“C’è certamente una sovrapposizione tra l’uscita del presidente della Camera, Roberto Fico, che vorrebbe tagliare i rapporti con l’Egitto e la prossima presentazione di una proposta del M5S (andrà martedì in Commissione Esteri della Camera, ndr) per chiedere un embargo europeo contro l’Arabia Saudita e i Paesi della coalizione che combatte in Yemen”. Perché? “Si tratta di una mossa per accaparrarsi un po’ di consenso casalingo e sfruttare qualche divisione all’interno del Movimento Cinque Stelle, con cui magari provare a indebolire la posizione del leader Luigi Di Maio, che è colui che per i grillini incarna l’alleanza organica con la Lega”, spiega il generale Carlo Jean, presidente del Centro Studi di Geopolitica economica, docente all’Università Guglielmo Marconi, esperto di politica internazionale.
“Niente più che retorica, mentre la politica estere deve essere fatta mirando a qualcosa di fattibile: sappiamo bene che non esistono dei pensatori di politica estera all’interno del Movimento Cinque Stelle e che certe posizioni vengono prese solo per raggruppare un po’ di consensi. Ma non è possibile fare politica estera così, non è possibile pensare al tornaconto elettorale interno soltanto, perché questo ci fa perdere credibilità e proiezione internazionale”, aggiunge Jean.
Ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha scambiato un saluto cordiale col factotum saudita, l’erede al trono Mohammed bin Salman, durante il G20: una forma di distensione davanti a certe situazioni a Roma? “Parliamoci chiaramente, noi non possiamo abbandonare né l’Egitto, né l’Arabia Saudita, e neppure gli Emirati Arabi”. Il generale cita gli Emirati perché sono un elemento di congiunzione: nel Golfo, la politica saudita è praticamente sovrapposta a quella emiratina, e le due monarchie sunnite si sono intestate la guida della coalizione che sta combattendo in Yemen l’avanzata dei ribelli Houthi (una setta sciita), collegati in modo sfumato all’Iran; in Libia Abu Dhabi appoggia completamente il Cairo sulle posizioni dell’Est libico, dove è il maresciallo di campo Khalifa Haftar a incarnare il ruolo politico; inoltre gli Emirati sono alleati e partner commerciali italiani.
“Dobbiamo pensare che l’Italia non può pensare di risolvere la crisi libica, su cui ha interessi fortissimi, senza parlare con la Cirenaica (l’Est libico di Haftar, ndr): e la testimonianza sta nel ruolo che ha svolto alla nostra Conferenza di Palermo, insieme al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi“.
Ma non solo Libia, c’è anche il Mediterraneo più in generale, giusto? “L’Egitto è un nostro partner essenziale: abbiamo 3 miliardi di export e importanti quanto storiche cooperazioni nel campo dell’energia. Da anni Eni è un attore centrale che ha relazioni strategiche con l’Egitto. Parliamo di rapporti storici: l’ingegner Guglielmo Moscato era considerato un’autorità morale al Cairo”.
Cosa rischiamo? “Rischiamo la nostra politica mediterranea. Non possiamo perdere l’Egitto, perché già non abbiamo rapporti eccellenti con la Turchia (che a proposito della Conferenza di Palermo, l’ha abbandonata in protesta con l’Italia per come stava conducendo i lavori, ndr)”. “Questo genere di uscite sono sparate alla ricerca del consenso, valgono come quella della maglietta contro Maometto di Calderoli (di cui ricordiamo le conseguenze), o forse anche peggiori. Il Parlamento non può mettersi a fare politica estera contro quella del governo, seppure sotto buoni intenti”.
“Dobbiamo ricordarci che queste debolezze creano dei vuoti, e ogni volta che creiamo dei vuoti nel Mediterraneo, la Francia, alleata, amica e concorrente spietata, cerca di occuparli”, aggiunge il generale.
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