Noi adoriamo lo Stato
di STEFANO D’ANDREA
Senza lo Stato non saremmo nulla.
Quando ascolto colleghi, docenti universitari, dire che vorrebbero abolire gli Stati o, cosa appena un po’ meno insensata, che lo Stato deve essere al nostro servizio e non il contrario, mi cadono le braccia.
Senza lo Stato non saremmo nulla e comunque non saremmo ciò che siamo.
Lo Stato è la scuola che ci ha accompagnato dai sei anni, o da tre, fino ai ventiquattro o più, per chi ha concluso gli studi universitari. Ed è la televisione, bella o brutta, buona o cattiva, che abbiamo visto, considerato che non esiste un diritto dei privati a trasmettere, se non dietro concessione governativa. E’ dunque gran parte della lingua che parliamo, delle cose che sappiamo, delle capacità di ragionamento che possediamo (un’altra parte rilevante dipende dalla famiglia, e una terza parte, mediamente molto limitata, dipende invece da vari fattori, che possiamo riassumere nel termine “vita”).
È il luogo dove corriamo se ci infortuniamo, il sistema dei medici di famiglia e il sistema sanitario nazionale in generale, colui che ha tenuto in vita i nostri cari, quando hanno sfiorato la morte.
Sono le strade asfaltate che percorriamo, le ferrovie e i treni che utilizziamo, e l’apparato giudiziario che ci tutela dai debitori inadempienti o da coloro che con dolo o colpa ci danneggiano; è la previdenza e l’assistenza organizzate che ci danno tanto o poco, anziché nulla, i piani regolatori, la tutela del paesaggio e delle acque che c’è o che può esserci.
In generale è la legge che organizza e disciplina la vita associata.
Lo Stato è il metro che differenzia una civiltà da un’altra e le civiltà dai territori dominati da predoni, banditi e violenti ed è anche il metro di avanzamento di una società: più lo Stato funziona ed è giusto, più crea ordine opportunità e tutele, maggiore è il livello di una civiltà.
Che singoli individui, per lo più intellettualmente o umanamente modesti, anche se formalmente appartenenti alla elite intellettuale, vogliano abolirlo o limitarlo o credano che questa entità etica gigantesca, che trascende la nostra vita, quella dei nostri figli e nipoti, che dura secoli, e che i non credenti devono chiamare divina e i credenti quasi divina, sia al servizio della loro insignificante persona, che vivrà alcune decine di anni, massimo cento (solo grazie allo Stato) e non sentano il dovere di ricostruirlo, di irrobustirlo, di difenderlo, di concorrere ad organizzarlo e di migliorarlo, testimonia la miseria morale e intellettuale della nostra classe dirigente, che non fa che ripetere formule ideologiche stantie, divenute dominanti, sebbene diffuse da una ideologia talmente falsa da essere palesemente “trogloditizzante”.
Ecco, la prima grande distinzione politica, palesemente prioritaria rispetto alla distinzione tra destra centro e sinistra, comunque si vogliano intendere queste tre categorie, è tra statalisti o persone che adorano lo Stato, da un lato, e trogloditi, miserabili, individualisti anti-statalisti, dall’altro.
Un uomo di sinistra o di centro o di destra che sia statalista, ovvero che adori lo stato, non può stimare politicamente un troglodita miserabile individualista anti-statalista, sia esso di sinistra, di centro o di destra, più di quanto stimi qualsiasi statalista, sia esso di sinistra, di centro o di destra.
Quando Santi Romano scriveva “io adoro lo Stato” non esprimeva altro che la verità morale minima, innegabile per una persona di buon senso, che prenda atto della storia mondiale plurisecolare.
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