Premesso che questa non è solo una critica, ma un’autocritica. E’ un po’ la voglia di guardarsi allo specchio. Perché la sinistra perde sempre? Perché è sempre più minoritaria? Le motivazioni sono molteplici, la questione è davvero complessa. Vorrei tentare di soffermarmi sulla modalità della comunicazione, che non è mai neutra, non è mai mera forma, ma viva sostanza.
Qualche anno fa rispetto alla Lega, ne ho anche scritto in questo giornale online, avevo elaborato la teoria della tribù. La Lega è riuscita, in maniera bizzarra e spesso gigionesca, ha creare una identità collettiva. Ha mischiato elementi celtici, longobardi, della lotta dei Comuni contro Federico Barbarossa, ha imbracciato il rosario in funzione anti-mussulmana dopo l’11 Settembre, ha addirittura inventato una entità geostorica come la Padania. Tuttavia non importa in che modo, ma quel che è certo è che è riuscita a creare un senso di appartenenza, un potente senso di riconoscimento. Mica scherzi. L’assioma uno diceva che chi sta dentro la tribù non è mai una minaccia alla tribù. L’assioma due diceva che solo chi sta fuori dalla tribù può essere una minaccia per la tribù.
Corruzione Mose, autonomia promessa e mai mantenuta, pfas, sanità tragicamente in declino,20 miliardi persi per il fallimento delle banche amiche, quelle nostre, cementificazione che ha sventrato i territori, riducendo il suolo. Nessuna responsabilità della classe dirigente. Non importa, il nemico e le minacce possono venire sempre e solo da fuori: teron, islam, foresti. Il gioco, che sembra strampalato, in realtà continua a funzionare alla grande, infatti il consenso della Lega resta incredibilmente alto. Perché? Parafrasando Nietzsche potremmo dire: “non ci sono fatti, ma solo identificazioni”. Così funziona la politica.
L’errore della a sinistra, passato e presente, è quindi evidente. Non si possono deridere, rendere oggetto di pesante sarcasmo, prendere in giro con superbia i processi identitari. Ultimamente il diversamente brillante intellettuale di sinistra Cristian Raimo ha scritto addirittura un libro contro l’identità. Mi chiedo dunque: come si fa politica, come si costruisce consenso se non creando identità collettive?
Vista la teoria della tribù, cerchiamo di capire meglio che cosa sia una tribù a partire dalla celebre definizione, che sembra tautologica, di Sigfred Nadel: “La tribù è un’unità sociale in cui i membri affermano di formare un’unità sociale”. Quindi l’identità collettiva, al di là dell’oggetto e della tavola valoriale attorno a cui di edifica, dipende dal fatto che le persone si percepiscono come appartenenti alla collettività. Quindi chi si sofferma sul valore di verità o falsità delle credenze, senza capire la potenza della percezione, si crede raffinato, ma in realtà è superficiale. Ci sarà un motivo se in sociologia, disciplina spesso relativistica, esiste solo un Teorema? E’ il Teorema di Thomas, che afferma: “Se gli uomini percepiscono come reali certe situazioni, esse sono reali nelle loro conseguenze”. E’ come se dicessimo che il Cristianesimo, giacchè diffonde la credenza in un uomo resuscitato e invisibile e in una donna rimasta incinta senza copulare, non ha avuto alcun valore storico e politico.
Come tradurre tutto questo? Innanzitutto non attaccando la tribù, non presentandosi come un corpo estraneo che può venir percepito come una minaccia. Casomai cercando di dimostrare che i capi della tribù hanno tradito la tribù, non hanno mantenuto le promesse, hanno ingannato tutti. Da dove cominciare? Recuperando un legame sentimentale con le persone, con quello che si chiamava popolo. Come asserisce Mark Lilla un modello politico non è incarnato in una serie di principi e di argomentazioni, è radicato nei sentimenti e nelle sensazioni che danno forza politica alle idee. E’ quindi evidente che se Salvini va al Papeete e la sinistra lo attacca perché non è istituzionale, attaccando lui attacca chi va in discoteca, cioè chi, solitamente del popolo, va in Romagna in vacanza. Se Renzi, che non c’entra nulla con la sinistra ma con l’atteggiamento, attacca Salvini perché va alle sagre o alla Pro Loco, si finisce per attaccare la gente normale che va alle sagre.
Così continuare con la tiritera ”siete ignoranti, razzisti, analfabeti funzionali” non fa bene. E’ così difficile capire che se tu dici a uno che è mona, analfabeta, troglodita, paleolitico, cavernicolo, antidiluviano e poi gli chiedi il voto questo magari ti manda affanculo? E’ una sinistra alla Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un cazzo!”, io so’ la sinistra intelligente e voi siete un po’ coglioni.
Da una sinistra di popolo, a una sinistra contra populum. Eppure non è sempre stato così. Un tempo si capiva che spesso chi era ignorante lo era per motivi socio-economici, non bisognava insultarlo, ma aiutarlo. Don Milani ci ha insegnato tanto. Oggi è ancora così, perché in Italia il 50% dei quindicenni che vengono da una famiglia povera, non capiscono quello che leggono. Percentuale otto volte più alta di quelli che vengono da una famiglia ricca. Sarà o meno più facile che lì, proprio tra i più deboli, si insidino stereotipi, pregiudizi, xenofobie?
Don Milani queste persone le coltivava giorno per giorno, noi li mandiamo in mona. L’idiosincrasia per la sagra è inoltre agli antipodi rispetto ad Pci che era tutto una festa dell’Unità, tutto un tortello, tutto una cucina popolare. La sinistra razionalista, figlia di un intellettualismo socratico, del culto dell’oggettività non ha capito che da Schoupenauer in poi é perfettamente chiaro che lo sfondo emotivo, passionale, pulsionale guida i processi umani. Chi è simpatico a chi è di sinistra, diciamolo, è antipatico.
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