Goldman Sachs sull’Italia: ‘Lo spread stabile sopra 300 richiede un cambio di politica a livello nazionale o europeo’
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Mauro Bottarelli)
“…Tuttavia consideri sempre che quando il gioco si fa molto rischioso e alcuni giocatori sono sprovveduti, può sempre succedere che il tavolo si ribalti e si realizzi l’evento catastrofale… Più semplice e diretto come scenario“.
Nel giorno della rinnovata paura, con lo spread dei nostri BTP decennali sopra la quota psicologica dei 300 punti base sul pari durata tedesco e con la Borsa che almeno in apertura pativa pesanti cali, trascinata al ribasso dalla zavorra del comparto bancario, così delineava la situazione proprio una primaria fonte di quel mondo così sotto pressione a causa del differenziale con il Bund.
La ragione della tensione è nota ma conviene ribadirla: al maggio scorso, ultima rilevazione ufficiale disponibile, gli istituti di credito italiani avevano in pancia 325 miliardi di controvalore in titoli di Stato, cifra che ormai sfiora (se non supera) i 400, visto che solo nel mese di maggio hanno acquistato Btp per circa 40 miliardi di euro e la dinamica è proseguita per tutta l’estate. E’ il cosiddetto doom loop, ovvero il circolo vizioso che pesa sulle nostre banche molto più delle famigerate sofferenze: un qualcosa che Goldman Sachs metteva un evidenza già a giugno, quando l’ufficializzazione della fine del QE fissata al prossimo gennaio, apriva il vaso di Pandora del rifinanziamento del nostro debito pubblico nel 2019, quando le esigenze di bilancio imporranno emissioni record.
E, soprattutto, la Bce non sarà più acquirente di prima e ultima istanza. Anzi, come mostra questo grafico, di unica istanza.
- Citigroup
Banche italiane a parte, ovviamente. Le quali, stando all’analisi pre-estiva di Goldman, già oggi hanno una capacità di assorbimento degli shock sullo spread dei bond in detenzione ponderata al capitale decisamente più bassa di quella su cui potevano contare nel biennio horribilis del 2011-2013, come ci mostra questo altro grafico.
- Goldman Sachs
Insomma, al netto degli annunciati (o millantati) supporti statunitensi o cinesi al nostro debito (non scordando le ventilate garanzie russe), se anche il Def passasse indenne l’esame dell’Aula e davvero il governo arrivasse alla sfida aperta con l’Europa a colpi di “me ne frego” e sfilate sui balconi, i problemi non cesserebbero.
Anzi, con il rinnovato rischio Paese già oggi segnalato dalla traiettoria dei titoli a 2 anni e del loro spread verso i decennali, farci finanziare sul mercato sarà sempre più complicato. E costoso.
Ed ecco che, puntuale, Goldman Sachs ha pubblicato un nuovo report interamente dedicato al debito italiano e alle tre criticità che, a detta della banca d’affari, rischiano di rendere l’attuale situazione ancora peggiore a livello di turbolenza e di portarci verso l’epilogo (tragico) di un downgrade del rating.
- La prima criticità fa riferimento diretto proprio alla manovra economica e, in particolare, al suo piano di espansione fiscale, il quale “pur non estremo, è però sufficientemente ampio da rinnovare le preoccupazioni degli investitori sulla sostenibilità a lungo termine dello stock di debito italiano, in larga parte dovute all’atteso peggioramento dell’avanzo primario“, come mostra il grafico.
- Goldman Sachs
Per Goldman, infatti, “un avanzo primario più basso aumenta la vulnerabilità dell’economia rispetto alle prospettive di crescita e agli shock di mercato, peggiorando l’outlook delle finanze pubbliche, specialmente in presenza di uno stock di debito già molto alto e con prospettive di crescita che non paiono poter beneficiare troppo della leva fiscale come moltiplicatore“.
Stando a dati parlamentari, cumulativamente negli ultimi otto anni, l’avanzo primario ha garantito una riduzione della ratio debito/Pil del nostro Paese pari a 11,5 punti percentuali, mentre anche una crescita positiva e spese per interessi inferiori (paragonate al periodo 2011-2013) hanno supportato una stabilizzazione del livello di debito negli anni. Ecco che, quindi, con un avanzo primario minore in combinato con costi di finanziamento più alti e una crescita economica flebile, le prospettive di sostenibilità del debito sul lungo termine si tramutano in una sfida per chi investe. Il quale, ovviamente, chiederà un premio di rischio maggiore per salire sulla giostra.
- La seconda criticità è direttamente legata alla fine del programma di acquisto (QE) della BCE, già passato dal 1 ottobre da 30 a 15 miliardi di controvalore mensili e destinato a terminare il 31 dicembre, salvo il reinvestimento dei bond già in detenzione presso l’Eurotower.
E questi grafici ci mostrano plasticamente come questa attività “di routine” della BCE potrà essere sufficiente per la Germania e la Francia ma non per l’Italia, la quale fino ad oggi ha goduto di acquisti di debito per un controvalore di 360 miliardi di euro, cui andranno a sommarsi altri 5,5 miliardi nell’ultimo trimestre di quest’anno.
- Goldman Sachs
- Goldman Sachs
Come mostra il grafico sopra, dal 1 gennaio, il Tesoro potrà invece contare solo sul reinvestimento di una media di 3-3,5 miliardi di controvalore di debito al mese per tutto il 2019. Di fatto, negli ultimi anni gli acquisti di titoli a medio e lungo termine della Bce hanno consentito al Tesoro di allungare le scadenze medie del nostro debito approssimativamente di 0,5 anni e riportarle ai livelli pre-crisi finanziaria globale.
Ora, però, lo scenario cambia integralmente, visto che senza la Bce e in assenza di un acquirente marginale che ne faccia le veci, il Tesoro dovrà compiere roll-over su circa 400 miliardi di titoli all’anno, inclusi quelli a breve termine. A quel punto e con le necessità di maggiori emissioni rese necessarie dalle politiche espansive del Def, il Tesoro andrà in ultra-offerta rispetto alla domanda potenziale di mercato e per riuscire a incontrare compratori sufficienti sarà, giocoforza, costretto a offrire rendimenti più alti per risultare appetibili, stante i rischi sottostanti di sostenibilità e le criticità economiche del Paese.
Salvo, ovviamente, non si materializzi uno dei “cavalieri bianchi” evocati dal governo come sostenitori del nostro debito nel post-QE.
- Terza e ultima criticità, come ci mostra il grafico, l’elevata volatilità sul mercato dei nostri Btp evidenziatasi negli ultimi mesi, la quale potrebbe avere effetti duraturi, se non strutturali per un periodo, sulla liquidità dello stesso e sulla sua profondità.
- Goldman Sachs
Il grafico mostra i volumi medi giornalieri di scambio di titoli italiani sul mercato secondario (MTS) durante i mesi di aprile, maggio e giugno scorsi. I volumi di scambio dei Btp a giugno, dopo la svendita di fine maggio legata alle incertezze sulla nascita del governo, sono stati quasi un terzo di quelli osservati ad aprile e maggio: insomma, non un mercato illiquido ma certamente con profondità molto assottigliata, visto anche il ruolo “onnivoro” tenuto finora dalla Bce. Il problema, oltre alla ricerca di un acquirente marginale, è quindi anche quello appunto degli shock, perché un mercato con pochi scambi, reagisce in maniera anche eccessiva e irrazionale a ogni possibile mossa di uno dei pochi partecipanti.
E questo al netto di detenzioni estere di Btp in continuo calo ma comunque con ancora una forte base nei sistemi bancari francesi e spagnolo, mentre meno in quello tedesco, come ci mostra il grafico.
- European Banking Authority
Anche se quest’ultimo sconta la criticità del capitolo fusione fra Deutsche Bank e Commerzbank, molto esposta ai nostri titoli e che in caso di merger potrebbe dover alleggerire i bilanci dagli assets ritenuti più rischiosi.
Ecco come Goldman conclude la sua analisi:
“Nonostante il mercato in generale pare essersi già mosso dal rischio italiano e i ricaschi finanziari a livello internazionale siano stati finora contenuti, pensiamo che la situazione attuale sia di equilibrio instabile. Inoltre, le nuove proposte di Budget del governo aumenteranno le possibilità di reazioni negativa da parte di Bruxelles e agenzie di rating e, conseguentemente, il rischio di ulteriore volatilità e pressioni di appiattimento della curva (dei rendimenti obbligazionari, ndr)… Un movimento oltre la soglia dei 300 punti base dello spread è possibile e, se perdurante e sostenuto, potrebbe richiedere un cambiamento politico a livello nazionale o europeo“.
E qui, l’amletico dubbio interpretativo: crisi di governo nel nostro Paese o, come sperano in molti (chi candidamente ed en plein air come Giancarlo Giorgetti, chi silenziosamente come il mondo corporate francese e tedesco), un clamoroso cambio di strategia di Mario Draghi relativamente alla fine del Qe?
In molti, al netto delle tensioni economiche e politiche italiane, scommettono che qualche risposta – o, quantomeno, qualche indizio – in più si potrà avere la sera del 14 ottobre, quando si conoscerà l’esito delle elezioni in Baviera e, di conseguenza, il destino del governo di coalizione tedesco.
Questo, stante la sempre maggiore debolezza in patria della cancelliera Angela Merkel, orfana da una settimana del suo storico braccio destro a capo del gruppo parlamentare al Bundestag e l’ultimo sondaggio Insa pubblicato ieri, il quale certificava Alternative fur Deutschland come secondo partito a livello nazionale al 18,5%, due punti e mezzo davanti all’Spd. E con la Berlino (leggi Jens Weidmann) depotenziata e la Francia sorniona in attesa delle disgrazie altrui, un nuovo whatever it takes potrebbe non essere poi così peregrino, come epilogo. Non a caso, parlando del caso Italia, l’altro giorno Jean-Claude Jucker ha evocato la fine dell’euro e un altro caso Grecia. Praticamente, ha fatto squillare il telefono rosso nella Batcaverna di Francoforte, più che far fischiare le orecchie al ministro Tria.
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