Il lato oscuro del bio: ecco cosa c’è davvero dietro
di GLI OCCHI DELLA GUERRA (Alessandra Bocchi)
Luigi Mariani, agronomo con esperienza nella modellazione matematica dell’agroecosistema e che all’Università degli studi di Milano, è stato docente a contratto di Agrometeorologia, Agronomia e ora insegna Storia dell’agricoltura. Lo abbiamo intervistato per capire perché la moda moderna di comprare bio non è come appare. Inoltre, il dottor Mariani è co-direttore del Museo lombardo di storia dell’agricoltura e vicepresidente della Società agraria della Lombardia.
A dicembre ha scritto una lettera con altri centinaia di scienziati, ricercatori ed esperti di agricoltura al Parlamento, chiedendo di riconsiderare il testo “Agricoltura biologica”. Perché si oppone al concetto di agricoltura “bio”, che nella nostra società moderna sta diventando sempre più diffusa?
Esiste un biologico serio, che sarebbe meglio chiamare “organico”, che applica con rigore le norme che si è dato. Ma raggiunge produzioni di molto inferiori a quelle offerte dall’agricoltura convenzionale, e quindi offre i propri prodotti a prezzi elevati (in media il doppio rispetto agli analoghi prodotti dell’agricoltura convenzionale). Se esiste una domanda da parte dei consumatori è corretto che il biologico la soddisfi. Non trovo invece corretto che chi fa biologico, per farsi promozione, accusi gli altri agricoltori di essere inquinatori e avvelenatori, in quanto questo è semplicemente falso. L’organizzazione dei biologici Federbio produce annualmente un rapporto “Cambia la terra” sottoscritto anche da Wwf e Legambiente. Il sottotitolo del rapporto è Così l’agricoltura convenzionale inquina l’economia (oltre che il Pianeta) – il che nega gli enormi meriti che l’agricoltura convenzionale ha nel garantire sicurezza alimentare a livelli mai raggiunti in passato (oggi solo l’11% della popolazione mondiale è al di sotto della soglia di sicurezza alimentare, contro il 35% nel 1970 e quasi il 50% nel 1945). Non trovo inoltre corretto che l’agricoltura biologica si proponga come soluzione al problema agricolo globale perché non ha la capacità di produrre abbastanza quantità di cibo per tutti e richiederebbe enormi risorse aggiuntive per farlo. Se a livello mondiale vi fosse solo agricoltura biologica, moltissime persone morirebbero di fame. Noi abbiamo cinque culture di base: il frumento, il riso, il mais, l’orzo e la soia, che garantiscono il 70% del fabbisogno calorico all’umanità. Con il biologico in tutte queste culture, si produrrebbe mediamente dal 20 al 70% in meno. Se consideriamo un calo medio di resa del 50%, per garantire la produttività attuale dovremmo raddoppiare le terre coltivate, distruggendo foreste e praterie naturali, il che mostra l’insostenibilità ecologica e ambientale di una scelta bio portata agli estremi. A riguardo mi meraviglia il fatto che il WWF, che a parole dice di voler difendere l’ambiente, non si ponga in alcun modo questo problema.
A parte l’insostenibilità, l’agricoltura biologica ha una qualità migliore di quella convenzionale?
A livello di qualità organolettica la letteratura scientifica indica che non vi sono differenze significative. E anche sul piano della salute, le due agricolture parlano la stessa lingua, nel senso che la percentuale di prodotti con residui di pesticidi (o, come preferisco chiamarli io, agrofarmaci) inferiori alle soglie di innocuità stabilite per legge è del 99% per il biologico e del 98% per il convenzionale. Ricordo inoltre che anche i “pesticidi” sono oggi largamente usati in agricoltura biologica, così come in agricoltura convenzionale. Ad esempio, l’agricoltura biologica italiana occupa oggi il 14% delle superfici coltivate e consuma il 25% dei “pesticidi”, per cui dobbiamo domandarci a chi si riferisca Federbio quando parla di “inquinatori del pianeta”. Ricordo anche che chi fa biologico usa spesso prodotti più dannosi, come i derivati del rame, che hanno rilevante impatto ambientale. Infatti il rame è un metallo pesante che resta nel terreno per millenni. Ma siccome il rame è più “antico”, viene visto come “naturale” e quindi meno dannoso dall’agricoltura biologica. Ma non è vero: è molto più dannoso.
Se il suo argomento contro l’agricoltura bio è che richiederebbe più terreno per una popolazione crescente (e in Europa oggi la popolazione è in declino) allora che problema porterebbe l’agricoltura biologica di massa se i consumatori la desiderano?
Già oggi l’Italia dipende dall’estero per il 30% delle proprie necessità di prodotti agricoli. Andare verso il biologico aumenterà sempre di più tale dipendenza. Già oggi il biologico occupa il 15% delle superfici e produce solo il 3% del prodotto. Occorre anche ragionare sul fatto che i pilastri del nostro export agro-alimentare, oltre a vino e olio, sono la pasta, i due grana (Padano e Parmigiano Reggiano) e i due prosciutti crudi (Parma e San Daniele). La pasta è fatta con frumento che viene dall’estero per il 50%, e peraltro viene dall’estero perché è di migliore qualità rispetto a quello italiano. I mangimi con cui alimentiamo le vacche da latte e i maiali con cui produciamo formaggi e prosciutti arrivano per il 35% dall’estero. Quindi capisce che andare verso il biologico significa ampliare a dismisura l’importazione dall’estero per la materia prima. Ma se importiamo la maggior parte della materia prima che fine fa la tipicità? La pasta fatta con grano duro canadese e australiano è ancora definibile “eccellenza italiana”?
Può spiegare invece la differenza tra l’agricoltura, sia biologica che tradizionale, e quella invece degli Organismi Geneticamente modificati (Ogm)? Lei è a favore degli Ogm, e se sì, perché?
Oggi la coltivazione di organismi geneticamente modificati non è ammessa in Italia, né in biologico né in convenzionale. Personalmente sono favorevole agli Ogm come lo sono molti degli agricoltori del mondo che oggi li coltivano. Sono favorevole perché presentano enormi vantaggi a fronte di rischi irrilevanti. La paranoia verso il geneticamente modificato è infondata. Consideri che il trasferimento di geni da una specie all’altra avviene in natura con grande frequenza. Ad esempio, i frumenti selvatici e i primi frumenti coltivati avevano 14 cromosomi, ma l’incrocio con piante infestanti ha portato alla comparsa di frumenti a 28 cromosomi (il grano duro) e a 42 cromosomi (il grano tenero). Questo è accaduto fra 6000-9000 anni e i nostri antenati, che nei loro campi vedevano comparire questi organismi geneticamente modificati, li hanno selezionati in quanto le spighe erano più grandi e davano maggiore prodotto. Chi oserebbe dire che quel che accadde allora fu un male? Eppure con il metro di oggi tutto questo sarebbe rigorosamente proibito, in quanto il trasferimento di geni riguardò addirittura generi diversi (Triticum e Aegilops).
Sembra che la tendenza di oggi verso il biologico sia dovuta dal fatto che le persone hanno un’avversione verso quello che appare artificiale, e preferiscono invece quello che gli appare naturale. Perché trova che questo modo di ragionare sia sbagliato? L’umanità non ha già fatto abbastanza danni?
Come scrisse il leader politico Jean Jaurès in un suo articolo scritto nel 1990, non esistono il pane e il vino naturali: sono fantastiche creazioni dell’ingegno umano. L’agricoltura è dunque artificiale, ma questa artificialità porta a enormi benefici. Come ho detto prima, i nostri antenati millenni fa hanno selezionato i frumenti migliori per nutrirsi. L’artificialità dell’agricoltura ci fa vivere. Non esiste il frumento naturale, ma l’uomo fa parte della natura e dunque non è vero fino in fondo che quello che facciamo sia artificiale. L’uomo osserva la natura e potenzia gli effetti naturali, in questo caso a fin di bene per garantire sicurezza alimentare. Con il “naturale” saremo morti quasi tutti di malattie e di fame. Se pensa alla Genesi della Bibbia, quando Dio caccia Adamo ed Eva dal paradiso, dice che il loro cibo sarà di lì in avanti guadagnato con il sudore della fronte e le erbacce insidieranno i raccolti. E’ da questa condanna, che grazie all’ingegno umano, nasce l’agricoltura. E qualcosa di analogo ce lo racconta Virgilio nelle Georgiche, quando dice che i nostri antenati erano consci di aspetti che oggi, sempre più lontani dal mondo rurale, facciamo sempre più fatica a comprendere.
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