The Machiavellians
da CONFLITTI E STRATEGIE (Gianfranco La Grassa)
La politica si fa con scienza e conoscenza.
The Machiavellians di James Burnham, autore del più conosciuto “La rivoluzione manageriale”, è un testo fondamentale per chi intende affrontare la politica con metodo scientifico. Burnham non solo ci offre una interpretazione solida e pertinente del pensiero di Machiavelli ma ci indica con quale approccio razionale si dovrebbe trattare il mondo per evitare di sovrapporre giudizi morali e presunti principi universali alle situazioni reali. Se i nostri politicanti da strapazzo avessero applicato tale legisimilità obiettiva alle proprie azioni non si sarebbero andati a ficcare, solo per fare un recente esempio, nel guaio ucraino che rappresenta, soprattutto per l’Europa, un pericoloso punto di non ritorno. Purtroppo il Vecchio Continente è amministrato da un monoblocco trasversale di idioti – nel quale rientrano a pieno diritto i partiti di sinistra, di centro e di destra – che si interfacciano alla crisi epocale in corso con fantasie ferali come la libertà degli ucraini e la loro legittima resistenza con i missili altrui, la vittoria della democrazia sulla tirannide, il diritto internazionale (che si applica ai nemici e si interpreta per sé stessi), la giustizia globale e altre amenità del genere. Sono anche ipocriti perché per sorreggere questi vasti valori, confinanti con l’irrealtà, mettono a disposizione i propri arsenali flagellando l’intelletto collettivo e i corpi dei poveri ucraini, prima ancora del territorio russo. Il saggio di Burnham si apre con l’analisi del De Monarchia di Dante il cui modo di studio ed esposizione degli eventi viene contrapposto all’opera di Machiavelli. In quest’ultima vige il metodo scientifico applicato alla politica (Machiavelli è forse il primo a fare della politica una scienza) e agli avvenimenti del proprio tempo, nell’altra prevale la visuale metafisica o ideologica che obnubila la vista e conduce fuori strada. Anche Burnham accusa i suoi contemporanei di usare la via sbagliata quando si tratta di ragionare politicamente:
“..Ma nello scrivere sulla politica l’attuale metodo è quello di Dante, iniziando non con i fatti osservati, ma con supposti principi generali governanti la natura dell’uomo, della società e dell’universo. Le conclusioni sono raggiunte per mezzo di deduzioni dai principi: se i fatti discordano, tanto peggio per i fatti. Per Machiavelli i fatti hanno il primo posto; le domande trovano risposta nell’esame dei fatti stessi. Se rivelano che fortunati governanti mentiscono frequentemente e non tengono fede ai trattati, allora una simile generalizzazione ha la precedenza su di una legge opposta derivata da un qualche dogma metafisico che stabilisce che tutti gli uomini hanno un amore innato per la verità; oppure da un’ottimistica infondata speranza che a lungo andare la verità trionfi sulla menzogna. Se i fatti dimostrano che un governo è più sicuro se basato sulla confidenza e l’aiuto del popolo, che sulla costruzione di fortezze, allora questa è la risposta al dibattito sui meriti delle fortezze (che fu largamente discusso ai tempi di Machiavelli), anche se molti governanti senza dubbio preferiscono pensare altrimenti. Firenze, con molto denaro e poca voglia di combattere, voleva credere di potersi difendere pagando truppe mercenarie, ma poi di nuovo i fatti provarono che si poteva aver fiducia solamente.
Altro aspetto interessante riguarda una citazione riportata da Burnham di Machiavelli che evidenzia quanto non basti il denaro per vincere le guerre. Il fiorentino ha ovviamente in mente soprattutto gli eserciti mercenari ai quali ricorrevano le città a vocazione commerciale, ma questa valutazione può essere estesa ad altri aspetti. Proprio qualche giorno fa su Twitter ho avuto uno scambio di battute con un analista di Limes il quale sostiene che la Russia si stia condannando alla subordinazione alla Cina. Questa convinzione discende da una errata valutazione di tipo economicistico. Quando ho avanzato questo dubbio ho infatti ricevuto una “smentita di conferma”:
“Quanto a spese militari, [la Cina] è 4 volte la Russia. Altro che economicismo!”
La spesa militare è sempre una spesa, un fatto di danari anche se praticata dallo Stato. Non basta semplicemente spendere di più per raggiungere una supremazia militare. Ci sono tanti altri fattori in ballo, sociali e organizzativi, di struttura sociale e statale. Se fosse solo questione di affari e mercati gli USA resterebbero davanti a tutti ancora per qualche altro secolo. I Russi pur avendo una spesa ancora inferiore a Cina e USA producono armi più avanzate degli uni e degli altri. Ciò significa che la società russa sta compiendo sforzi molto più profondi che coinvolgono la loro stessa formazione politica, economica e sociale. I denari servono sempre ma si possono utilizzare male o con meno efficienza rispetto a nemici e alleati. È questo il punto sostanziale che sfugge ancora alla comprensione di molti. La Russia sta affrontando quasi solitariamente (almeno in apparenza) un conflitto più o meno esplicito con tutta la NATO, nonostante la disparità economica. Ma questa sperequazione è colmata dalla strategia e dall’innovazione settoriale messa in campo, dalla preparazione militare e politica che supera quella dei suoi competitori.
Ovviamente, Mosca dovrà giungere ad accorciare molti suoi gap e dovrà ancora trasformare e adattare la propria struttura sociale agli obiettivi che si va prefissando. Ma stabilire preventivamente che l’esito delle sue decisioni internazionali e interne porterà necessariamente alla sottomissione alla Cina perché quest’ultima può avvantaggiarsi di maggiori risorse finanziarie, mercati più estesi, una demografia più favorevole è, appunto, sintomo di economicismo e di quantitavismo. All’impero di mezzo potrebbe mancare ancora quell’elan vital o quella spinta all’egemonia globale che va molto oltre gli strumenti mercantilistici con i quali ha iniziato la sua penetrazione in determinate aree, senza trascurare che la sua zona di riferimento è ancora un coacervo di attriti e ingerenze. Vedremo…
«Poiché ciascuno può cominciare una guerra a sua posta, ma non finirla, debbe uno principe, avanti che prenda una impresa, misurare le forze sue, e secondo quelle governarsi. Ma debbe anche tanta prudenza, che delle sue forze ei non s’inganni; ed ogni volta s’ingannerà quando le misuri o dai denari, o dal sito, o dalla benivolenza degli uomini, mandando, dell’altra parte, d’armi proprie. Perché le cose predette ti accuseno bene le forze, ma ben non te le danno; e per se medesime sono nulla; e non piovono alcuna cosa senza l’armi fedeli. Perché i denari assai non ti bastano senza quelle; non ti giova la fortezza del Paese; e la fede e la benivolenza degli uomini non dura, perché questi non ti possono essere fedeli, non gli potendo dipendere. Ogni monte, ogni lago, ogni luogo inaccessibile diventa piano, dove i forti difensori mancano. I denari ancora non solo non ti difendono, ma ti fanno perdere più presto. Né può essere più falsa queila comune opinione che dice che i denari sono il nervo della guerra… la quale sentenza è allegata ogni giorno, e da principi, non tanto prudenti che basti, seguitata. Perché, fondatisi sopra quella, credono che basti loro, a difendersi, avere tesoro assai, e non pensano che, se il tesoro bastasse a vincere, che Dario avrebbe vinto Alessandro; i Greci avrebbono vinto i Romani; ne’ nostri tempi il duca Carlo avrebbe vinto i Svizzeri e, pochi giorni sono, il Papa ed i Fiorentini insieme non arebbono avuto difficoltà in vincere Francesco Maria, nipote di Papa Julio Il, nella guerra di Urbino. Ma tutti i soprannominati furono vinti da coloro che non il denaro ma i buoni soldati stimano essere il nervo della guerra… Oltre a di questo, quando, dopo la morte di Alessandro Magno, una moltitudine di Franciosi passò in Grecia, e poi in Asia. E, mandando i Franciosi oratori a il re di Macedonia per trattare certo accordo, quel re per mostrare la potenza sua e per sbigottirli, mostrò loro oro ed ariento assai; donde quelli Franciosi che di già avevano come ferma la pace, la ruppono; tanto desiderio in loro crebbe di torgli quell’oro: e così fu quel re spogliato per quella cosa che egli aveva per sua difesa accumulata. I Viniziani, pochi anni sono, avendo ancora lo erario loro pieno di tesoro, perdevano tutto lo Stato, senza poter essere difesi da quello. Dico pertanto, non l’oro, come grida la comune opinione, essere il nervo della guerra, ma i buoni soldati: perché l’oro non è sufficiente a trovare i buoni soldati, ma i buoni soldati sono ben sufficienti a trovare l’oro…» (Discorsi, Libro Il, Cap. X.)
FONTE: http://www.conflittiestrategie.it/the-machiavellians
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