Le proteste trascinano Hong Kong in recessione economica
di SICUREZZA INTERNAZIONALE (Maria Grazia Rutigliano)
I 5 mesi di proteste antigovernative hanno portato Hong Kong in recessione, secondo quanto riferito dal segretario finanziario della città semi-autonoma.
“La batosta accusata dalla nostra economia è generalizzata”, ha dichiarato Paul Chan, aggiungendo che una stima preliminare del PIL per il terzo trimestre del 2019 prevede due trimestri successivi di contrazione. Tale situazione è tecnicamente definita recessione. Chan ha poi aggiunto che sarà “estremamente difficile” raggiungere le stime di crescita economica annua dello 0-1%, che erano state previste prima dell’inizio delle manifestazioni.
Intanto, la città è stata sconvolta dalle proteste anche domenica 27 ottobre. Alcuni filmati televisivi hanno mostrato i manifestanti che si riversavano nell’hotel Kowloon e nell’arteria commerciale di Nathan Road, dando fuoco a barricate costruite per strada e spruzzando benzina sugli incendi agli ingressi della metropolitana. Le proteste continuano a denunciare la brutalità percepita della polizia, ribadendo la libertà di religione e quella d’informazione. Lo scorso fine settimana, le forze di polizia hanno sparato con cannoni ad acqua contro un gruppo di persone in piedi fuori da una moschea. Nelle stesse ore, alcuni giornalisti sono stati feriti negli scontri. Le mobilitazioni ad Hong Kong sono iniziate il 31 marzo e, dopo pochi mesi, si sono trasformate in una sfida contro il governo della città e contro l’influenza di Pechino. Oggi, sono diventate quotidiane e i leader delle proteste stanno cercando il supporto internazionale contro l’ingerenza cinese nella città semi-autonoma.
In tale contesto, il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, il 24 ottobre, ha accusato la Cina di limitare “i diritti e le libertà” di Hong Kong. In un importante discorso politico sulla Cina, che ha toccato diversi temi controversi, Pence ha affermato che gli Stati Uniti non stanno cercando uno scontro con Pechino. Tuttavia, il vicepresidente ha condannato lo “stato di sorveglianza” e le azioni militari “sempre più provocatorie” della Cina. “Hong Kong è un esempio vivente di ciò che può accadere quando la Cina abbraccia la libertà”, ha affermato. “Eppure, negli ultimi anni, Pechino ha aumentato i suoi interventi contro la città e si è impegnata in azioni che limitano i diritti e le libertà che al popolo di Hong Kong sono stati garantiti attraverso un accordo internazionale vincolante”, ha aggiunto. Con tale affermazione, Pence fa riferimento alla Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984, che stabiliva le condizioni per il ritorno di Hong Kong in Cina, nel 1997. In base all’accordo sottoscritto dalle Nazioni Unite, Hong Kong è una città cinese in un quadro noto come “un Paese, due sistemi” che garantisce una serie di libertà alla zona che non sono garantite nella Cina continentale.
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