Sudan: un conflitto con notevoli implicazioni geopolitiche. I 700 chilometri di costa sul Mar Rosso fanno gola a Russia, Cina, USA, Arabia Saudita, Egitto e Turchia
di Report Difesa (Paolo Giordani)
ROMA. La guerra civile esplosa, nei giorni scorsi, in Sudan, non è solo uno dei tanti “regolamenti di conti” tra signori della guerra africani ma è un conflitto con notevoli implicazioni geopolitiche.
Dopo il golpe del. 2019 contro Omar al Bashir, al potere dal lontano 1989, il governo si reggeva sul fragile equilibrio tra le ambizioni dei capi militari, in particolare tra i contendenti di questi giorni: il Generale Abdel Fattah Al-Burhan, comandante dell’Esercito sudanese e il Generale Mohamed Hamdan Dagalo (“Hemedti”), capo del potente gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (RSF).
Saltato l’accordo, fortemente sponsorizzato dall’Arabia Saudita, è venuta meno anche l’esile speranza di una transizione pacifica verso un governo di civili, ispirato, almeno in teoria, a principi democratici.
In palio, per le grandi e medie potenze interessate, ci sono soprattutto i 700 chilometri di costa sudanese sul Mar Rosso, dove Russia, Cina, gli Stati Uniti, i sauditi, l’Egitto e la Turchia cercano punti d’appoggio.
I russi sono in vantaggio, forti del vecchio accordo con Al Bashir per la costruzione di una base navale e delle concessioni per lo sfruttamento delle miniere d’oro, sulle quali vigilano da tempo i mercenari della Wagner.
Hanno buoni rapporti con entrambe le fazioni, specialmente con “Hemedti”.
I cinesi hanno già due porti: Haidob, costruito dalla China Harbor Engineering Company, e Bushair, mentre è stato appena concluso, in dicembre, un accordo tra Sudan ed Emirati Arabi Uniti per sviluppare e gestire il porto di Abu Amama.
I primi sei partner commerciali del Paese sono appunto gli Emirati, la Cina, il confinante Egitto, l’Arabia Saudita, la Russia e la Turchia. Solo settimi gli Stati Uniti.
L’instabilità in Sudan ha già portato grandi sofferenze alla popolazione, desta fortissime preoccupazioni di ordine umanitario, e rischia di rafforzare ulteriormente il processo di “deoccidentalizzazione” dell’Africa, in corso da tempo.
Alle difficoltà francesi in Mali e Burkina Faso (solo per citare gli ultimi esempi) corrispondono la consolidata posizione della Cina negli affari del Continente e l’ascesa della Russia come partner soprattutto militare.
Non è un caso se, in occasione delle votazioni all’ONU sulle risoluzioni di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina, una ventina di Paesi africani si astengono regolarmente e qualcuno vota contro.
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