François Asselinau: “Ho creato il mio partito per disperazione”
Traduzione a cura di FEDERICO MUSSO (FSI Roma)
François Asselineau è stato candidato alle elezioni presidenziali francesi del 2017. Classificato fra i “piccoli candidati”, era l’unico a proporre un’uscita della Francia dell’Unione Europea. Giudicato complottista da alcuni, lucido da altri, l’uomo è in ogni caso interessante. Qui di seguito si trova l’incontro tra il presidente dell’Unione Popolare Repubblicana e Jean Follonier.
Jean Follonier: “Il lancio immediato di una procedura di uscita dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla Nato è il cuore della linea politica del suo partito, vero?”
F.A.: Ho creato l’UPR il 25 marzo 2007, il giorno stesso del cinquantenario del Trattato di Roma. Al momento di depositare lo statuto alla Prefettura di Parigi, la necessità di uscire dall’UE era scritta nell’oggetto stesso del partito. Non è dunque qualcosa di congiunturale. In questo momento, un certo numero di persone sulla scena politica europea e francese comincia a farsi delle domande sull’UE. Tanto meglio, ma nessuno può negare che io abbia fatto per primo la proposta, giacché sono undici anni e mezzo dalla nascita dell’UPR. Una caratteristica del nostro partito è che non c’è alcuna ambiguità sull’obiettivo: uscire dall’UE giuridicamente attraverso l’art. 50. Questo impone una negoziazione che dura al massimo due anni.
Il vostro secondo obiettivo è di uscire dall’Euro.
Certo. La sola possibilità di uscire giuridicamente dall’Euro è di uscire dall’Unione Europea. Non dico che alcuni paesi non possano essere portati a uscire dall’Euro in maniera illegale negli anni a venire, ma questo non è il nostro obiettivo. Il nostro terzo obiettivo è di uscire dalla Nato attraverso l’articolo 13 del Trattato del Nord Atlantico.
Una delle ragioni con cui sostiene la necessità di un’uscita dall’UE è il suo anacronismo. In quali parti è un modello anacronistico?
La costruzione europea è una vecchia idea. Possiamo farla rimontare molto lontano, quasi fino a Carlo Magno che si fa incoronare imperatore d’Occidente nell’anno 800. Si potrebbe anche pensare al fantasma dell’impero universale di Augusto nel 27 a.C. Questa aspirazione copre tutta la storia europea sotto diverse forme, in particolare imperiali. Ma ciò che è rimarcabile è che, dopo duemila anni, mai l’Europa è stata unificata nella sua totalità, dall’Irlanda a Cipro o dal Portogallo all’Estonia. Ancora oggi ci sono eccezioni: la Svizzera, la Norvegia e l’Islanda quanto all’Europa occidentale. Il fondamento del nostro pensiero è che l’Europa è una sorta di ripresa del fantasma dell’impero universale fondato sul mondo bianco europeo. E ciò è ancora più anacronistico nell’epoca contemporanea, dove c’è un’abolizione delle distanze tramite i mezzi di comunicazione moderni, quindi non c’è più una ragione obiettiva di costruire un’Europa politica. Le amicizie sono diventate mondiali e l’UE non tiene conto della profonda modificazione delle popolazioni all’interno dell’Europa. In Francia, piaccia o no, ci sono per esempio 7 o 8 milioni di Francesi d’origine maghrebina e solo 800 finlandesi e qualche centinaio di lettoni.
C’è quindi un’incoerenza fra questa costruzione politica e la realtà demografica?
Sì. La Francia avrebbe più bisogno di sviluppare i suoi rapporti con gli altri paesi della “Francophonie” come certi stati dell’Africa, la Cambogia, la Siria, il Vietnam, il Québec e la Svizzera.
L’Unione Europea non avrebbe nemmeno il vantaggio dell’unione che fa la forza?
No, è un’illusione. I sostenitori dell’ideologia europeista non vogliono guardare la realtà in faccia: i paesi del mondo dove il livello di vita per abitante è più alto o dove c’è maggiore felicità sono paesi più piccoli della media. Ci sono la Svizzera e l’Islanda, ma anche Hong Kong, Singapore, Monaco, Liechtenstein, Qatar.
Lei spesso cita come esempio il modello svizzero. È trasportabile in Francia, molto diversa come sistema economico, istituzionale, ecc?
Ciascun paese ha la sua storia. Gli svizzeri, dal 1291, si sono creati un paese senza eguali, il che come nazione ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. La Svizzera ha, a mio avviso, molti vantaggi. Sono pragmatico: basta vedere i risultati. La Svizzera è un piccolo Paese della Cuccagna sognato da molti; la libertà d’espressione – sono sfortunatamente costretto a constatarlo- è superiore in Svizzera a quella della Francia; l’economia va a gonfie vele. La Francia ha tutt’altra tradizione, è fondamentalmente monarchica e centralizzatrice, è egualitaria, con un forte servizio pubblico. Tutto ciò l’Unione Europea lo sta distruggendo, imponendoci un modello anglosassone molto diverso dalla nostra storia. Il modello anglosassone è per essenza disegualitario. E’ comunitarista, il contrario di quello che è la Francia.
La Svizzera si avvicina di più al modello anglosassone che a quello francese. Perché prendere come riferimento la Svizzera?
Quando gli avversari delle mie idee vogliono dibattere con me sempre tirano fuori la stessa storia: senza l’UE, la Francia sarebbe troppo piccola per affrontare il mondo d’oggi. Insomma, uscire dall’UE sarebbe rinchiudersi in se stessi. E ogni volta, rispondo loro citando i paesi come la Svizzera o la Norvegia che sono ben più piccoli della Francia e che, pur non essendo parte dell’UE, sono paesi del mondo. La Svizzera è uno dei paesi in cui ho più viaggiato all’estero perché è uno dei paesi che accoglie il più delle riunioni internazionali. Sono partigiano del principio scientifico e non dogmatico, il pensiero scientifico si rinnova davanti alla prova dei fatti, mentre quello dogmatico piega i fatti in modo che corrispondano alla teoria.
Come vi spiegate che dei partiti come il Front National o la France Insoumise non preconizzino un’uscita dall’UE, al contrario Suo?
Lei tocca uno dei punti a mio avviso più importanti della scena politica francese. Ho creato l’UPR quando stavo per avere cinquant’anni. Non avrei mai immaginato di fare il politico. Da piccolo e giovane poi, ero fatto per fare il funzionario. Prima di tutto, sono un uomo da dossier, mi piacciono la razionalità e la conoscenza. Se ho creato questo movimento politico nel 2007, è per disperazione. Ho scoperto in Francia ciò che chiamano sovranismo, parola che rifiuto, perché considera la sovranità nazionale come qualcosa di relativo e che dà il diritto di essere contro. La sovranità nazionale è un assoluto, oltretutto è stata riconosciuta come inalienabile dalla Carta delle Nazioni Unite. I movimenti chiamati “sovranisti” non vogliono ciò che conoscono e non sanno ciò che vogliono. Vivono in un’ambiguità permanente. E’ politichetta. Il Front National o la France Insoumise cercano di drenare verso di loro la fede di europeisti e di antieuropeisti, sotto un fondo di antimmigrazionismo e, bisogna ben dirlo, di razzismo nel caso del Front National, e d’indignazione generale e vagamente marxista nel caso della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
Se non vi qualificate come sovranisti, allora come vi definite?
L’Unione Popolare Repubblicana è un movimento di liberazione nazionale. Rigettiamo l’etichetta di nazionalismo e ci definiamo come patrioti. Come diceva Charles de Gaulle, “un patriota è qualcuno che ama il suo paese ed è normale amare il proprio paese, un nazionalista è uno che detesta quello degli altri.” Noi non detestiamo il paese altrui, al contrario. Per quel che mi concerne, sono appassionato del mondo e ho viaggiato in più di novantacinque paesi.
Ritornando all’Unione Europea, non è stata creata per assicurare la pace, missione che ha compiuto?
Le guerre non derivano dalle nazioni: compaiono quando una nazione pretende di diventare un impero, cioè invadere i suoi vicini e imporre loro il modo di vita. Comparo spesso questo fenomeno a una supernova, una stella che di colpo esplode. E’ proprio il modello imperialista che rifiutiamo. L’imperialismo non proviene dalle nazioni. Si manifesta attraverso Napoleone che invade l’Europa, l’imperialismo di Hitler o la minaccia sovietica. Oggi noi ci confrontiamo con gli Stati Uniti che pretendono reggere le sorti dell’Universo e imporre il loro modo di vita a tutto il globo. Ora, l’Unione Europea è una costruzione americana e non ha alcun legame con la pace.
Voi non volete uscire dall’Onu. Come mai?
Sono un sostenitore dell’Onu che funzionasse conforme alla Carta di San Francisco. Il problema, anche se è ribadito in questa carta che gli Stati devono comportarsi secondo buona fede, è che non bisogna intromettersi negli affari interni degli altri. La buona fede non è pervenuta da tanto tempo. Nulla impedisce di sperare che quel giorno verrà con il progredire dello spirito dell’umanità. Ma è proprio questo il problema del diritto internazionale: dovrebbe esserci un’istanza che assicuri una certa polizia tra le nazioni. Aggiungo che l’Onu non è un governo mondiale, contrariamente a ciò che alcuni dicono. L’Onu riconosce al contrario che ciascuno Stato ha il diritto alla propria via di sviluppo. Ciò che ci auguriamo è che la Francia agisca rispettando il diritto internazionale. Come prova a fare la Russia di Putin, al contrario di come faceva l’URSS. E come ha fatto la Francia fino a Jacques Chirac. Fino a questo presidente, il nostro paese cercava di far ascoltare una voce dissonante. De Gaulle aveva perfettamente compreso che la Francia era diventata una potenza di medie dimensioni, però il nostro magistero morale e storico poteva fare di noi un nuovo Occidente. Il mondo francofono può far valere una visione del mondo che le è proprio.
Di cosa si compone una visione del mondo francofona o, diremmo noi, francese?
E’ una visione del mondo che non ruota attorno al denaro. Divide il pubblico dal privato, nel senso che ciascuno può avere le convinzioni religiose che vuole, l’orientamento sessuale che vuole, ma questo deve rimanere nella sfera privata. E’ un saper vivere in comune. Il mondo anglosassone, al contrario, ci impone una forma di visibilità permanente: tali persone sono musulmane, quindi devono vestirsi così; tali persone sono omosessuali, quindi devono mostrarlo in una parata. Come diceva De Gaulle, “io voglio che la Francia resti la Francia.” Io voglio anche che la Svizzera resti la Svizzera, e così di seguito. In maniera generale, io voglio difendere la diversità delle nazioni.
La minaccia della scomparsa delle nazioni e delle loro particolarità viene dagli Stati Uniti?
In gran parte, sì. Ci stiamo dirigendo verso un mondo dove tutti parlano “globish”, mangiano al McDonald’s e vanno in estasi ascoltando le stesse canzoni americane. È un fatto. Penso che da questo punto di vista l’ONU sia un principio di civiltà, poiché protegge i deboli: Monaco ha una voce come la Cina, per esempio. E la protezione dei deboli è un principio di civiltà.
Lei parla molto di politica internazionale. Qual è la linea dell’UPR in materia di politica economica. Liberali o collettivisti?
Il nostro modello è il programma del Consiglio Nazionale della Resistenza del 1943/44. Infatti, il CNR aveva raccolto attorno a sé, come descrisse Louis Aragon nella poesia La Rosa e la Reseda “colui che credeva al cielo e colui che non ci credeva”. Quindi, il programma non fu concepito per offuscare nessuna sensibilità. Alcuni vorrebbero attirarci a destra, altri a sinistra; in materia economica non siamo così dogmatici. Abbiamo idee concrete, come il mantenimento dei grandi servizi pubblici. Pochi, anche a destra, in Francia, sono favorevoli alla privatizzazione delle Poste o della SNCF. Ciò ci è imposto dall’esterno. Gli ultra-liberali in Francia rappresentano al massimo il 10% della popolazione. Abbiamo su ciò un grande consenso sociale. Sosteniamo ugualmente il mantenimento della pensione “par répartition” [con una caratterizzata solidarietà intergenerazionale, NdR] e della sicurezza sociale alle quali i francesi (e non solo) sono molto attaccati. Non vogliamo un’evoluzione all’americana con una medicina per i ricchi, una per i poveri e alcune per i più poveri.
Che proposte fate sul versante delle istituzioni democratiche?
Noi auguriamo che si moltiplichino i referendum popolari, come in Svizzera. Non bisogna, tuttavia, sorvolare il fatto che anche in Svizzera i risultati non sono stati seguiti dalle istituzioni, come per il vostro voto del 9 febbraio. La stessa cosa che è successa in Francia nel 2005 con il referendum sulla Costituzione europea. Il popolo aveva votato contro ma il loro parere è stato buttato nella spazzatura. Vige una tendenza delle élite europee a consultare il popolo, ma se vota “male” non se ne tiene conto. Questo è il vero problema.
Da quale ambiente politico vengono i vostri nuovi militanti, sapendo che siete il quinto partito di Francia per numero di aderenti?
I nuovi aderenti arrivano da tutti gli orizzonti. Alcuni dal Front National, altri da France Insoumise, altri sono delusi da François Bayrou, quindi dal centro.
Lei accusa un silenzio mediatico sul vostro partito, l’UPR. Non è esagerato?
No. Al momento delle elezioni presidenziali del 2017 alcuni giornalisti mi hanno invitato perché obbligati, ma da quando l’UPR è stato fondato, i media non ne hanno parlato e mai mi hanno intervistato. Devo dire che in Svizzera sono abbastanza sedotto durante questa serie di conferenze che sto svolgendo in questo momento perché media d’importanza considerevole come Le Matin, Le Temps e voi, Le Regard Libre, non solo mi date parola ma mi ascoltate con serietà e certa benevolenza. Cosa che in Francia in undici anni non è mai successa. Mai ho avuto ciò che mi state offrendo voi da Le Point, Le Figaro o Le Parisien.
Perché, secondo Lei? I media sono tutti europeisti?
Nel Regno Unito una parte dei media ha fatto appello a votare Brexit. Circa trecentocinquanta capi d’impresa hanno fatto lo stesso. In Francia tutte le radio, tutte le catene Tv, tutti i giornali, i capi d’impresa, tutti i commentatori politici sono a favore dell’Unione Europea quando una parte importante della popolazione francese vorrebbe uscire. Lo stesso Macron recentemente intervistato dalla BBC in occasione di una sua visita oltremanica il 18 febbraio scorso ha avuto il candore di dire: “Se ci fosse un referendum, è probabile che i Francesi votino per Frexit.”
Infine, siccome Le Regard Libre è una rivista imperniata sulla cultura, mi piacerebbe conoscere il vostro rapporto con essa. Lei, mi ha detto, ha viaggiato tanto, è appassionato di culture straniere e ha numerosi interessi. Signor Asselineau, quali sono le vostre opere preferite?
Parlando di letteratura mondiale, ho un debole per Dostoevskij, in particolare per “l’Idiota” e “I Fratelli Karamazov”. Tra le cime della poesia mondiale, metterei il poeta persiano Rumi, all’origine della mistica sufi. In architettura, ho un’immensa passione per l’Italia barocca e per l’architettura giapponese che è una miscela d’arte asiatica e scandinava. In realtà, mi piacerebbe portare fuori la Francia dall’abbruttimento americano. Gli Stati Uniti hanno una cultura, ma ce ne sono altre. Nel programma delle presidenziali dell’UPR per il 2017, avevo l’idea di rinazionalizzare il primo canale televisivo francese e di farne un canale di educazione popolare dove ci fossero rappresentati tutti i giorni un reportage senegalese, un film brasiliano, una trasmissione russa, senza dimenticare qualcosa di americano. L’apertura della mente, ecco cosa noi viviamo più di tutto.
Articolo originale: https://leregardlibre.com/2018/09/12/francois-asselineau-jai-cree-mon-parti-par-desespoir/
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