La fatica fa bene: rende meno stupidi. Non fatevela rubare dalle macchine
di LA VERITA’ (Claudio Risé)
Sudore e responsabilità sono parte della vita fin dal travaglio della nascita.
Quando tentano di sbarazzarsene uomini e società si indeboliscono e si
disfano. Lo avevano già capito Cesare Augusto e i monaci benedettini.
La più antica delle fake news, la più dura a morire? Quella che ci assicura
che liberarci della fatica è uno straordinario affare. Anzi il più importante di
tutti. Trasferire la fatica ad altri, a qualcuno o qualcosa che la faccia al nostro
posto è l’antico sogno del pigro che sonnecchia dentro di noi, mentre
lavoriamo. È anche il messaggio di gran parte della pubblicità. Ma si tratta di
una sciocchezza, praticabile per poco tempo.
È questa, ad esempio, la storia (raccontata dai racconti popolari in tutto il
mondo, in modi diversi ma con la stessa morale) del Principe che scambia la
sua situazione con il povero per liberarsi delle sue fatiche principesche e
vedere la vita da un altro punto di vista. Proposta subito accolta dall’altro, ben
contento di liberarsi delle fatiche da povero. Dopo qualche peripezia però,
ognuno scopre gli inaspettati fastidi della nuova posizione, finisce nei guai, e
deve ritornare velocemente sui suoi passi. L’avventura gli ha comunque
mostrato che la fatica ti aspetta in ogni situazione, anzi è semplicemente la
vita.
Un insegnamento che comincia da subito, con la nascita. Che come si sa,
può avvenire in due modi, con il parto naturale, o con il più veloce cesareo.
Molto amato dalle donne italiane (che lo richiedono ormai in oltre il 38% dei
casi, primato europeo e mondiale per regioni dove è ancora più alto:
Campania, Sicilia e Puglia), perché dura pochi minuti e c’è meno fatica. Ma
oltre a costare un bel po’ ha i suoi svantaggi per il bambino, alcuni dei quali
possono rientrare subito, ma altri, soprattutto quelli psichici e cognitivi, si
rivelano invece più tardi (una delle ragioni che ha valso all’Italia il richiamo
dell’Organizzazione Mondiale di Sanità).
Già alla nascita, comunque, il bimbo
si trova un bel po’ disorientato: uscire da un rifugio caldo dove sei rimasto 9
mesi richiederebbe un tempo più lungo, “umano” appunto, non costruito dalla
tecnica chirurgica. Nel migliore dei casi, comunque, la fatica che il bambino
non ha fatto alla nascita dovrà poi farla più tardi, spesso con un terapeuta,
per mettersi pienamente nel mondo e abbandonare le aspettative di facilità e
perfezione suscitate nel profondo da un modo di nascere “facile”, ma da
adottare solo quando indispensabile.
Le ricerche mediche condotte nel
mondo illustrano ampiamente i costi dell’eliminazione della fatica alla nascita.
Più in generale, Il fatto è che senza fatica l’uomo resta (o torna) bambino, e la
società si imbarbarisce e si disfa. Quando i romani cominciarono a trasferire
agli schiavi le loro fatiche, compresa (in parte) la generazione dei figli, Cesare
Augusto si accorse che questa vita più comoda stava indebolendo il carattere
e le forze dei cittadini, sia nella loro vita privata che in quella pubblica. Per
contrastare la decadenza promulgò allora, negli anni attorno alla nascita di
Cristo, le Leges Iuliae, sulla famiglia e sul rispetto delle tradizioni degli
antenati (mos maiorum).
Fu in sostanza una legislazione sulla necessità del tornare a fare fatica,
abolendo le scorciatoie e assumendosi le proprie responsabilità Gli adultèri
furono proibiti e puniti con l’esilio. Ci si doveva sposare non troppo tardi, chi
non si sposava e non aveva figli era multato. Si doveva tornare a lavorare la
campagna, come facevano gli antenati con le loro esistenze laboriose e
discrete. Qualcuno non fu d’accordo, come Giulia la figlia di Augusto, da lui
molto amata, ma poi condannata all’esilio a Ventotene per la vita lussuriosa e
aver complottato contro il padre. Intellettuali come Virgilio furono invece
spronati (da Mecenate, consigliere di Augusto) a cantare la bellezza della
natura e il significato profondo della fatica che essa richiede per dare i suoi
frutti. Fu anche per il loro impulso e sostegno che Virgilio scrisse le
Georgiche, un poema che mostra l’anima di quell’ Impero che trovava la forza
nella eroica fatica umana, coltivata ed educata giorno per giorno sulla terra,
la coltivazione dei campi, la cultura degli alberi, delle api, l’allevamento del
bestiame.
È in quella pace operosa fatta di intelligenza e fatica che nasce un
Paese forte. L’Eneide, dove il mitico eroe Enea progenitore di Roma porta
l’eredità greca, nasce su questo stesso impianto etico dove la fatica non è
una disgrazia (come pensano oggi anche molte psicologie e pedagogie), ma
una prova indispensabile alla costruzione di un pensiero e una morale,
personale e collettiva. Dopo le leggi di Cesare Augusto i cittadini romani
tornarono a fare figli e l’Impero romano durò altri quattro secoli.
Quando l’Impero cedette alle pressioni di popoli più forti, il monachesimo fece
poi della fatica e della sua ricchezza formativa del fisico e del morale la
struttura portante delle sue Regole. Si tratta di quelle norme e usanze che (a
partire da quella scritta da Benedetto da Norcia, inorridito dalla decadenza
romana), contribuirono alla bonifica e fondazione dell’Europa e della sua
ricchezza e cultura (come lo Sguardo Selvatico ha raccontato qualche
numero fa).
Ancora oggi, l’ispirata e sapiente ospitalità dei conventi
rappresenta un’oasi di silenzio e ristoro indispensabile per migliaia di europei
di ogni condizione e età.
Dallo sviluppo industriale in poi però, la fatica è stata direttamente sfidata da
quelle correnti del pensiero tecnico e scientifico che vogliono non più aiutare
l’uomo nelle difficoltà (come accaduto fin dall’antichità, per esempio con lo
strumento tecnico del bastone), ma trasferire alle macchine operazioni,
fisiche e mentali, proprie dell’uomo. Per poi gradualmente sostituirlo, come
sta già accadendo nella procreazione.
Anche perché a quel punto l’uomo potrebbe essere ormai inutile. Infatti come
dice il principio base delle neuroscienze, il cervello “o lo usi o lo perdi”. Se
non lo usi più, sostituendolo con macchine, si smonta, e diventi
“svanito” (come si diceva una volta, stando bene attenti a evitarlo). Nell’attesa
di essere sostituito dalle macchine (e dopo che farà, e di cosa vivrà?), l’uomo
diventa più stupido e si ammala in vari modi (l’ho raccontato in Sazi da
Morire. Malattie dell’abbondanza e necessità della fatica. San Paolo ed).
Come ha detto Vivek Haldar, uno dei geni di Google: “Strumenti brillanti,
menti ottuse”: più macchine intelligenti usi, più diventi stupido.
Le neuroscienze hanno ormai ampiamente spiegato come (ad esempio) i
navigatori automobilistici tolgano progressivamente ogni senso
dell’orientamento, disattivando le aree cerebrali che se ne occupano. I più
furbi li attivano solo per percorsi impegnativi e in casi di fretta assoluta. Così
come molti si sono accorti di quanto la televisione non stop peggiori i
processi cerebrali degenerativi degli anziani, e quindi dosano, sondano le
possibilità offerte invece dalla musica dal vivo, dall’aria aperta… Intere
pedagogie poi, come quella steineriana, adottate da tempo dalle classi agiate
in Occidente, hanno bandito ogni tecnologia dalla scuola e dalla vita dei
ragazzini, che imparano a scriversi i libri da soli.
Perché la fatica, poi, è anche divertente. Come scopre l’anziano a cui viene in
mente l’intero “5 maggio” del Manzoni, mandato faticosamente a memoria
secoli prima, o il ragazzino quando impara finalmente bene qualsiasi cosa
utile a farne un’altra, dallo smontare e rimontare una moto, a creare un orto, o
insegnare qualcosa a un amico che non la sa. Non siamo, infatti, né solo
accumulatori di soldi, né solo consumatori, né solo edonisti, ma sempre
anche molto altro. Scoprire cosa, costa soprattutto fatica, con passioni e
anche delusioni. Ma rinunciare a farla ci rende meno umani, e più deboli e
stupidi. Non è il caso.
Un articolo subdolo e assolutamente moralistico da parte di quelli che, pur stanno in ufficio con il riscaldamento o l’aria condizionata, usando computer e altri macchinari per lavorare, si mettono su un piedistallo e dicono a quelli del lavoro manuale e sotto le intemperie che “faticare rende meno stupidi e più temprati alla vita”. Insomma un articolo che potrebbe essere stato scritto benissimo da qualche burocrate europeo parlando del mondo del lavoro italiano. La cosa più, perdonatemi il termine, bastarda, è l’usare questo per fare una critica al progressismo tecnologico e/o al parto cesario o naturale, che assolutamente non coincide con una critica giusta al progresso tecnologico legato alla disumanizzazione (e non al lavorare rompendosi la schiena un po’ di meno) o alla tematica parto, usata per delegittimare opinioni ideologiche a sfondo religioso. Insomma…parlare di articolo di merda è poco.
Forse non hai completato la lettura dell’articolo, che non suggerisce di ammazzarsi di lavoro di fatica; comunque non l’hai compreso. Quando vi si parla di fatica non si allude soltanto alla fatica fisica ma anche alla fatica nell’apprendimento dei bambini, nel guidare, nell’allevare figli, nello scrivere libri anziché leggerli e certamente anche nel fare l’orto anziché stare disattento sulla rete, ecc. L’articolo non soltanto è condivisibile ma afferma una verità banalissima e universale.