Il progresso
di SAVERIO SQUILLACI (FSI Reggio Calabria)
Non riesco a spiegarmi quale sia il motivo per cui abbiamo attribuito alla parola “progresso” una semantica che sconfina nell’idea di una furia iconoclasta verso tutto ciò che si ricollega al passato, alla tradizione o ai valori, quando la utilizziamo in senso assoluto e quanto invece la consideriamo diversamente quando si comporta da semplice sostantivo o complemento.
Se parliamo del “progresso”, non sottintendiamo un semplice superamento di ciò che è stato ma la sua totale distruzione, come se si ponesse da ostacolo ad una qualsivoglia evoluzione. Viceversa, se ne parliamo in termini ordinari, come ad esempio in riferimento ai miglioramenti di un bambino in una materia scolastica, lo intendiamo come complemento di ciò che già aveva appreso.
Pensiamo al “progresso” come alla vita di un albero che, una volta cresciuto, dovesse liberarsi delle sue radici perché ne impediscono lo sviluppo. Abbiamo sostanzialmente confuso l’evoluzione con la tecnologia e la tecnica, la cultura e la tradizione con l’oscurantismo, la memoria e la saggezza con un racconto noioso ed inutile di chi eravamo e di chi siamo. Eppure ancora ci rivolgiamo ai classici per trovare mirabili sintesi di buon senso e di consapevolezza. Come mai? Non siamo forse progrediti negli ultimi due millenni?
Quando rifletto su questo argomento non posso fare a meno di pensare alla storia del Greco di Calabria, una lingua antica ma viva che fu fatta passare, ai tempi dell’alfabetizzazione nazionale, come una vergogna, un marchio di arretratezza e di ignoranza da estirpare il più velocemente possibile. Come se in qualche modo impedisse il “progresso” e la “civiltà” di un popolo che si stava formando.
E’ un fatto su cui riflettere, specialmente di questi tempi. Tempi in cui sembriamo tutti innamorati delle culture minoritarie che rischiano di perire, schiacciate dai processi globalizzanti, e che tentiamo strenuamente di salvare dall’oblio. Perché tanta attenzione per queste realtà culturali “insignificanti” e così poca per i valori fondanti della nostra società? Mi verrebbe da rispondere che forse il motivo sta nel fatto che le prime non minacciano l’avanzata violenta di un globalismo bramoso di disintegrare i popoli, esaltando i capricci dell’individuo. Un individuo così libero da non aver bisogno di radici, così emancipato da bastare a se stesso, così “progredito” da poter dimenticare di chi è figlio.
Il progresso poggia le sue basi su ciò che è stato e lo comprende. Il progresso è consapevolezza, coscienza. E’ volontà di confronto e di scambio. E’ buon senso, capacità di unire la memoria con la prospettiva, l’identità con la differenza, senza che né l’una né l’altra si estinguano. Il progresso è la ricerca di un equilibrio, non la volontà distruttiva di un’idea totalizzante.
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