Il silenzio dell’Ecuador
di CARLO FORMENTI
Il silenzio dei media mainstream su quanto sta succedendo in Ecuador è assordante. Sono gli stessi media che ci hanno bombardato per mesi con informazioni quotidiane sugli scontri fra il governo socialista venezuelano e l’opposizione di destra, le cui violente mobilitazioni, alimentate e sostenute dagli Stati Uniti, venivano presentate come lotta per la “democrazia” contro il regime “totalitario” di Maduro (sorvolando sul fatto che, mentre costui è stato eletto dal popolo, il suo antagonista Guaidò era a capo di un tentativo di golpe). Fallito il golpe è calato un deluso silenzio. Un silenzio che ora accompagna, per opposte ragioni, la feroce repressione dell’esercito e della polizia ecuadoriani nei confronti delle grandi nobilitazioni popolari contro il governo del presidente Lenin Moreno, il quale, al contrario di Guaidò, è riuscito nel compito di invertire il processo rivoluzionario avviato dal suo predecessore Raphael Correa, riportando il Paese sotto l’egida dell’egemonia neoliberista (in cambio di un prestito da parte del Fondo Monetario Internazionale, Moreno sta smantellando il welfare, tagliando i salari e imponendo drastiche misure di austerità che hanno scatenato la rabbia popolare).
Sei anni fa ho avuto modo di condurre una ricerca sul campo in Ecuador, conoscendo e intervistando molti protagonisti di quella “Rivolucion ciudadana” che, nella seconda metà del primo decennio del nostro secolo, aveva affratellato il popolo ecuadoriano a quelli della Bolivia e del Venezuela, unendo i tre Paesi nel comune progetto di dare vita a un socialismo del secolo XXI, un esperimento innovativo, caratterizzato dalla conquista del potere per vie legali, dal riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni schiacciati da secoli di oppressione coloniale, dalla promulgazione di costituzioni innovative che garantivano avanzamenti tanto sul piano dei diritti civili che dei diritti sociali, dalla convivenza fra un rinnovato peso dello Stato in economia e il mantenimento di ampi spazi alla iniziativa privata e dal tentativo di affiancare alla democrazia rappresentativa nuove istituzioni di democrazia diretta e partecipativa. Un socialismo “bolivariano” che veniva ad aggiungersi alla svolta a sinistra di altri Paesi sudamericani, come Argentina, Uruguay e Brasile, e che non poteva non inquietare gli Stati Uniti, terrorizzati dall’idea di vedersi sottrarre il controllo sul proprio “cortile di casa”, come hanno sempre considerato il subcontinente latinoamericano. La controffensiva politica, economica e culturale è stata massiccia e immediata e, dopo avere raggiunto i propri obiettivi in Argentina e Brasile, è andata all’attacco del nucleo più pericoloso, vale a dire dei tre Paesi che, non limitandosi a rinnegare il neoliberismo, avevano preteso di incamminarsi verso un vero e proprio cambio di sistema.
L’attacco a Venezuela ed Ecuador ha seguito vie diverse: nel primo caso è stato diretto e violento, anche se finora ha fortunatamente mancato l’obiettivo, nel secondo è passato attraverso la corruzione delle stesse forze politiche che avevano promosso il processo rivoluzionario. Lenin Moreno, infatti, ha vinto le ultime elezioni presidenziali come candidato di Alianza Pais (il partito creato da Raphael Correa) contro il candidato delle destre liberiste. Subito dopo le elezioni, tuttavia, ha cambiato linea politica, allineandosi con gli obiettivi dell’opposizione di destra, calpestando lo spirito e la lettera della Costituzione approvata nel 2008 e riportando il Paese sotto il tallone di ferro del capitalismo globale e delle sue istituzioni (Fmi in testa). Il prezzo economico e sociale che la popolazione ha dovuto pagare per una svolta che tradisce le ragioni per cui avevano votato questo presidente è alla radice dell’attuale rivolta. Una rivolta che viene soffocata nel sangue come documentano una serie di servizi di giornalisti indipendenti che operano sul campo e come ho appreso dagli amici ecuadoriani che mi hanno inviato una serie di file audio e video sulla repressione. Temo che queste resteranno le uniche fonti sugli eventi in corso, visto che non possiamo aspettarci che i giornali e i network televisivi controllati da chi appoggia le politiche neoliberiste nei Paesi occidentali (e inneggia ai golpe che le reintroducono in America Latina) documenti le repressioni che vengono perpetrate in nome di quelle stesse politiche.
Fonte: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=27936
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