molti ritengono responsabile per l’uccisione di centinaia di persone in Francia negli ultimi anni, ma il laicismo radicale, che di sicuro non ha mai ucciso nessuno. Nel mese di dicembre 2017, per esempio, un paio di mesi dopo la sua elezione, Macron ha organizzato un incontro con i rappresentanti delle sei confessioni principali (cattolici, protestanti, ortodossi orientali, musulmani, ebrei e buddisti) all’Eliseo. Durante questo incontro Macron avrebbe “criticato duramente la radicalizzazione del laicismo“. A parte questa piccola citazione, non è trapelato molto altro da questo incontro – e probabilmente non a caso. Nell’ottobre 2016, prima della sua elezione, Macron aveva denunciato i difensori di “una spietata visione del laicismo“. Dopo la sua elezione, tuttavia, il credo presidenziale non è mai cambiato. In base ad esso, l’Islam politico non è un problema; il problema è la resistenza all’Islam.
Per questa strategia – isolare il laicismo e rappresentarlo come il nuovo avversario – Macron aveva bisogno di un alleato. Lo ha trovato facilmente nella Chiesa cattolica, la quale era stata penalizzata in Francia dalla legge del 1905 che sanciva la separazione tra Chiesa e Stato. Nell’aprile 2018 Macron ha accettato l’invito della Conferenza dei Vescovi di Francia, e, nei sontuosi ambienti del collegio dei Bernardini, di fronte a più di 400 esponenti della Chiesa cattolica, il Presidente della Repubblica francese ha pronunciato un discorso erudito e lirico, privo di qualsiasi proposizione al di là di un’allusione a “riparare il legame danneggiato” tra la Chiesa e lo Stato. Alla fine del discorso, i 400 funzionari cattolici si sono alzati in piedi per applaudire.
Nel giugno 2018, Macron ha ribadito il suo proposito con una visita a Papa Francesco in Vaticano, e accettando da lui il titolo ereditario di Protocanonico d’onore della Basilica di San Giovanni in Laterano. Macron ha anche riaffermato la sua volontà di “approfondire i rapporti di amicizia e fiducia con la Santa Sede“.
Con questo potente alleato cattolico dalla sua parte, Macron poteva ormai lanciare la seconda fase di quella che sembra la sua strategia di partizione: avviare un processo di rafforzamento dei musulmani in Francia affidando loro la responsabilità delle “politiche urbane“, che in Francia è un sinonimo delle politiche di integrazione e assimilazione. Negli ultimi 30 anni, lo Stato francese ha versato 48 miliardi di euro in progetti di rinnovamento nelle periferie svantaggiate che ospitano milioni di immigrati – inclusi milioni di immigrati musulmani di prima, seconda e terza generazione. Tuttavia, sembra che costruire nuovi edifici, nuove strade e nuove reti di trasporto pubblico abbiano prodotto l’effetto opposto a quello desiderato: scontri ricorrenti, aggressioni nelle scuole e nei distretti di polizia, spaccio di droga quasi a ogni angolo, una proliferazione di moschee salafite e più di 1700 jihadisti che sono partiti per arruolarsi nell’ISIS.
Nel maggio 2018, Macron ha giustamente respinto la raccomandazione del Rapporto Borloo di versare altri 48 miliardi di euro per altri 30 anni, poiché questa politica aveva già fallito. Invece di continuare a comprare una (instabile) pace sociale con miliardi di soldi dei contribuenti, Macron ha fatto di meglio: ha creato il “consiglio presidenziale della città”, una struttura politica composta principalmente da personalità musulmane (due terzi dei membri totali del consiglio) e rappresentanti delle organizzazioni che lavorano nei sobborghi. Questo organismo ha adesso il compito di monitorare la politica urbana. Non vi è denaro in più ma un “comitato consultivo musulmano” che reindirizza i fondi dalle vecchie politiche. Due agenzie sono coinvolte nel finanziamento del ripristino dei quartieri in “aree urbane sensibili”: ANRU (Agenzia nazionale per il rinnovamento urbano) e ACSÉ (Agenzia per la coesione sociale e le pari opportunità). Entrambe queste agenzie saranno presto sostituite dall’Ufficio del Commissario generale per l’uguaglianza territoriale. I fondi destinati alle politiche urbane, dettagliati nel progetto di bilancio, ammontano a 429 milioni di euro per il 2018.
L’idea di affidare la responsabilità delle periferie musulmane alle organizzazioni islamiche non è nuova. Fu formulata per la prima volta dal consigliere di stato Thierry Tuot in un famoso rapporto, “La grande nation: pour une société inclusive” [La grande nazione: per una società inclusiva”], presentata nel 2013 all’allora Primo Ministro Jean-Marc Ayrault. La principale proposta contenuta nella relazione era di assegnare le politiche urbane alle organizzazioni islamiche, limitando il ruolo dello Stato al solo sovvenzionamento.
Per completare questo schema di emancipazione dell’Islam politico in Francia, due clausole legislative sono state approvate nella “Legge per uno Stato al servizio di una società sicura“, alla fine di giugno 2018. La prima clausola legislativa ha abolito l’obbligo delle associazioni religiose di dichiararsi come gruppi di pressione. Questa misura apre chiaramente la strada a entità come il movimento dei Fratelli Musulmani per fare pressioni sui membri del Parlamento senza lasciare traccia. La seconda clausola legislativa – contravvenendo alla legge sulla laicità del 1905 – autorizza tutte le organizzazioni religiose ad agire come attori privati nel mercato immobiliare. Secondo il Comité Laïcité République (Comitato per la laicità della Repubblica, CLR), questa clausola legislativa renderebbe impossibile a un comune o una regione appropriarsi di terreni o edifici venduti da una chiesa o da una moschea. “In questo modo, il codice di pianificazione urbanistica e la legge del 1905 verrebbero ad essere modificati a questi fini“, ha affermato CLR. In altre parole, viene legalizzato il finanziamento privato da parte delle confessioni.
La terza fase della spaccatura è tuttora in evoluzione. Riguarda il tentativo di costruire un “Islam di Francia” – diverso dal vecchio “Islam in Francia“. In altre parole, la Grande Moschea di Parigi potrebbe non essere più considerata come se fosse l’equivalente dell’ambasciata algerina. “A partire da questo autunno, daremo all’Islam un inquadramento e una disciplina che assicuri che questa religione venga praticata in un modo coerente con le leggi della Repubblica“, ha detto Macron. Si tratta di una dichiarazione sorprendente perché la tradizione in Francia dalla legge del 1905 – una regola accettata da tutte le religioni tranne l’Islam – è che la religione non può imporre le sue regole sulla società laica. Ora sembra però che sia la Francia a doversi adattare all’Islam.
Cosa succederà a settembre? Apparentemente il governo intende seguire la stessa strada intrapresa dall’Austria: tagliare i legami finanziari tra le comunità musulmane francesi e i loro paesi di origine (ad esempio Turchia, Algeria, Marocco); creare un’imposta sull’industria dell’halal (con entrate per oltre 6 miliardi di euro l’anno), e quindi utilizzare queste nuove entrate fiscali per formare imam “repubblicani” in Francia.
Il governo sembra inoltre intenzionato a creare una sorta di agenzia nazionale per organizzare pellegrinaggi alla Mecca. Stimato in oltre 250 milioni di euro, il business dei pellegrinaggi è affidato a circa 40 agenzie di viaggio musulmane autorizzate dal Ministero dell’Hajj dell’Arabia Saudita a ricevere le loro quote di visti. Sembra che molte agenzie di viaggio musulmane operino illegalmente e facciano pagare prezzi esorbitanti per un pessimo servizio. Quindi, Macron dovrebbe riformare e dare al sistema una sembianza di “normalità”. Sono questi l’”inquadramento” e la “disciplina” di cui parla Macron.
La domanda sorge però spontanea: chi dirigerà e gestirà questo inquadramento? La Fratellanza Musulmana, l’organizzazione più potente, che controlla più di 2.000 moschee in Francia? O un nuovo organismo di vigilanza composto da tecnocrati musulmani vicini al presidente ma senza legami con moschee, imam e la comunità musulmana organizzata in generale? Lo sapremo presto. Inoltre, circola voce che Tareq Oubrou, un imam di Bordeaux, e noto per essere una figura di spicco della Fratellanza Musulmana, potrebbe diventare “Grand Imam di France”.
Ma è compito dello Stato laico francese organizzare i musulmani e addestrare imam “repubblicani”? No, neanche per sogno. È normale che due terzi degli imam in servizio in Francia non parlino correntemente il francese? Ed è possibile addestrare gli imam islamisti alla maniera “repubblicana”? Magari sì, ma a quale scopo? L’imam di Brest in Bretagna è diventato famoso per un video nel quale spiegava ai bambini che la musica potrebbe trasformare chi la ascolta in un maiale o una scimmia, e si è filmato mentre beveva urina di cammello; è scritto in un Hadith che l’urina di cammello avrebbe proprietà medicinali. Nel 2017, lo stesso imam di Brest si è laureato, come “referente laico” – ossia, un islamista informato su aspetti della laicità, ma senza alcun obbligo di rispettarla – all’Università di Rennes in Bretagna.
Nel 1627 il cardinale de Richelieu, primo ministro del re Luigi XIII, aveva preso d’assalto la città di La Rochelle nel sud-ovest della Francia allo scopo di riportare i protestanti in Francia. Ora, nel 2018, Macron si dà da fare in tutti i modi per aiutare i musulmani francesi allo scopo di riportare l’Islam in Francia.
Yves Mamou, autore e giornalista basato in Francia, ha lavorato per un ventennio come giornalista per Le Monde. Il suo prossimo libro, “Le grand abandon, les élites françaises et l’islamisme” (Il grande abbandono, l’élite francese e l’islamismo) sarà pubblicato ad ottobre 2018.
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