Blackout in Venezuela: assaggi della prossima guerra
di FEDERICO DEZZANI
Nel quadro delle manovre atlantiche per rovesciare il presidente Nicolas Maduro, il Venezuela è stato oggetto di un attacco informatico che, paralizzando la rete di distribuzione elettrica, ha inflitto pesanti danni al Paese. Le autorità venezuelane hanno esplicitamente parlato di attacco cibernetico, poi confermato dalle autorità cinesi che hanno prestato il loro aiuto per il ripristino della rete. Si tratta di un tipico esempio di “guerra ibrida”, anticipazione del prossimo conflitto tra grandi potenze: ogni contendente cercherà di annichilire l’apparato produttivo dell’avversario con sabotaggi informatici ma, come nel caso dei bombardamenti aerei, difficilmente questo tipo di operazioni sarà risolutivo per la sconfitta del nemico.
Attacchi cibernetici: falsa rivoluzione militare
Chi avesse avuto il piacere di leggere il nostro ultimo lavoro, “Terra contro Mare; dalla rivoluzione inglese a quella russa”, ricorderà come già alla fine della Grande Guerra del 1914-1918 si stessero aggiungendo due nuove dimensioni alla tradizionale dicotomia terra-mare: l’aria, con lo sviluppo dell’aviazione militare, e l’etere, con il controllo e la trasmissione dei dati. Queste nuove dimensioni, scrivevamo (e, ovviamente, confermiamo!) non alteravano però la tradizionale geopolitica basata sulla contrapposizione tra potenze marittime e potenze continentali: aria e etere sono solo “nuovi campi di battaglia” tra gli angloamericani ed i colossi euroasiatici. I recentissimi sviluppi in Venezuela confermano le nostre fortunate intuizioni: nel Paese sudamericano, infatti, si stata assistendo ad un braccio di ferro tra Cina e Russia da un lato, Usa ed Inghilterra dall’altro, anche col ricorso alla guerra cibernetica.
Riepiloghiamo rapidamente i fatti. L’amministrazione Obama prima (colpo di Stato giudiziario in Brasile del 2016) e quella Trump dopo, hanno stabilito la reintroduzione della dottrina Monroe nel continente americano, per fermare l’influenza cinese e russa in forte espansione: la dottrina Monroe, datata 1823, è una dichiarazione politica molto “elastica”, che consente agli USA di intervenire ovunque avvertano i loro interessi minacciati, in primis in Centro e Sud America. Disarcionata Dilma Rousseff e traghettato il Brasile nell’orbita nazionalista-atlantica, l’attenzione angloamericana si è spostata sul Venezuela.
Spesso, a nostro avviso, si dà troppo importanza al petrolio, certamente non in cima ai pensieri degli strateghi angloamericani, considerata anche l’attuale sovrabbondanza di oro nero. A Washington e Londra preme la caduta del governo bolivariano di Nicolas Maduro per ristabilire la completa egemonia in Sud America ed indebolire la già difficile posizione di Cuba. Un Venezuela “terzomondista” significa, infatti, la possibilità per Russia e Cina di disporre di una “piattaforma” distante 4.500 km dagli Stati Uniti, ideale per il dispiegamento di forze aeronavali o missili nucleari tattici. Le manovre per rovesciare Maduro sono iniziate con le proteste del 21 gennaio scorso, sono proseguite con la proclamazione di un capo di Stato, Juan Guaidò, spalleggiato dall’Occidente e non riconosciuto da Caracas e hanno fatto ricorso al solito armamentario dei cambi di regime: congelamento dei fondi all’estero, sanzioni economiche, corruzione di ambasciatori e attaché militari all’estero, etc. etc.
Fin qui niente di nuovo, niente di risolutivo e niente, pertanto, che valesse la nostra attenzione. La situazione si è però fatta interessante il 7 marzo, quando un blackout ha paralizzato per circa una settimana la rete elettrica venezuelana, infliggendo gravi danni al Paese in termini economici e sociali: industria estrattiva paralizzata, aeroporti e ospedali in panne, acquedotti fermi, linee telefoniche fuori servizio, frigoriferi industriali e domestici inservibili, etc. La città di Maracaibo, la seconda più grande del Paese, è stata anche oggetto di violenze e saccheggi senza precedenti sull’onda del blackout1. Secondo una stima del governo venezuelano, i danni per i sette giorni di malfunzionamento della linea elettrica ammonterebbero a 870 milioni di dollaro2. Il blackout, in particolare, sarebbe stato causato dall’interruzione del flusso di energia elettrica prodotta dalla diga di Guri che, completata negli anni ‘70, fornisce tuttora circa i tre quarti del fabbisogno elettrico venezualano3.
Fin dalle prime ore, chiunque avesse dimestichezza con la moderna guerra ibrida, ha subito pensato ad un attacco cibernetico condotto dagli Stati Uniti contro il Venezuela, col tentativo di accelerarne l’implosione politica. A distanza di circa una settimana, quando il guasto è stato riparato e la corrente elettrica ripristinata, lo stesso Maduro ha accusato esplicitamente gli USA di aver sferrato l’assalto alla rete elettrica venezuelana, usando come basi le città americane di Houston e Chicago; un autorevole conferma della natura dolosa del blackout è venuta dal portavoce del ministro degli Esteri cinese, Lu Kang, che ha pubblicamente parlato di attacco hacker, volto a destabilizzare l’ordine sociale: i cinesi possono avanzare accuse su solide basi, considerato che hanno fornito l’assistenza tecnica per neutralizzare l’attacco cibernetico e ripristinare la distribuzione elettrica.
L’episodio merita senza dubbio di essere analizzato, in quanto costituisce un “assaggio” della prossima guerra tra grandi potenze, cioè del prossimo scontro tra Terra e Mare.
Si può dire, innanzitutto, che il progresso della tecnologia tenda ad allontanare sempre di più gli schieramenti avversari. Dall’introduzione della polvere a sparo all’introduzione dei missili intercontinentali, lo spazio che separa i due contendenti è letteralmente esploso: nel caso dell’attacco alla rete elettrica venezuelana, i tecnici americani sedevano a circa 5.000 chilometri di distanza dal Venezuela, eppure erano in grado di recare danno alle sue infrastrutture come una nave cannoniera avrebbe potuto fare, a inizio Novecento, solo se dislocata davanti alle coste venezuelane. Tende poi a sparire qualsiasi differenza residua tra militari e civili, aumentando l’imbarbarimento di un’attività che, per quanto cruenta, era un tempo soggetta ad un diritto universalmente riconosciuto dai popoli civilizzati: che fine ha fatto, ad esempio, la dichiarazione di guerra? Maggiore sicurezza, quindi, per chi attacca. Maggiore cinismo, anche. Ma anche altrettanta efficacia?
Il caso venezuelano dimostra che anche la paralisi della rete di distribuzione elettrica, protratta per una settimana, non è di per sé sufficiente a piegare l’avversario. Viene così spontaneo un parallelismo con il perfezionamento, circa un secolo fa, dell’arma aerea. L’introduzione di velivoli sempre più potenti e capaci di imbarcare (e sganciare) un peso crescente di bombe, aveva indotto l’italiano Giulio Douhet (1869-1930), il “Mahan dell’aria”, a ritenere che l’aereo ed il dominio dei cieli sarebbero stati decisivi nei successivi conflitti: ne “Il dominio dell’aria” del 1921, Douhet introduce il concetto di bombardamento strategico, volto ad annientare la capacità industriale dell’avversario e atterrire la popolazione, poi adottato dalle aviazioni angloamericane nei successivi conflitti: dalla Seconda Guerra Mondiale all’invasione dell’Iraq. In nessuno dei conflitti combattuti dagli Stati Uniti negli ultimi 70 anni, l’arma aerea è però mai stata risolutiva, o di per sé sufficiente a sconfiggere l’avversario.
Partendo dalla massima del prussiano von Clausewitz, secondo cui la guerra “è un atto di violenza per imporre all’avversario la nostra volontà”, è ormai assodato che i bombardamenti aerei non siano di per sé sufficienti a imporre la propria volontà al nemico. Lo stesso si può dire degli attacchi cibernetici che, pur costando relativamente poco e infliggendo danni relativamente gravi alle infrastrutture del nemico, sicuramente non annientano la sua capacità offensiva, né azzerano il suo morale. Il Venezuela, dopo sette giorni di blackout, è ancora in piedi.
La guerra cibernetica è quindi uno strumento necessario, ma non sufficiente per piegare l’avversario, specialmente se strutturato, industrializzato e disciplinato come una potenza euroasiatica: resta l’eterno problema di “imporre la volontà”, risultato che non si può ancora ottenere senza il confronto fisico tra forze armate avversarie. La guerra cibernetica può rallentare la capacità dell’avversario di proiettarsi all’estero, ma prima o poi uno scontro sul campo di battaglia è inevitabile: forse il blackout venezuelano sarebbe stato risolutivo se abbinato ad un fulmineo blitz delle forze aeronavali americane. Ma siamo sicuri che anche questo attacco combinato avrebbe infine indotto il regime di Maduro alla resa? O sarebbe servito il vecchio sbarco dei marines?
Immaginiamo ora il prossimo conflitto tra grandi potenze, ognuna delle quali sta costruendo le sue unità di guerra cibernetica. All’apertura delle ostilità, ciascuno cercherà di piegare l’avversario, menomandone le capacità di resistenza/offesa: fabbriche, ferrovie, aeroporti, dighe, acquedotti, linee telefoniche, niente sarà risparmiato. Dopo qualche settimana, ciascuno avrà subito e inflitto danni, ma avrà anche imparato a neutralizzare gli attacchi avversari: statisticamente, infatti, le capacità militari tra potenze industrialmente avanzate si distribuiscono in maniera piuttosto simile. Per piegare l’avversario, non resterà quindi che ricorrere all’armamentario classico: marina, aviazione, esercito e deterrente nucleare. Anche in questo caso, però, è facile che si crei in fretta un equilibrio in termini qualitatitivi. Chi vincerà, quindi, la guerra? Non chi padroneggia meglio gli attacchi cibernetici ma chi, già all’apertura delle ostilità, avrà costruito la coalizione più forte. L’eterna superiorità della geopolitica…
1https://www.theguardian.com/world/2019/mar/15/venezuela-no-electricity-medicine-or-hope-despair-rules-in-maracaibos-hospitals
2https://www.repubblica.it/esteri/2019/03/14/news/venezuela_blacjout_finito_riprendono_l_attivita_-221497773/
3https://www.reuters.com/article/us-venezuela-politics-china/china-offers-help-to-venezuela-to-restore-power-idUSKBN1QU0ZM
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org/blackout-in-venezuela-assaggi-della-prossima-guerra/
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