[L’analisi] Quando il gioco si fa duro, Trump se ne va. Ecco perché gli Usa “scappano” dalla Siria
di TISCALI.IT (Alberto Negri)
Quando il gioco si fa duro, cioè politicamente serio, Trump se ne va. E’ questa la sostanza dell’annuncio del ritiro delle truppe americane dalla Siria, contestato dal Pentagono con un buon argomento: il ritiro degli americani lascia i curdi siriani del Rojava bersaglio dell’annunciata offensiva della Turchia e indeboliti anche in una trattativa sull’autonomia con Damasco. La colpa è proprio del presidente americano Donald Trump, almeno secondo quanto dichiarato l’altro ieri proprio dal leader turco.
We have defeated ISIS in Syria, my only reason for being there during the Trump Presidency.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) December 19, 2018
Trump aveva promesso alla Turchia che le milizie curde dell’Ypg – le forze del Rojava siriano – sarebbero state trasferite a est del fiume Eufrate. Così almeno afferma Erdogan, ribadendo che è pronto “in qualunque momento” a un’operazione militare lungo 500 chilometri di frontiera. “Se non se ne vanno – ha minacciato il presidente turco – li manderemo via noi perché quel corridoio del terrore ci preoccupa”. E così dopo avere lasciato alla Turchia via libera nel cantone di Afrin, con il consenso della Russia di Putin, adesso sui curdi siriani si rovescerà addosso l’apparato militare e l’aviazione della Turchia.
Non è un’amara novità: i curdi sono traditi con regolarità dai loro alleati a ogni tornante della storia.
Il primo a illuderli, nell’epoca contemporanea, fu il segretario di stato Henry Kissinger che negli anni Settanta incoraggiò la ribellione dei curdi iracheni contro Saddam Hussein perché allora Baghdad si opponeva a un accordo sulle frontiere con l’Iran dello Shah Reza Palhevi, alleato di ferro di Washington e investito del ruolo di guardiano del Golfo. Quando l’Iraq, proprio con Saddam, che allora era vicepresidente, firmò l’intesa sul confine dello Shatt el Arab, gli americani abbandonarono i curdi al loro destino. Non servivano più.
Lo stesso accadde negli anni ’90. Dopo la guerra del Golfo del ‘91 per la riconquista del Kuwait invaso dagli iracheni, il presidente Usa George Bush senior, scomparso poche settimane fa, lanciò un appello ai curdi e agli sciiti affinché si sollevassero contro il dittatore. Ma anche allora i curdi, così come le popolazione del Sud, vennero massacrati. Una replica di quanto era già accaduto nell’88 quando Saddam lanciò i gas contro i curdi uccidendo nell’area di Halabja almeno cinquemila persone. Nessuno disse nulla perché allora il raìs iracheno combatteva contro la repubblica islamica dell’Imam Khomeini.
Destino dei curdi sempre in bilico
Il destino dei curdi, venti milioni divisi tra Turchia, Ira, Siria e Iran, è sempre stato in bilico e mai è stata attuata la promessa di uno stato curdo. Nell’Anatolia del Sud Est, il Kurdistan turco, i governi di Ankara si sono sempre opposti a ogni forma di autogoverno e la reazione curda negli anni Ottanta è stata la guerriglia e il terrorismo del Pkk di Abdullah Ocalan. Quando nel febbraio 2015 fu raggiunto un accordo di pacificazione tra il Pkk e Ankara il primo a violarlo è stato proprio Erdogan che nell’estate di quell’anno, dopo avere subito una battuta d’arresto elettorale con l’entrata per la prima volta del partito curdo Hdp, lanciò una pesante offensiva militare e aerea contro i curdi distruggendo intere città e villaggi.
Più realisticamente i curdi siriani si sono posti come obiettivo di avere una loro regione autonoma nel Rojava. Questa autonomia se la sono guadagnata sul campo combattendo strenuamente da Kobane in poi contro l’Isis. Qui in Occidente sono stati acclamati come eroi e gli americani si sono serviti dei curdi per combattere il Califfato fino a espugnare Raqqa, la capitale di Abu Baqr al Baghadi. Ma questo non è bastato, prima la Russia ha dato via libera a Erdogan per conquistare il cantone di Afrin e ora Trump sembra intenzionato ad abbandonarli al oro destino. Altro che lotta al terrorismo. Trump, se la sua mossa sarà confermata, sceglie il terrorismo di stato di Ankara a coloro che hanno combattuto un duello mortale contro i jihadisti.
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