Come cambiano i contratti a tempo determinato col dl Dignità
Di LETTERA 43 (Carlo Terzano)
Dopo il periodo di transizione, dal primo novembre tutti i rinnovi sono disciplinati dalla nuova norma. Ecco cosa bisogna sapere.
Le recenti riforme sul mondo del lavoro hanno dato sì una spinta all’occupazione, ma a quella precaria. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, a settembre il ritorno dalle ferie è stato particolarmente amaro per i lavoratori con contratto dipendente a tempo indeterminato dato che si sono ridotti ulteriormente di 77 mila unità rispetto ad agosto e di 184 mila unità sull’anno precedente. Sono aumentati ancora, invece, i lavoratori a termine, con una crescita di 27 mila posti su agosto e di 368 mila unità sul 2017. Ormai i precari italiani sono un vero e proprio esercito: oltre 3 milioni. Ma con novembre si cambia: almeno mezzo milione di contratti (e, dunque, altrettanti lavoratori, prevalentemente under-35) sarà interessato dall’inasprimento legislativo rappresentato decreto Dignità (leggi anche: La Consulta ha bocciato la norma del dl dignità sui licenziamenti) che mira a stabilizzare la base occupazionale disincentivando il ricorso a forme contrattuali limitate nel tempo. Ma è davvero così? Per capirlo e comprendere nel dettaglio cosa cambia, Lettera43.it si è rivolta ad Andrea Brunelli, avvocato esperto di diritto di lavoro.
«Il Dl 87/2018, Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese, poi convertito in Legge 9 agosto 2018, n. 96, ha un contenuto molto variegato», spiega Brunelli del Foro di Genova, «spazia dal riordino della disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato a misure per contrastare la delocalizzazione produttiva, da misure contro il gioco d’azzardo ad alcune norme per la semplificazione fiscale». Il legale evidenzia alcune critiche all’impianto normativo: «La tecnica normativa utilizzata, nell’ambito lavoristico del decreto, è quella della sostituzione: viene modificato il D. lgs 81/2015. Questo vuol dire che alcune parole o frasi indicati nel decreto dignità sostituiscono o si aggiungono alla precedente normativa, con conseguente difficoltà a comprendere fin dalla prima lettura il contenuto effettivo della norma».
TRE NOVITÀ PER IL LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Venendo invece al contenuto specifico della norma, «sono essenzialmente tre le innovazioni principali che andranno a riguardare, da questo mese (novembre 2018) il lavoro a tempo determinato», continua Brunelli. «Anzitutto, solo il primo contratto a termine potrà essere “acausale“, cioè privo di una specificazione sulle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustifichino l’apposizione del termine al contratto e per un periodo massimo di 12 mesi». «Inoltre», aggiunge il legale, «la durata complessiva del rapporto a termine fra un lavoratore e il medesimo datore, comprese le proroghe, non potrà essere superiore a 24 mesi, mentre – è fondamentale ricordarlo – nella precedente normativa erano 36 e, infine, le proroghe potranno essere al massimo quattro, contro le cinque ante riforma». «La norma», prosegue il legale, «prevede espressamente che, oltre il termine temporale di 12 mesi, il rapporto a termine potrà essere rinnovato solo in presenza di una delle seguenti causali: esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, esigenze di sostituzione di altri lavoratori, oppure esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria».
È, insomma, un ritorno alla situazione precedente al 2015, come rileva Brunelli: «Si potrebbe proprio dire che tornano in vigore le vecchie causali abolite nel 2015, con probabile aumento del contenzioso: le definizioni legislative sono vaghe e non sempre il lavoratore ha in mano gli strumenti per comprendere le dinamiche aziendali e per capire quando la causale è giustificata oppure no. In caso di causale apposta illegittimamente, infatti, il rapporto a tempo si convertirà in un rapporto a tempo indeterminato decorrente dal 12esimo mese e un giorno di lavoro. Questo margine di incertezza probabilmente renderà più difficile la proroga dei contratti alla scadenza del primo anno». Non sembrano invece esserci difficoltà circa il nuovo limite del 30% di lavoratori flessibili, inteso come “somma” di lavoratori a tempo determinato e somministrati rispetto al totale di quelli arruolati con contratto a tempo indeterminato. «Apparentemente», spiega l’avvocato, «è una norma che non dovrebbe generare particolari problematiche: il contratto a termine è valido a patto che l’azienda occupi meno del 30% dei lavoratori con rapporti “non stabili” rispetto al suo organico complessivo; in caso di superamento della quota del 30%, il rapporto si considera a tempo indeterminato ab origine».
A CHI SI APPLICA IL DECRETO DIGNITÀ
«Il decreto Dignità», conclude Brunelli, «ha previsto un cosiddetto “periodo transitorio” che è andato dal 14 luglio a pochi giorni fa, il 31 ottobre scorso. In quella forbice temporale, i contratti a tempo potevano essere rinnovati secondo quanto disposto dalla vecchia disciplina. Dal primo novembre, però, tutti i rinnovi sono disciplinati dalla nuova norma». Quindi, in sede di rinnovo, attenzione a quanto vi verrà proposto da ora in poi perché, come specifica il legale, «se un lavoratore con un contratto a termine riceve una proposta di rinnovo o proroga si applicheranno le regole sulle causali appena specificate». Di contro, il decreto Dignità non riguarda tutti i contratti di lavoro: «Non rientrano in questa disciplina i contratti stagionali. Questo significa che potranno essere rinnovati o prorogati senza la necessità di indicare una causale».
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