La guerra sotto casa
di JACOBIN ITALIA (Giuliano Santoro)
La scorsa settimana la pistola Taser è stata utilizzata in un quartiere popolare di Genova. Storia di un’arma pensata per i conflitti urbani a bassa intensità, considerata “strumento di tortura” dall’Onu
È successo quello che era accaduto per i migranti e le Ong: Luigi Di Maio ha alzato la palla e Matteo Salvini ha schiacciato. Questa volta l’assist è servito a promettere l’adozione delle pistole elettriche Taser. Si era, domenica scorsa, nel pieno dell’impatto emotivo per il tragico omicidio del carabiniere Vincenzo Di Gennaro, nel foggiano. Di Maio ha pensato bene di rilanciare la palla sul terreno del suo alleato-contendente leghista: «Adesso facciamo in modo che la legittima difesa sia un diritto delle forze dell’ordine», ha detto il vicepremier grillino. Salvini non se l’è fatto dire due volte alla convention della Lega nel Lazio ha promesso: «Le pistole elettriche saranno in dotazione degli agenti da giugno». La notte precedente, come riferito dal capo delle volanti della questura di Genova Alessandra Bucci, c’era stato il debutto della pistola elettrica in dotazione al suo reparto nell’ambito della sperimentazione nazionale in corso da settembre. Il Taser ha lanciato il dardo elettrico contro un uomo accusato di violenze, nel quartiere popolare di Begato. Nella città dove venne dichiarata la guerra a bassa intensità contro i movimenti, il livello di pericolosità delle divise per strade sale di un altro gradino.
Questa storia inizia cinque anni fa, almeno. Chissà se l’onorevole Gregorio Fontana da Bergamo, eletto in Forza Italia e promotore dell’emendamento al decreto sulla “sicurezza negli stadi” approvato dal Senato il 14 ottobre del 2014 che introdusse l’impegno a sperimentare in Italia il Taser, conosce la storia del professor Jack Cover, che negli anni Sessanta inventò il primo modello di pistola elettrica. Quella storia e quella invenzione di un’arma che veniva definita con ottimismo da Fontana e dai manuali di polizia “non letale” attraversano gli ultimi decenni e accompagnano l’evoluzione della scienza della guerra dagli eserciti regolari alle truppe sparpagliate dentro e fuori i confini delle polizie globali.
Nato nel 1920, figlio di un economista e di una matematica, Cover si laurea in fisica con Enrico Fermi all’Università di Chicago. Poi collauda velivoli per l’aeronautica della seconda guerra mondiale. Negli anni della conquista dello spazio lavora alla Nasa al programma Apollo, che porta i primi uomini sul suolo lunare. Negli anni del keynesismo in mimetica e della Guerra fredda circolano centinaia di milioni di dollari tra laboratori, esercito e aziende. Cover passa a Ibm prima e ai contractors di Hughes Aircraft dopo. La mossa successiva è mettersi in proprio, occupando uno spazio di mercato all’interno dell’indotto del comparto militare-industriale. Cover ha trascorso molto tempo a sperimentare tecnologie futuristiche, ma non ha dimenticato le letture giovanili. Negli anni della Grande depressione si era imbattuto nelle storie tra science fiction e avventura dell’eroe adolescente Tom Swift, il quale utilizzava un’arma che aveva colpito la sua fantasia giovanile: un fucile elettrico.
Anni dopo, sorseggiando una tazza di caffè nero, Cover scorre le brevi di cronaca al bancone di un diner. Rimane, è il caso di dirlo, folgorato quando legge la storia di un uomo che ha inavvertitamente toccato un recinto elettrificato. La scossa non ha lasciato conseguenze letali, quell’uomo è rimasto immobilizzato dalla carica elettrica per qualche minuto. Cover si mette all’opera e disegna il progetto di una pistola che spara frecce elettrificate isolate da cavi. L’idea che il circuito si chiuda quando i dardi raggiungono il corpo umano, causando nella vittima contrazioni muscolari incontrollabili.
Ci vogliono cinque anni perché l’arma elettrica diventi realtà. Nel 1974 Cover deposita il primo modello della pistola che battezza con l’acronimo Taser, che significa Tom Swift’s Electric Rifle, in omaggio al suo ispiratore. «Sì, abbiamo aggiunto una A – spiega divertito l’inventore al Washington Post nel 1976 –. Eravamo stanchi di presentarci a telefono dicendo Tser». Gli Stati Uniti che escono, sconfitti, dalla guerra in Vietnam stanno concentrando le truppe sul fronte interno, si apprestano a regolare i conti dell’eterna lotta tra metropoli incontrollabili e province suburbane pacificate. La pistola elettrica come strumento di polizia si diffonde rapidamente. Si chiude l’era dei bastoni e delle cariche a cavallo contro i cortei per la pace e i diritti civili, si apre quella della guerra a bassa intensità casa per casa, strada per strada, cortile per cortile, per riportare all’ordine le città enfaticamente definite “fuori controllo” dai media. Da strumento ludico e sperimentazione psichedelica le droghe diventano il marchio che contrassegna i nuovi folk devil metropolitani. La Taser Gun viene consigliata particolarmente per ridurre a miti consigli il teppista di strada sotto effetto di anfetamine o allucinogeni, lo stesso che i telegiornali, show televisivi e film danno in pasto al panico collettivo. Tragicamente, l’elettroshock da tolleranza zero non è esente da controindicazioni e sono proprio i soggetti alterati, quelli col battito cardiaco accelerato o le funzioni cerebrali sotto stress, a essere più esposti al rischio. Secondo le statistiche di Amnesty International, il Taser causa centinaia di decessi all’anno. Eppure viene utilizzato come deterrente persino in alcune scuole. In fondo, il passaggio dalla tortura coi cavi elettrici alla garbata puntura della pistola che porta il nome di un eroe ragazzino di fantasia è un capolavoro di scienza della repressione.
«Quando un soldato va in guerra ha bisogno che ci siano dei nemici – spiegano i criminologi Jerome Skolnick e James Fyfe nel loro studio sugli abusi di polizia intitolato “Above The Law” –. Quando un poliziotto va in guerra contro il crimine ha bisogno di individuare i propri avversari nelle periferie urbane e nelle minoranze etniche». Nel 1991 viene colpito per due volte dalle frecce folgoranti dei Taser anche Rodney King, il cittadino afroamericano il cui pestaggio gratuito a opera degli agenti del Los Angeles Police Department innesca la rivolta nella metropoli californiana. Nell’Italia della crisi di nemici pubblici contro cui testare gli effetti del Taser ne abbiamo a bizzeffe. Si potrebbero rivolgere contro gli ultrà degli stadi, nei confronti dei quali tutti i provvedimenti repressivi degli ultimi anni sono stati introdotti per essere esportati al resto della società. Ne potrebbero provare l’effetto sui rom o sugli scugnizzi dei quartieri periferici che girano in moto senza casco a favor di telecamera, generando lo scandalo degli spettatori in poltrona. Anche in questo caso, la storia statunitense ci aiuta a capire. Michal J. White e Jessica Saunders hanno scandagliato i registri di polizia, le carte dei tribunali, i dati delle associazioni e le cronache dei giornali nell’arduo compito di analizzare il rapporto tra l’appartenenza etnica e l’impiego del Taser nelle strade statunitensi. Dunque, quante possibilità hai di finire colpito dalla pistola elettrica se sei afroamericano, latinos o di origini asiatiche? Preso atto che nella maggior parte dei casi i documenti registrano casi estremi ed episodi letali, i due ricercatori sostengono con parole fredde e inequivocabili che l’impiego ne conferma la regola: «Il problema della relazione tra pregiudizio razziale e uso del Taser investe i dipartimenti di polizia statunitensi».
L’arma è stata definita dalle Nazioni unite come “strumento di tortura”. Tanto che Taser International ha deciso di cambiare nome, per modificare la propria immagine associata sempre più spesso alle morti delle persone su cui era stato usato un Taser.
«Lavoreremo per poter usare il Taser anche sui treni, e nel pacchetto sicurezza inseriremo una norma per renderlo fruibile agli agenti della polizia locale – aveva promesso Salvini all’inizio della fase di collaudo – Mi confronterò con il ministro della giustizia per verificare la possibilità di offrire il Taser anche alla polizia penitenziaria come richiesto da alcuni sindacati». Ad oggi, dopo sei mesi di “sperimentazione” in Italia, Viminale ha reso noto soltanto il numero totale degli utilizzi, senza fornire nessun ulteriore dettaglio (età della persona, genere, provenienza, circostanze ecc.) sui singoli episodi di impiego del Taser e sui relativi esiti. Le città coinvolte nel test di trenta pistole elettriche al momento sono Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Genova, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia, Brindisi. «Non risulta essere stato condotto (o, quanto meno, non è stato reso pubblico) uno studio rigoroso e indipendente sugli effetti sulla salute per stabilire le conseguenze dell’utilizzo della pistola Taser sulle persone, specie su soggetti potenzialmente a rischio – protesta la sezione italiana di Amnesty International –. Di fronte a un uso standardizzato delle pistole Taser da parte delle forze di polizia, compresa la polizia locale, chiediamo che vengano adottate tutte le precauzioni e messi a disposizione i necessari studi medici onde scongiurare al massimo gli effetti letali di un’arma ‘non letale’».
*Giuliano Santoro, giornalista, scrive di politica e cultura su il Manifesto. È autore, tra le altre cose, di Un Grillo qualunque e Cervelli Sconnessi (entrambi editi da Castelvecchi), Guida alla Roma ribelle (Voland), Al palo della morte (Alegre Quinto Tipo).
Fonte: https://jacobinitalia.it/la-guerra-sotto-casa/
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