ANSIA E UMILTÀ
di STEFANO D’ANDREA
Tra tutti gli amici e i conoscenti che ai miei tempi frequentavano le scuole medie il liceo o altre scuole, parlo di almeno duecento persone, forse una soltanto soffriva di ansia.
Oggi moltissimi giovani ne soffrono.
Ai miei tempi i giovani giocavano, rubavano, facevano a cazzotti, parlavano di calcio ballavano, si drogavano, spacciavano, bevevano, studiavano, suonavano, facevano esperienze di vario tipo, erano dediti al biliardo o agli scacchi o al gioco d’azzardo, scherzavano, si prendevano reciprocamente in giro, pescavano, praticavano sport, leggevano, ma non pensavano né di dover DIMOSTRARE qualcosa a qualcuno, né di dover MOSTRARE qualcosa a tutti.
Non credendo di dover dimostrare o mostrare, è ovvio che la quasi totalità dei ragazzi, anche bruttini o bruttissimi, anche grassottelli o senz’altro grassi, anche brufolosi o brufolosissimi, anche scoordinati o scoordinatissimi, anche bassi o bassissimi, anche timidi o timidissimi, anche inutilmente privati dai genitori di esperienze importanti, non avevano ansia.
Mancava la causa dell’ansia, che sempre risiede nel fatto che una persona creda di dover dimostrare o mostrare, e tema di non riuscire a fare o di non essere riuscita a fare.
Prima i giovani facevano. Ora molti giovani vogliono mostrare che sanno fare, vogliono credere di saper fare, e si attendono che gli si dica che sanno fare.
Prima i giovani si comportavano come se sapessero la ovvia verità: che non erano nessuno e che nessuno se li inc..ava.
Oggi sembra che molti giovani (per fortuna non tutti e nemmeno la maggioranza) credano di essere qualcuno, o meglio, di doverlo essere; e addirittura di doverlo essere pressoché in ogni campo.
Si tratta, palesemente, di una vera e propria malattia mentale.
Tra i giovani è scomparsa l’umiltà, che più che un valore era un fatto.
Eppure, ogni padre o madre può narrare ai figli i grandi successi ottenuti, in uno o altro campo, da un amico o conoscente, che magari era ambizioso ma era al contempo umilissimo.
Servirebbe che venisse riscoperta almeno l’umiltà come valore. Ma, a rigore, l’umiltà vera non è un valore. E’ un fatto, che ha valore.
Commenti recenti