“Normalità” nei mercati finanziari?
di Filippo Petroni
Dando uno sguardo, anche solo superficiale, ai dati storici del Down Jones (DJ) ci si accorge di quanto siano frequenti le variazioni di prezzo di una certa entita’.
Per chiarire meglio di cosa si parla, si riportano alcuni esempi importanti: nell’Agosto del 1998 il DJ scende in un giorno del 3,5%, tre settimane dopo scende del 4,4% ed il 31 Agosto 1998 del 6,8%. La causa di questi “crolli” così vicini era da ricercarsi nella crisi finanziaria che stava colpendo la Russia. Altri esempi recenti sono: il lunedì nero del 1987 (in un solo giorno il DJ perde il 29.2%), il collasso dopo la bolla speculativa dei titoli legati ad Internet nel 2001 e, ovviamente, il crollo del 2008, collegato all’emissione di mutui “sub-prime”, che ha determinato la crisi ancora in atto.
Tutti questi fenomeni sono per loro natura imprevedibili. Ciò che gli studiosi fanno è cercare di prevedere la probabilità che essi avvengano, utilizzando dei modelli matematici che, basandosi sulla natura stocastica della variazione dei prezzi dei titoli azionari, permettano di avere informazioni sulla probabilita’ che variazioni di prezzo di una determinata entità avvengano in un dato lasso di tempo. Costruire modelli adatti a questo scopo e’ ovviamente complicato. Come in tutti i campi della scienza, si procede semplificando il problema in esame e facendo delle assunzioni di fondo. L’importante ovviamente e’ che queste assunzioni non siano troppo lontane dalla realta’ e permettano, comunque, di fare stime numeriche confrontabili con i dati reali che esistono e sono analizzabili.
Il modello servira’ a stimare quale sia la probabilita’ che in futuro si verifichino determinati eventi. E’ essenziale, quindi, che, affinche’ il modello sia credibile, si facciano verifiche sui dati del passato. Il modello deve essere in grado di stimare correttamente la probabilita’ di eventi gia’ accaduti.
I modelli matematici largamente utilizzati sia dalle banche che dai governi si basano su una ipotesi di fondo dei fenomeni in analisi. Si assume che questi fenomeni abbiano una natura “normale”, ovvero, che variazioni di prezzo molto elevate siano estremamente rare. Per dare un’idea, secondo questa ipotesi una perdita come quella del “Black Monday” si puo’ avere solo una volta ogni 1050 anni (un tempo di gran lunga superiore all’eta’ dell’universo).
Tecnicamente con “normale” si intende che la probabilità con cui si descrive la variazione di prezzo di un titolo azionario (o di un indice azionario, essendo questo una “semplice” media di più titoli) viene da una funzione detta appunto Normale (distribuzione di Gauss). La scelta di utilizzare l’ipotesi di normalita’ dipende da vari fattori tra i quali ci sono sicuramente la semplicità di utilizzo e i motivi storici (era già utilizzata agli inizi del ‘900).
Sfortunatamente, però, le variazioni di prezzo sono tutt’altro che normali. L’assunzione di normalita’ del mercato funziona solamente per brevi periodi di calma. Quindi, i modelli basati sulla Normale sono completamente inadeguati quando si cerca di calcolare le probabilità (o rischio) di variazioni di prezzo molto elevate. Questo implica che modelli matematici costruiti su questa ipotesi siano troppo lontani dalla realta’.
L’inadeguatezza deriva essenzialmente dal fatto che si considera solo la possibilita’ di condizioni “normali” del mercato, attribuendo probabilità infinitesime a quelli che vengono considerati eventi rari. Dall’esperienza sappiamo che questi eventi poi cosi’ rari non sono. Infatti si puo’ facilmente verificare, attraverso un’analisi approfondita degli andamenti storici degli indici azionari, che la probabilità che si verifichino eventi rari è molto piu’ elevata di quella che puo’ essere calcolata dai modelli matematici basati sulla normalità del mercato.
Nonostante la loro inadeguatezza questi modelli vengono utilizzati per la stima del rischio legato a grosse perdite (essendo il rischio essenzialmente una probabilità), del rischio di fallimento delle società, del rischio legato alla mancata restituzione di un mutuo….
Il loro utilizzo comporta una sottostima sistematica del rischio. Stimare il rischio in modo corretto vorrebbe dire essere preparati in caso di crolli finanziari come quello appena vissuto o, se i governi prendessero provvedimenti adeguati, ad evitarli completamente. E’ infatti dovuta, in gran parte, a questa sottostima la crisi finanziari che ci ha investiti nel 2008. I mutui “sub-prime” sono stati concessi dalle banche sottostimando la probabilita’ di inadempimento. La “Securities and Exchange Commission”, organo regolatore del mercato azionario degli Stati Uniti, basandosi sulla probabilità di inadempimento cosi’ calcolata, ha permesso alle banche di concedere debiti quasi senza limiti.
“E’ infatti dovuta, in gran parte, a questa sottostima la crisi finanziari che ci ha investiti nel 2008”
Siamo sicuri che questa “sottostima” sia stata casuale?
Secondo me è stata ben studiata e premeditata, in fondo quando c’è una crisi chi la paga? I poveri! …Che diventano ancora più poveri.
Ed è sempre stato così, la crisi del ’29 non è stata creata a tavolino forse?
Siamo in mano alle solite persone…se non hanno previsto tutto questo ci sono solo 2 possibilità:
1 sono incompetenti
2 sono truffatori
Ovviamente la risposta giusta è la seconda, se fossero incompetenti sarebbero stati mandati a casa…invece ognuno è al suo posto.
Ovvio che non ci può essere soluzione a questo.
Obama ha riconfermato criminali come Bernake, tanto per fare un esempio…
E stranamente tutte le misure adottate da Obama sono esattamente il contrario di quello che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno raccomandato ai paesi poveri in momenti di crisi!
I famosi “aggiustamenti strutturali” sono arrivati anche nell’Impero economico più grande del mondo.
Questo a dimostrazione che la socializzazione delle perdite è planetaria, nessun angolo del mondo è esentato…forse le isole Cayman…
;)
Cara Alba,
è superfluo dire che sono daccordo.
Filippo è uno scienziato e tende ha scrivere soltanto ciò che è “oggettivamente” vero. Ed è vero che sia stata sottovalutata. Perché ciò sia avvenuto è un’altra questione, che sta a monte.
E’ vero, comunque, che la ideologia diffusa sosteneva che il meccanismo della creazione di titoli di debito poteva durare all’infinito e credo che non pochi (a mio avviso quasi tutti) e rampanti laureati in economia o matematica fiinanziaria agissero sulla base di quel presupposto, che sfuggiva alle loro conoscenze matematiche (anche gli “economisti” ormai erano matematici, che non sapevano nulla o quasi di stotia economica e di storia delle dotrine economiche, cioè di economia).
La sottostima, dunque, dipendeva da interessi al vertice del sistema e dalla ideologia, che una volta creata ha una propria vita e una propria capacità di persuasione, anche di persone in buona fede.
Se la crisi sia stata voluta o si sia assunto il rischio che si verificasse o ci si sia disinteressati ad essa non lo so.
Io credo tuttavia che sia una occasione storica per i popoli (per alcuni: per quelli che sapranno approfittarne) e quindi sono tra coloro che si augurano che duri allmeno dieci anni, così da suscitare o agevolare i conflitti che gli uomini di buona volontà sapranno organizzare. La storia poi dirà quali popoli, classi, idee e valori prevarranno e quali perderanno.
Un caro saluto. Buona giornata.
Se posso lascio anche qui un paio di considerazioni, visto che nella vita mi occupo mio malgrado di questa robaccia:
1) i modelli cui fa riferimento l'autore – con il quale mi complimento per la non scontata capacità espositiva – sono "intellettualmente" contari a considerare il c.d. "rischio disastro" come evento normale non per caso, ma per una precisa scelta gestionale; mi spiego meglio: se devo prevedere cosà accadrà scontando il disastro come ipotesi ordinaria, dovrò accantonare nel mio bilancio somme così elevate da mettere in dubbio la bontà del mio business o magari rinunciare a lavorare (è lo stesso motivo per cui chi sale in macchina non lo fa pensando che un incidente mortale sia un ipotesi non rara – pur ahimè non essendolo); si sceglie dunque di considerare (pur perdendo inevitabilmente aderenza con la realtà) il rischio disastro come un evento non controllabile e ci si concentra sugli strumenti di mitigazione del rischio (per tornare al nostro esempio la cintura di sicurezza);
2) fattore molto rilevante degli ultimi tempi è l'incremento della volatilità dei mercati (in sostanza, da un pò di anni è molto più facile fare brutti incidenti): non escludo che uno dei fattori possa essere anche l'enorme diffusione dei modelli cui fa riferimento l'autore e, più in generale, l'automatizzazione degli strumenti di trading; in altre parole i pc delle banche comprano e vendono tutti assieme in base alle stesse regole, determinando pertanto un'amplificazione artificiale dei fenomeni;
3) è un fattore molto rilevante (e molto trascurato) il fatto che vi siano tantissimi intermediari che non sono tenuti al rispetto delle regole sull'indebitamento proprie delle banche; pochi sanno che una delle determinanti della crescità del mercato degli hedge funds sta proprio nel fatto che – ancora per poco spero – al contrario di tutti gli altri intermediari, essi sono sostanzialemente liberi di indebitarsi senza limiti e quindi amplificano con la loro sola esistenza la volatilità dei mercati grazie al c.d. "effetto leva";
saluti
Con tutto il rispetto, prima di parlare di cosa fanno le banche, penso che sarebbe utile entrare in una banca di investimento ed imparare lì come i desk di Risk management stimano i rischi finanziari. L'idea che tutto si basi sulla normale forse sta in qualche testo di prima degli anni '90, o in qualche cattivo testo che circola ancora oggi. Pubblicizzo volentieri il corso di Risk management della Facoltà di Economia dell'Università della Tuscia, non tenuto da me, dove questi concetti si approfondiscono seriamente.
Ovviamente non faccio lo scienziato, sono un semplice professore di Economia dei Mercati Finanziari.
Gentile professoressa,
non so all'università, ma in banca i desk di risk management non se li fila nessuno.