Il MES come strumento del Fiscal Compact
di DOMENICO MORO
Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) ha lo scopo di provvedere fondi e fornire supporto per la stabilizzazione dei Paesi che ne fanno parte (quelli appartenenti all’area euro) nel caso in cui sperimentino o siano minacciati da gravi problemi finanziari. Per farlo, come viene specificato nella versione “riformata” dello statuto del Mes, “può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri inclusa la sostenibilità del loro debito pubblico” (Art.3).
Tale controllo sull’economia e sulla situazione finanziaria dei Paesi membri è il nodo centrale della riforma del Mes. Infatti, la riforma del Mes rappresenta l’ulteriore implementazione del Fiscal compact all’interno dell’area euro. Il Fiscal compact, ricordiamolo, fu introdotto nel 2012 in un periodo di grave crisi, peggiorando le condizioni dei paesi che erano in difficoltà economica e introducendo regole più severe in termini di finanza pubblica. In sostanza proprio nel momento in cui si sarebbe dovuto intervenire a sostegno dell’economia in difficoltà spendendo soldi pubblici, si imposero politiche di severa restrizione del bilancio pubblico.
Il fiscal compact, oltre all’obbligo di pareggio di bilancio, introduce una regola particolarmente nefasta: la riduzione di un ventesimo all’anno della parte eccedente il 60% del debito pubblico sul Pil. Si tratta di una regola potenzialmente devastante per l’intera società che infatti, al momento, non si è riusciti a mettere in pratica. Nel concreto l’Italia, ad esempio, dovrebbe ridurre di oltre la metà il suo debito pubblico che nel 2018 era al 134% sul Pil e che in valore assoluto raggiunge oggi i 2.440 miliardi. Questo significa che ogni anno per venti anni lo Stato italiano dovrebbe trovare circa 60-70 miliardi aggiuntivi per ridurre il debito, inibendo qualsiasi investimento ancora di più di quanto non sia avvenuto negli ultimi anni e devastando in questo modo la sanità, l’istruzione pubblica, ecc. Si consideri, come termine di paragone, che per evitare nel 2020 la tanto citata attivazione dell’aumento dell’Iva, contenuta nelle clausole di salvaguardia, il governo Conte ha dovuto recuperare 23,1 miliardi di euro. Cioè circa tre volte meno dell’eventuale riduzione del debito di un ventesimo.
Ora è da notare che gli strumenti di assistenza finanziaria precauzionale del Mes forniscono sostegno solo a patto che i Paesi richiedenti assistenza finanziaria rispettino alcune condizioni previste nell’Allegato III di nuova introduzione. Innanzi tutto che il Paese in questione non sia sotto procedura per deficit eccessivo e soprattutto che nei due anni precedenti la richiesta sia rispettata ognuna delle seguenti condizioni:
a) che il deficit di bilancio non ecceda il 3% del Pil;
b) che il debito pubblico sia al di sotto del 60% del Pil o che si sia realizzata una riduzione della differenza con il 60% nei precedenti due anni a una media di un ventesimo per anno.
Proprio il punto b) coincide con la regola introdotta dal Fiscal compact di cui abbiamo parlato. Oltre a queste condizioni, i Paesi richiedenti non devono avere eccessivi squilibri macroeconomici, devono avere una posizione con l’estero sostenibile (cioè non avere un deficit commerciale) e l’assenza di vulnerabilità nel settore finanziario che possano mettere a rischio la stabilità finanziaria del Paese richiedente. Qui si avvalla la ormai consolidata tendenza, di ispirazione tedesca, a realizzare ampi surplus commerciali, rendendosi così maggiormente dipendenti dalla domanda estera, mentre la domanda interna viene a essere depressa proprio dalla spinta a contenere il deficit e soprattutto a ridurre il debito di un ventesimo. Tutto questo, inoltre, senza contare che la partecipazione al Mes non è gratuita: l’Italia dovrà contribuire con 125,3 miliardi di euro al Meccanismo, che nel totale disporrà di 704 miliardi. E, visto che questi soldi l’Italia li può trovare solo prendendoli a prestito, ciò significa che la partecipazione al Mes porterà all’aumento del debito, cioè paradossalmente il contrario di quanto prospetta il Mes.
In sostanza il sostegno finanziario viene dato imponendo in modo ancora più stringente quelle regole che hanno creato negli ultimi dieci anni grandi difficoltà all’economia dei Paesi europei. Invece di modificare le regole, rendendole meno dure, si sta facendo di tutto per renderle più pervasive. È esattamente il contrario di quanto afferma Gentiloni, secondo il quale, rallentando l’Europa, biognerebbe rivedere il patto di stabilità. Ed è quindi la dimostrazione di quanto le parole di certa politica europeista, anche quelle di un membro della Commissione europea quale è Gentiloni, siano lontane dalla realtà della Ue e dell’euro. Quindi, se si vuole avere una linea di credito con il Mes bisogna o dissanguarsi o non averne bisogno, visto che, pur essendo nato per sostenere Paesi con gravi problemi finanziari, sembrerebbe che siano proprio i Paesi che non ne hanno a poter beneficiare dei fondi.
Fonte: http://www.laboratorio-21.it/il-mes-come-strumento-del-fiscal-compact/
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