Vittime di un esperimento insensato e permanente? No, soltanto di un esperimento insensato e lungo
di STEFANO D’ANDREA
Interrogarsi sulla possibilità di cambiare l’Unione Europea implicherebbe che si abbia in mente una Unione europea desiderabile; che si desideri un’altra Unione Europea. E io questo desiderio non l’ho.
Non riesco a desiderare una organizzazione sovranazionale, che abbia organi che emanino norme le quali vincolano gli Stati oppure sono direttamente applicabili negli Stati;
che sottragga poteri agli Stati, in parte accentrandoli presso gli organi dell’Unione , e in parte estinguendoli (la sovranità degli Stati per un verso è stata ceduta, per altro è evaporata; non tutti i poteri che avevano gli Stati sono stati ceduti; alcuni sono stati estinti);
che leghi, o meglio cerchi di legare, gli interessi di popoli distanti e che non hanno niente in comune: non credo che, seppure un giorno sorgesse un conflitto tra Russia e Lituania vi sarebbe un solo italiano o greco o portoghese o spagnolo che vorrà morire per Vilnius.
Né trovo alcuna ragione per la quale Italia, Germania, Francia o Austria o Portogallo o Spagna debbano avere regole comuni, o comunque imposte dall’alto, in materia economica (esempio: devono esistere le società di capitali unipersonali), ma anche in materia non economica (si rammenti la lettera di Draghi al Governo Italiano, la quale tra l’altro chiedeva: cosa ha intenzione di fare il Governo per l’autonomia scolastica?).
Dico questo, per ora, non come socialista, che vede l’attuale Unione Europea imporre il liberalismo, bensì come semplice democratico che crede che non possa che derivare grave danno a tutte le nazioni europee dal protrarsi di un sistema nel quale, per ottenere qualche risultato, ogni Governo deve quotidianamente essere presente nei tavoli tecnici e svolgere trattative sistemiche e totalizzanti, come fanno, in genere, soltanto i più accaniti imprenditori.
L’Unione Europea vuole Governi che quotidianamente trattino tra loro cosa fare, e che, se si distraggono, si trovano a dover subire decisioni prese da altri. Questi non sono Governi di Stati democratici e, considerata l’assurdità logica del sistema, non possono promuovere lo sviluppo di grandi o originali civiltà.
Non è chiaro per quale ragione i Governi debbano stare quotidianamente a litigare e trattare per far valere i loro interessi, quando in un quadro chiaro di rapporti commerciali potrebbero realizzarli direttamente; e ciò, ribadisco, anche a prescindere, per ora, dalla Costituzione liberale, imposta dall’Unione Europea.
L’Unione Europea, dunque, è un’organizzazione che istituzionalizza un assurdo metodo di governo dei territori nazionali.
Ma un metodo per cosa? Escluso che si possa perseguire il grande Stato federale (non lo vuole nessuno e non si farà mai, ormai, anzi da anni, lo ammettono anche Juncker, Monti e Amato), l’Unione Europea ha soltanto lo scopo di rendere omogenee discipline che potrebbero essere eterogenee anche in un vero stato federale, e tenere uniti paesi, attraverso vincoli, che hanno come unico obiettivo quello di sottrarre a quei paesi la libertà. Quello che era lo scopo-mezzo è ora lo scopo finale.
D’altra parte non deve stupire la tesi che sostengo, ossia che l’Unione Europea non abbia oggettivamente senso (e sia in realtà soltanto un campo di battaglia per volontà egemoniche e volontà resistenziali, che siano consapevoli delle volontà egemoniche, e che accettino la necessità della trattativa permanente e muovano da una posizione di sfiducia nei confronti dei cosiddetti partners).
Si deve pur sempre prendere atto che l’Unione Europea è un caso unico, nella prospettiva diacronica e sincronica. L’Unione Europea è stato storicamente un esperimento, che ha avuto ragioni politiche solide, alcune note, altre, invece, poco note e appartenenti a sottili cospiratori.
Ma è destinata a restare, finché vivrà, un esperimento. Alla fine l’Unione Europea sarà stata un lungo esperimento insensato. Non sarà, invece, un esperimento permanente.
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