Salvini e il nuovo corso atlantico trumpiano
di INDIPENDENZA
Il ministro degli Interni (non degli Esteri) Matteo Salvini si reca in Israele, esalta questo Paese come «il baluardo della democrazia in questa regione» (sorvolando sulle discriminazioni interne contro gli arabi e sulle sue aggressioni militari), bolla Hezbollah come «terroristi» e non trova il tempo per incontrare il presidente palestinese Abu Mazen («conto di vederlo al più presto»). Parole che hanno creato «preoccupazioni» e «imbarazzo» al ministero della Difesa del suo stesso governo. È la ministra Elisabetta Trenta a dover ricordare a Salvini che le sue dichiarazioni «mettono in evidente difficoltà i nostri uomini impegnati con l’Unifil [missione ONU in Libano a guida italiana, ndr]». «Parlare di geopolitica senza cognizione di causa solo per schierarsi dalla parte del più forte fa male a quei popoli e alla pace», attacca Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri e considerato l’esperto di Medio Oriente nel Movimento 5 Stelle.
Gli italiani impegnati nel sud del Libano sono oltre un migliaio e assieme ai soldati di 43 nazioni pattugliano quella che dal 2006 –dopo i 34 giorni della guerra scatenata da Israele con bombardamenti sulle città libanesi– è un’area relativamente calma. Il premier israeliano Netanyahu sta spingendo perché le truppe ONU abbiano un atteggiamento più muscolare contro Hezbollah, un partito rappresentato in Parlamento e nel governo. Alle ultime elezioni parlamentari libanesi del 6 maggio scorso, Hezbollah di per sé e la coalizione di governo di cui è parte sono volati nei consensi. Il consenso e la popolarità di Hezbollah, già notevoli nel Paese dei Cedri per la sua resistenza all’occupazione israeliana nel sud del Libano ed anche per le politiche sociali senza distinzioni di confessione religiosa portate avanti tra la popolazione, sono cresciuti enormemente per la vittoria riportata nell’estate del 2006 al termine dei 34 giorni di invasione militare e bombardamenti di Israele sulle città libanesi.
Salvini si trova ancora a Gerusalemme, quando ieri lo raggiunge la notizia dei morti e feriti ai mercatini di Natale, a Strasburgo, in quel che i massmedia bollano come attacco jihadista, in una Francia sconquassata dalle proteste dei “gilet gialli” contro le politiche austeritarie europee di Macron. Un atto, quello di Strasburgo, che cattura l’attenzione dei massmedia ed oscura le parole di Macron che poche ore prima aveva annunciato di cedere alle proteste, abrogando i provvedimenti contestati ed impegnandosi a varare, di lì a pochi giorni, provvedimenti sociali anche a costo di sforare il parametro di Maastricht del deficit, come peraltro tante volte la Francia ha già fatto negli anni senza –buon per i Transalpini– incappare in procedure d’infrazione e sanzioni delle istituzioni europee.
Da Gerusalemme Salvini, via twitter, scrive di pregare per le vittime e comunica «il suo impegno, da uomo e da ministro, perché i terroristi siano bloccati e eliminati, in Europa e nel mondo, con ogni mezzo lecito».
Quale migliore occasione per iniziare a svolgerlo dove si trova? Potrebbe ad esempio chiedere spiegazioni sul perché i “terroristi” di Hezbollah da anni stiano combattendo contro l’Isis e abbiano liberato i villaggi cristiani in Siria, mentre Israele operava dall’altra parte. Potrebbe chiedere a Netanyahu se le congratulazioni che ricevette da «vari leader dei gruppi ribelli siriani» per la vittoria elettorale (marzo 2015) del suo Likud, confermandosi perciò Primo ministro, siano legate all’ottenimento del sostegno richiesto ad Israele da gruppi di “ribelli” nella guerra di aggressione alla Siria. Potrebbe chiedere dettagli su come si sia dispiegato l’aiuto israeliano ai salafiti-wahabiti da quando è cominciata l’aggressione alla Siria nel 2011. Potrebbe chiedere perché i feriti jihadisti che combattevano sul Golan contro siriani, russi ed Hezbollah venissero curati negli ospedali israeliani ricevendo la visita dello stesso Netanyahu, come da foto uscite sulla stampa israeliana, e poi rimandati al fronte. Potrebbe chiedere perché aerei israeliani abbiano più volte bombardato in territorio siriano anche sulla capitale, Damasco, contro chi si opponeva al “terrorismo jihadista” di Al-Nusra, Isis & affini. Potrebbe Salvini –visto che mostra di sapere poco o nulla sul passato ed il presente di quella regione– farsi spiegare da Netanyahu perché Israele, insieme agli USA, alla Francia, alla Turchia e alle petromonarchie del Golfo, abbiano sostenuto i jihadisti per far cadere Assad, legittimo presidente della Siria. Potrebbe chiedere a Netanyahu quali siano le sue relazioni con il principe ereditario Mohammed bin Salman (mandante dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi perpetrato nel consolato saudita di Istanbul), a capo di un Paese che da decenni alimenta il terrorismo salafita-wahabita.
Dopo la sua conversione all’europeismo ‘made in USA’, dopo aver disatteso l’impegno elettorale del suo partito di togliere, una volta al governo, le sanzioni alla Russia (sanzioni imposte all’Italia e ad altri Paesi dagli USA), dopo le sue dichiarazioni in Israele, cos’altro ci riserva Matteo Salvini? Cos’altro prevede il ticket del circuito atlantico di Steve Bannon, l’ex primo consigliere e stratega in capo di Donald Trump, ora attivo con il suo network “The Movement”, grazie al quale sta raccogliendo le adesioni di partiti di opposizione e di governo di estrema destra in tutta Europa (Lega di Salvini inclusa), come promoter della nuova dottrina USA sul continente in funzione anti-Germania?
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