Ne “La grande trasformazione” Karl Polanyi descrive gli effetti perversi del pieno sviluppo, nel corso del XIX secolo, di una “società di mercato”. Modi di vita e di relazionarsi col prossimo secolari venivano sconvolti nell’arco di pochi decenni sull’altare delle esigenze del profitto. Prendeva corpo, in maniera del tutto innaturale e senza riscontri nella storia umana, una società nella quale era trasformato in merce ciò che non nasce come merce, e cioè la vita umana attraverso la mercificazione del lavoro, l’ambiente attraverso la mercificazione della terra, e la moneta. Di fronte a un tale sconvolgimento, aggravato dalla ferocia della crisi economica scoppiata nel ’29, le masse avevano dato vita ad un “contro-movimento” contro il mercato, sostanziatosi nel fascismo, nel bolscevismo e nel New Deal roosveltiano. La lezione da trarre, secondo Polanyi, consisteva quindi nella presa d’atto della impossibilità dell’affermazione di una piena e dispiegata società di mercato e della necessità di dare corpo a istituzioni democratiche in grado di proteggere i popoli dalle esigenze del profitto.
Una copia de “La grande trasformazione” deve essere capitata anche dalle parti di via Solferino, e l’ineffabile Michele Salvati l’ha risignificata (per usare un termine a noi caro) da par suo: nella lettura che ne dà Salvati, lo Stato deve adattare le masse alle esigenze della società di mercato. Certo, a differenza che negli anni ’30 per adesso le istituzioni liberali reggono, specialmente in quei paesi virtuosi che hanno portato a termine la preziosa opera di ingegneria sociale. “Ma che cosa succede – si domanda il nostro – in Paesi in cui questa spirale positiva non funziona, in cui lo sviluppo dei settori avanzati è insufficiente e la crescita ristagna da tempo, la povertà aumenta e la qualità dei servizi forniti dallo Stato di benessere diminuisce? In cui, soprattutto, è messa in dubbio la competenza e l’onesta dei governi e della pubblica amministrazione? Quel che avviene è esemplificato dall’Italia. Il faticoso impegno di adattare l’economia e le istituzioni alla seconda Grande Trasformazione — un impegno che maggioranza e opposizione non dovrebbero definire in modo troppo diverso — è trascurato e il sistema politico entra in una fase di fibrillazione, con frequenti mutamenti delle leggi elettorali e delle formule di governo: la ricerca di una maggioranza usando appelli populistici esclude un consenso fondato su programmi realistici e le misure promesse — e purtroppo in parte attuate — non fanno che aggravare la situazione. Di conseguenza il Paese ristagna e il governo successivo, portato al potere dal perdurare dell’insoddisfazione popolare, riparte con nuove promesse sbagliate o inattuabili: l’insuccesso alimenta l’insuccesso”.
Insomma, di fronte alla rivolta popolare contro la società di mercato, ci vuole più società di mercato. Del resto sono gli stessi che di fronte alla crisi economica propagandano più liberismo, e di fronte alla crisi dell’europeismo propagandano più europa. Insomma verrebbe da pensare che siano stupidi, non fosse che invece hanno un disegno e lo stanno portando a compimento: vincere e restaurare il potere dell’oligarchia.
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