Il teorema delle proporzioni definite (e a cosa servono i partiti)
di LUCA RUSSI (FSI Arezzo)
Dice: “I partiti sono divisivi e i leader sono sempre corruttibili, ci vogliono i movimenti spontanei che quelli sì sono super partes, si fa un bel tam-tam sui social e scendiamo TUTTI in piazza solo con il Tricolore e senza le bandiere di partito per dire NO (a cosa non è ancora ben chiaro, ndr.), salviamo l’Italia”! Oppure (variante):”Lo so IO quello che ci vorrebbe: BASTEREBBE che smettessimo TUTTI INSIEME di pagare le tasse che allora sì che la capiscono (cosa? Non è chiaro, ndr.)”!
No, cari rivoluzionari da tastiera, non funziona così.
Se pure le condizioni fossero propizie per un cambiamento perché moltissime persone stanno male e sono arrabbiate, le rivoluzioni non avvengono mai in modo automatico, nel senso che non basta scendere in piazza e dire No, o meglio: a volte I movimenti spontanei di popolo (quando la situazione è davvero grave e il popolo è esasperato) avvengono davvero e lì per lì la situazione si sblocca; ma a parte che anche quello non è scontato (forse che I No Global, o gli Indignados in Spagna e I gilet gialli in Francia hanno cambiato qualcosa?), il quadro politico muta davvero solo se I suddetti movimenti sviluppano velocemente al loro interno una leadership coesa e con un programma chiaro in testa (cosa che ad esempio non si è verificata con il Movimento del 9 Dicembre – I “Forconi” – qui in Italia) oppure se questa avanguardia è già presente con una propria forza politica organizzata che riesce a mettersi alla testa del movimento, incarnandone le istanze di fondo e dandogli forma e connotazione precise.
Diversamente il movimento fallirà, oppure verrà sbaragliato facilmente facendo leva sulla sua pochezza e sulle sue inevitabili contraddizioni interne (quando non soffocato con la forza).
È la realizzazione di questa sorta di “teorema” che tenga conto di queste proporzioni tra i movimenti e le avanguardie politiche che devono sostanziarlo ciò che si deve perseguire, e spiace che l’individualismo dominante porti moltissime persone a rifiutare l’idea che non si possa che passare dall’organizzarsi se si vuole cambiare la società, perché essere tanti ma andare in ordine sparso non vuol dire essere coesi, ed è solo questo tipo di “unione” che fa davvero forte un popolo: è sempre stato così, e sempre lo sarà:
“Ci si potrebbe servire metaforicamente di questa legge per comprendere come un «movimento» o tendenza di opinioni, diventa partito, cioè forza politica efficiente dal punto di vista dell’esercizio del potere governativo, nella misura appunto in cui possiede (ha elaborato nel suo interno) dirigenti di vario grado e nella misura in cui essi dirigenti hanno acquisito determinate capacità. L’«automatismo» storico di certe premesse (l’esistenza di certe condizioni obiettive) viene potenziato politicamente dai partiti e dagli uomini capaci: la loro assenza o deficienza (quantitativa e qualitativa) rende sterile l’«automatismo» stesso (che pertanto non è automatismo): CI SONO astrattamente LE PREMESSE, ma le conseguenze non si realizzano perché IL FATTORE UMANO MANCA. Perciò si può dire che i partiti hanno il compito di elaborare dirigenti capaci, sono la funzione di massa che seleziona, sviluppa, moltiplica i dirigenti necessari perché un gruppo sociale definito (che è una quantità «fissa», in quanto si può stabilire quanti sono i componenti di ogni gruppo sociale) si articoli e da caos tumultuoso diventi esercito politico organicamente predisposto.” (A. Gramsci, Quaderno 13 [XXX] § 31)
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