Sbarazzarsi della Sinistra- da Sinistra
Se per la Destra risulta sufficientemente comprensibile la ragione per cui è sensato e lecito sbarazzarsi della Sinistra (così come riassunto nella Notte dei Lunghi Coltelli), risulta invece più complicato analizzare le ragioni per cui la Sinistra stessa trovi sensato e lecito sbarazzarsi della Sinistra.
Credo che l'esempio nostrano del PCI che si trasforma nel PD possa chiarire come sia avvenuta tale operazione. Bisogna però prima chiarire un assunto di base: tutta la politica che si muove all'interno del neoliberismo è di destra. Dove il neoliberismo è stato presente (come in Sudamerica fino a pochi anni fa) si sono avute conseguenze gravissime per le popolazioni: drastica riduzione dei diritti dei lavoratori, dei salari e degli interventi sociali (sanità, istruzione etc..), aumento delle privatizzazioni, dell'ingerenza delle multinazionali nel funzionamento della democrazia e aumento dei prezzi di merci e servizi. Conseguentemente qualsiasi formazione politica appoggi (apertamente o velatamente) questo modello sociale è da considerarsi di Destra.
Un'altra considerazione: le multinazionali che si intromettono nelle stanze del potere e usano le loro potenti leve per scardinare lo stato sociale (welfare) e produttivo a tutto vantaggio loro sono tipicamente americane. Non sono solo sistemi industriali (big pharma per nominarne uno) ma anche sistemi di capitalismo parassitario (finanza e banche).
Storicamente il PCI si colloca come l'ala politica più a sinistra di qualsiasi altra formazione parlamentare italiana. Nella storia di Napolitano c'è la storia del PCI tutto: da partito di massa che difende la Costituzione (scritta a molte mani anche da illustri esponenti comunisti) a partito atlantista neoliberale di destra che non si cura della sofferenza degli italiani (o di altri popoli) nè della distruzione dei principi costituzionali di cui dovrebbe essere il custode e garante.
La tragedia in tutto questo è che l'ex-elettorato comunista si è trasformato (nella maggior parte dei casi) in un popolo di dogmatici difensori dell'europeismo neocon: gente che si spara sul proprio piede pur di difendere l'indifendibile impoverimento sociale, culturale ed economico in atto. Gente che difende l'alta finanza pur di non difendere i propri interessi.
Ovviamente tale percorso politico prevede delle tappe ben identificabili che spostano progressivamente il senso ed il significato della sinistra stessa. Si inizia con la "la via italiana" di Togliatti, intesa come coesistenza pacifica tra sistemi contrapposti, pur nell'angoscia della guerra fredda e relativa minaccia nucleare.
Il concreto riformismo, abiurato a parole, è la prassi effettiva del PCI dal 1956 in avanti. Mentre Gramsci aveva rintracciato nella categoria di "guerra di posizione" il perno della transizione per la conquista del potere politico del proletariato (l’egemonia, da conquistarsi con il consenso prima di divenire classe dominante), Togliatti considera la strutturazione di trincee avanzate nella società civile e casematte come equilibrio da spostare in avanti per la contrattazione riformista.[1]
Lo scontro Amendola-Ingrao è un esempio lampante del corso che il PCI intraprende. Ingrao denuncia le tendenze parlamentariste che riducono la linea del partito alla “via dei voti e delle alleanze parlamentari”[2], e che porteranno inevitabilmente al consociativismo. La sua linea politica viene bocciata e vince Amendola ed il riformismo delle alleanze democratiche.
Dice Mauro Fotia: “il problema di fondo del trasformismo italiano non è di governare in in assenza di processi di modernizzazione, o di volgere questi contro le classi lavoratrici, ma piuttosto di di gestirli in maniera che esse, beneficiandone, vengano a liberarsi di parte del loro potenziale di conflittualità, e dunque restino imprigionate dentro logiche di una dinamica sociale e di un sistema consensualistici”. E ancora “il rapporto dialettico maggioranza-opposizione non è da considerare essenziale alla democrazia, non essendo l'alternanza una legge universale di ogni e qualsiasi regime democratico”. [3]
Cosa questa confermata dalle vicende politiche nostrane: il PCI non arrivò mai a governare. E quando la prospettiva fu sufficientemente vicina l'omicidio di Moro fece saltare tutto.
Tale riformismo consociativista ha un punto fermo di verifica: gli USA. Non si può notare come dalle espressioni di netto rifiuto iniziali alle politiche imperialiste USA si passi a posizioni di condanna verso chi manifesta apertamente contro di esse. Sintomatica la condanna dell'Unità verso i “provocatori” che si scontrarono con i poliziotti nelle manifestazioni contro la guerra nel Vietnam. Pajetta li definì “più interessati a prendere a calci i poliziotti che ad aiutare in modo efficace i combattenti antimperialisti”.[4]
In quegli anni il PCI opera un progressivo allontanamento dall'orbita di Mosca ed un progressivo avvicinamento all'europeismo inteso come tentativo di mettere l'atlantismo sotto un'altra luce. Alla fine degli anni '60 l'idea di “superamento dei blocchi” (che poi partorirà il disgraziato “superamento delle ideologie”) spinse il PCI ad avvicinarsi alla SPD tedesca. Il PCI voleva offrirsi come ponte verso la socialdemocrazia europeista che strizza l'occhio agli USA. Berlinguer nella prima metà degli anni '70 si impegnò, nel nome della “distensione bipolare”, ad evitare una “contrapposizione tra problematica europea e problematica atlantica”.[5] Insomma la NATO cominciava a non essere più un problema per la sinistra. Si è passati in poco tempo dagli slogan “Yankee go home” alle dichiarazioni di Natta che richiede una "immediata ricontrattazione del ruolo dell'Italia nella NATO".[6]
Gli fa eco Trombadori che afferma: "l'appartenenza leale e sovrana dell'Italia al Patto atlantico e alla NATO" è "una scelta rivoluzionaria". [7]
Occorre però precisare che a queste vicende tutte interne al maggiore partito della sinistra italiana si sommano vicende molto significative, ovvero gli avvertimenti delle destre nazionali in sintonia con l'imperialismo USA. Si parte dal golpe cileno che mette bene in chiaro come gli USA, qualora lo desiderino, sono capaci di togliere di mezzo qualsiasi governo o forza politica si opponga ai loro piani. Gli avvertimenti in tal senso sono chiari. Il golpe Borghese ad esempio. La colonna di guardie forestali era fuori Roma ed i neofascisti erano già penetrati all'interno dell'armeria del ministero dell'Interno. Fu fatto fallire senza apparente ragione, e tutti tornarono a casa. Prima c'era stato il Piano Solo, che prevedeva l'arresto e deportazione dei militanti di sinistra da parte dei Carabinieri del gen. De Lorenzo. Allora il governo di centro-sinistra cadde e Nenni viene convinto a più miti richieste. E si prosegue con gli avvertimenti: nel 1974 tocca a Edgardo Sogno a portare la stoccata finale. Per portare a termine il suo “golpe bianco” (in teoria senza spargimento di sangue), Sogno aveva raccolto importanti adesioni da parte dei più alti comandanti militari dell'esercito, dei paracadutisti, della marina, dell'aviazione e dell'arma dei carabinieri, nonché il via libera dei servizi segreti statunitensi. L'intervento dei militari per "salvare il Paese in pericolo'' da un presunto tentativo di "sovversione comunista'' avrebbe dovuto essere invocato in televisione dall'allora presidente della Repubblica Leone, da convincere con le buone o con le cattive. Si sarebbe quindi proceduto a imporre con la forza un governo dei colonnelli sul modello della Grecia. [8]
Il piano, che vedeva la fattiva collaborazione degli USA, cadde a seguito del caso Watergate.
Si diffuse qualcosa di simile al panico tra le file dei comunisti in quegli anni: si voleva davvero arrivare ad un governo di militari in stile Pinochet? O non valeva piuttosto la pena di ridurre (ulteriormente) il piano politico? Ci furono notti in cui i dirigenti e iscritti del PCI vennero fermamente invitati a dormire in posti sconosciuti e sicuri, lontano dalle proprie famiglie. Valeva la pena di rischiare la vita di così tante persone per mantenere un progetto politico ormai avviatosi verso lidi distanti da quelli originari?
Siamo così passati dai tentativi di rivoluzione (attentato a Togliatti, quando gli ex-partigiani tirarono fuori le armi in loro possesso) al pragmatismo centrista di Gianni Toniolo, economista della LUISS in forza al PD: “se non puoi battere l'avversario, unisciti a lui”.[9]
La manovra a tenaglia aveva dato i risultati sperati: accerchiata dal moderatismo riformista interno e messa sotto pressione dalle armate della reazione, la Sinistra si sbarazza della Sinistra per diventare centro-sinistra prima, e finalmente allearsi ai neoliberisti per un programma politico di destra.
Siamo al capolinea della politica segnata alla Bolognina, ma iniziata molto prima: una volta perse le identità politiche nazionali a favore dell'europeismo prima e dell'atlantismo dopo, la discesa negli inferi del neoliberismo della destra USA è cosa fatta. Persa la funzione di opposizione, fiaccata la resistenza all'antagonismo di classe la Sinistra effettua la sua full-immersion (gli anglicismi qui si sprecano…) nel disegno neocon di banchieri, finanzieri e faccendieri, passando attraverso il Britannia per un corso intensivo di privatizzazioni.
Tale triste nemesi della Sinistra si è recentemente concretizzata nelle scelte di Napolitano che, dimenticando le lotte operaie ed il senso stesso della classe lavoratrice, ha consegnato il Paese ai tecnocrati UE/USA, nominando l'uomo della Goldman-Sachs (Monti) prima senatore a vita e poi capo del governo. Il peggiore dei compromessi storici ha finalmente avuto luogo. Sparita la Sinistra, chi fermerà l'inarrestabile marcia trionfale della Destra neoliberista dei think tank americani?
“All'insegna del consensualismo e sotto la parola d'ordine del meticciato culturale, si scatena un'orgia centrista, che travolge ogni barriera.. Unico punto fermo rimane l'originario impianto liberale, ininterrottamente ribadito e rafforzato”. [10]
[1]http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust2m08.htm
[2]Guido Crainz “Il paese mancato” pg. 163
[3]M. Fotia “Il consociativismo infinito” pg 20, 23
[4]S. Gundle “I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca” pg. 261
[5] “Atlantismo ed europeismo” pg 589
[6]"L'Unità", 25/2/85
[7]"L'Unità", 27/2/85
[8]http://www.pmli.it/golpesognoeravero.htm
[9]M. Fotia “Il consociativismo infinito”, pg 234
[10] ibid pg 231
Gran bell'articolo: sintetico, chiaro ed oggettivo. Come tuti gli articoli e gli interventi di Tonguessy.
Unica nota sconsolata: quanti giovani sono in grado di leggerlo per intero e di capirlo?
Lo dico perchè vedo la leggerezza ed il disinteresse di moltissimi dei nostri rampolli, la loro diffusa incapacità di sostenere a lungo l'attenzione ed il ragionamento, il vuoto di conoscenza sulla nostra storia (figurarsi su quella mondiale!).
@sarmata:
esiste una cosa che si chiama materialismo storico, e che permette di collegare gli effetti alle cause. Data la "diffusa incapacità" dei rampolli ed il loro "vuoto di conoscenza" viene da chiedersi quali possano essere le cause di questo disinteresse. Credo che il superamento delle ideologie sia una causa primaria. Manca tensione interpretativa, è venuto meno lo scontro ideale. E' stato tutto monetarizzato, ridotto a mero consumo nel nome del neoliberismo. Quello che testimoni è, purtroppo, nient'altro che il frutto di intense campagne di propaganda mediatica e subliminale.
Così come l'analisi materialista può scoprire le radici degli effetti che siamo costretti a sopportare, la stessa analisi può tentare previsioni, rovesciando i ragionamenti. Se cioè partiamo dai dati in nostro possesso, cosa è lecito aspettarsi? La risposta sta tutta nel limite di sopportazione all'attuale abulia culturale e politica. Siamo stati sedati culturalmente e politicamente. Tutto sta a capire quando finirà l'effetto del sedativo, e se non abbia intaccato i centri vitali.
Diceva uno sciamano: scegli sempre la via del cuore, è l'unica che merita di essere percorsa. Rendiamoci quindi conto che la via che è stata intrapresa è mentale, di puro calcolo e di nessuna profondità. Vivere nell'inutile ostentando il superfluo, questo è l'Occidente.
Personalmente credo che i "pargoli" se la dovranno sfangare da soli. Spero che capiscano che vivere nell'inutile ostentando il superfluo significa buttare via la propria esistenza. Quando scopriranno di averne solo una, spero per loro non sia troppo tardi. Il florido commercio di antidepressivi li aspetta, in caso contrario.
@Tonguessy
“il PCI non arrivò mai a governare. E quando la prospettiva fu sufficientemente vicina l'omicidio di Moro fece saltare tutto”.
Non ti sembra questo un punto oscuro nella storia del PCI?
Moro voleva coinvolgere il PCI a entrare nelle maggioranze di governo. Fu rapito e ucciso. Allora il PCI fu il più duro oppositore alla trattativa con le Brigate Rosse (chissà quanto rosse e quanto a stelle e strisce) per salvare l’uomo politico che in Italia, più di ogni altro, voleva portare il PCI al governo. Moro fu ucciso il 9 Maggio 1978.
Poco più di un mese dall’assassinio di Moro, il 15 Giugno 1978 Giovanni Leone si dimette da Presidente della Repubblica
“L'intervento dei militari per "salvare il Paese in pericolo'' da un presunto tentativo di "sovversione comunista'' avrebbe dovuto essere invocato in televisione dall'allora presidente della Repubblica Leone, da convincere con le buone o con le cattive. Si sarebbe quindi proceduto a imporre con la forza un governo dei colonnelli sul modello della Grecia”.
Un altro punto oscuro? Leone non invocò per televisione l’intervento dei militari, dunque fu convinto ad andarsene con le cattive? Il PCI fu il primo a chiedere le dimissione di colui che, vittima di una violentissima campagna mediatica orchestrata dalla Cederna, da Pannella e da l’Espresso, non aveva propiziato un governo di colonnelli alla greca.
Moro voleva governi di sinistra e Leone non voleva governi di destra. E tuttavia, di entrambi gli uomini politici, invisi agli americani, il PCI volle la morte: fisica per Moro e politico-istituzionale per Leone. Misteri?
S’era già compiuta la metamorfosi del PCI?
Il 1978 è un anno cruciale nella storia politica dell’Italia contemporanea, da studiare con molta attenzione, come il 1992.
eh già. Il neoliberismo è di destra. Strano, una volta era considerata conservatrice intesa che non voleva riforme contrariamente la sinistra veniva definita progressista per attribuirle il senso contrario.
Cmq, ecco quanto è di destra il neoliberismo:
CMC: i devastatori di guerra protetti dalla sinistra
http://ilcorrosivo.blogspot.it/2012/10/cmc-i-devastatori-di-guerra-protetti.html
Dal Pdl all'anpi tutti con la coop
http://dadietroilsipario.blogspot.it/2012/10/la-trasversalita-del-fronte-si-tav.html
Ed Ivan Cicconi sul FQ cerca di "giustificare" le coop come "etiche e morali", un tempo. Quale tempo non saprei
@Luciano
i punti oscuri della vicenda PCI-DC sono molti. Uno tra tanti: la visita negli USA di Moro nel '74 quando incontra Kissinger, il quale fa una dura reprimenda sul possibile accordo PCI-DC. Dura al punto che Moro si sentì male e meditò di lasciare la politica, come conferma C.Guerzoni, suo segretario personale.
http://archivio900.globalist.it/it/nomi/nom.aspx?id=1488
Questo episodio metee in chiarissima luce un fatto troppo sottovalutato: il maccartismo USA non è mai morto, e la caccia al nemico comunista era così ferocemente dogmatica da identificare addirittua nella DC un nemico politico, quando questa decise di formare un governo di larghe intese.
Questo significa che per quanto il PCI volesse e tentasse di spostarsi verso il centro, l'operazione veniva comunque valutata negativamente. Credo che solo adesso che gli eredi politici (il PD) sta sostenendo il governo di Goldman Sachs se ne stiano un po' tranquilli. Lo scontro all'epoca era decisamente impari, e forse lo scontro politico contro Leone faceva ancora parte della corretta dialettica politica.
@ barbaranotav:
credo che sia buona prassi usare un italiano corretto, se l'intento è quello di farsi comprendere.
Le prime due righe, mancando di adeguata sintassi, sono di difficile interpretazione. Se poi volevi dire che le cooperative "rosse" sono nel giro degli appalti e delle speculazioni…non stai dicendo nulla di nuovo. Si tratta solo, ancora una volta, di stigmatizzare come quelle pratiche fossero estranee al PCI degli inizi, per diventare ben consolidate all'interno della sinistra dopo che si era sbarazzata della Sinistra. Vedi il caso della coop DOC Unipol e BNL, con Fassino (gran giurì della Sinistra post PCI) che benedice Consorte, economista bocconiano come Monti.
Ovviamente se prevale l'idea neoliberista di mercato all'idera socialista di comunità quello che ne esce non può che essere il saccheggio dello Stato. E se tale idea prevale significa che la Sinistra non è più una forza antagonista che sa opporre le proprie radici storiche e politiche al saccheggio neocon, ma è diventata una comparsa secondaria nel gran teatro della globalizzazione.
Ottimo articolo, che però ignora il fattore a mio avviso principale: l'ansia degli apparati di partito e dei settori economici ad esso collegati, dalle coop in poi, di cominciare a riempirsi le tasche di soldi come vedevan fare dai loro omologhi al governo. E' la medesima spinta propulsiva che ha distrutto l'Unione sovietica.
Per un partito rivoluzionario la possibilità della reazione e della guerra civile dovrebbe essere pane quotidiano, e certamente essa rappresentava sul finire degli anni settanta un'eventualità meno concreta rispetto ai decenni precedenti, durante i quali il PCI era senza equivoci il partito di Mosca e la possibilità di una terza guerra mondiale una minaccia reale e a volte imminente (crisi di Cuba ecc.).
Il fatto è che già a cavallo tra gli anni sessanta e settanta i dirigenti del PCI avevano cominciato a mandare i figli a fare i dirigenti bancari (col risultato di rendersi ricattabili dall'ex-avversario di classe). Il caso Moro a mio avviso non nasconde grandi misteri; se ce ne fossero stati, colla fine della guerra fredda avrebbero cominciato a saltar fuori. La linea della fermezza a cui il PCI costrinse la stessa DC fu uno dei biglietti di ingresso nel club dei potentati al servizio del grande capitale. Fin da allora si voleva dimostrare alla NATO e a gli USA che il partito era più affidabile degli stessi partiti borghesi.
Il tradimento degli apparati era già compiuto. Rimaneva solo da trascinare le masse, in fase avanzata di imborghesimento ma ancora in larga parte comuniste, al di là della barricata.
Quando Napolitano giunse in America, Aldo Moro era stato rapito da più di due settimane. Egli vi soggiornò dal 4 al 19 aprile 1978 e illustrò agli americani l’approdo del PCI all’eurocomunismo. A distanza di decenni e in considerazione dell’approdo euroliberista del PD, interessanti si rivelano gli argomenti per i quali gli accademici americani avevano invitato Napolitano e sui quali chiedevano assicurazioni al “comunista”.
“Gli interlocutori statunitensi di Napolitano furono accademici e personalità con interessi politico-culturali. Nessun membro del Congresso o dell’amministrazione: questo era il confine da non valicare. Il 7 novembre ’77 dalla Princeton University era arrivata al dirigente comunista una missiva di conferma dell’invito a tenere nell’ateneo delle lectures, e si sottolineava l’appoggio del professor Peter Lange di Harvard, dove due anni prima Napolitano, invece. non era potuto andare, per… diniego di visto. Nella lettera si richiedeva significativamente all’ospite italiano di affrontare quei temi su cui si appuntava la curiosità americana: «L’intervento dello Stato nell’economia», «pianificazione, politica monetaria, fiscale, economica»; e poi, chiaramente, «un tema internazionale o domestico di particolare importanza per l’Italia e per l’Europa». Tutti argomenti-chiave, autentici test, in fondo, per dimostrare la tendenziale non incompatibilità con l’Occidente e con la Nato del cammino che vedeva ormai il Pci “destinato” a governare, soprattutto dopo l’eccellente 34,4 per cento ottenuto alle elezioni politiche del 1976”.
– celebre il […] giudizio [di Peter Lange di Harvard] per cui i comunisti italiani erano “filoamericani” –
http://www.30giorni.it/articoli_id_17702_l1.htm
Dal 1986 dirige nel partito la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali. In quegli anni all'interno del PCI prevale, in politica estera, la linea di Napolitano di "piena e leale" solidarietà agli USA e alla NATO. Henry Kissinger dichiarò in seguito che Napolitano era il suo Comunista preferito ("My favourite communist"). http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Napolitano
@Lorenzo:
non so a quale periodo tu faccia riferimento, ma voglio ricordare che il PCI fino agli anni 80 soffrì di mancanza cronica di liquidità. Gli stipendi (miseri) dei funzionari (gente che lavorava dalla mattina presto fino a notte inoltrata per redigere articoli e tenere riunioni nelle varie sedi dislocate anche a parecchia distanza da dove abitavano) erano legati a due fattori: l'autofinanziamento (tesseramento e sottoscrizioni) e le Feste dell'Unità. Ciò non impediva di saltare qualche pagamento di stipendi in periodi di crisi. Inoltre deputati e senatori avevano l'obbligo di versare nelle casse del partito una parte non irrilevante dei loro stipendi.
Questo per dovere di cronaca.
@Luciano:
Molto interessante quanto hai scritto, grazie. Notevole il dettaglio (che adesso ricordo meglio) del visto prima negato e poi rilasciato al "comunista" Napolitano. Segno che il "comunismo" non era poi più così spaventoso come un tempo. Anzi…
Ah, il nuovo che avanza…..
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Certo la matassa da stricare è oggi molto aggrovigliata, va riconosciuto il merito a Tonguessy e commentatori che ci provano e in parte ci riescono, aggiungo due cose sparse.
Una prima distinzione: il pensiero di sinistra e quello marxiano (questo è il contenuto che si darò inizialmente all'aggettivo comunista) non si abbeverano alla stessa sorgente né nascono con rivendicazioni identiche. Se l'uno rimanda ai principi e ai fatti del 1789 e all'illuminismo, l'altro al 1830, al 48 e al 71 (tutte rivolte presto fallite) e ai principi dialettici dell idealismo tedesco.
Dove Marx contestava i vari Saint-Simon, Blanqui, Proudhon, fisiocratici, programmi di Gotha e denunciava in tempo reale i limiti di un certo feticismo sindacale e statalista-democratico, Lassalle Kautsky ed Engels fondavano la socialdemocrazia tedesca.
Un po’ più tardi, le grandi pressioni pragmatiche che Lenin (non) riuscì a contenere nel periodo 1917-21 trovarono adeguata espressione nel avvento di Stalin.
Da questi due momenti in poi sinistra politica e epigoni marxiani sono paradossalmente assimilabili.
Mi sono note le influenze geo-politiche che hanno e hanno avuto peso nella storia nazionale ed europea, ma poiché quello che manca è una reale autonomia di pensiero ( e di classe o comunque di soggettività antagonista, in assenza della stessa), preferisco, lo prescrivo per me stesso, circoscrivere l'indagine al processo dialettico interno alla sinistra e al comunismo italiani ed europei del 900, intesi come ultimo momento formalmente antagonista alla saturazione capitalista.
Mi pare che l' oscillazione teorica e ideologica fra evoluzione socialdemocratica (socialista europea) o sovietica (comunista-stalinista) sia solo apparente: per l'Italia, a Yalta la determinazione di campo fu più che chiara, ma si decise (la "doppiezza" togliattiana) di non assumerla e renderla pubblica responsabilmente. Conseguentemente il "comunismo" del PCI da allora in poi fu solo un mito di mobilitazione delle masse, così insostenibile e sottile da essere presto sostituito da un altro falso, ma più concreto e mobilitante, antifascismo.
Falsa anche la concomitante opposizione fra economie: collettivismo stalinista e capitalismo privatista in declinazione socialdemocratica, sono polarità solo grossolanamente antagoniste, unite intrinsecamente dalla accettazione della stessa fenomenologia: merce, denaro, mercato, stato burocratizzato -oppure società civile statalizzata- come forme di sviluppo dinamico dell' accumulazione originaria, in assenza o in presenza controllata di concorrenza fra capitali.
La socialdemocrazia non è mai stata una terza via, sebbene fosse dal punto di vista effettuale più realistica: certo si accordava istantaneamente con le esigenze dell' esistente prassi sociale incentrata sul profitto, anche nei suoi momenti dialettici di monetizzazione sindacale del conflitto di classe.
Analizzando primariamente i processi interni, sociali ed ideologici di mutazione "antropologica" (Pasolini sbagliava: solo trasformazione/adattamento storico-sociale) dei vertici e, quelli qui trasurati, della base politica, evito di tirare in ballo la Cia, i persuasori occulti o i cedimenti etici interni: "l'eterno principio corruttore esogeno" che il pensiero di sinistra e comunista novecentesco, attorcigliandosi nella immancabile tautologia di marca moralista, ha l'abitudine fissa di evocare, impedisce così libere (e spregiudicate -perché lo richiede il momento, non per amore del velleitario) analisi critiche e sintesi politiche.
Direi, per riassumere, che in Italia le mendaci opposizioni dialettiche del secolo breve sono durate più a lungo che altrove, ma hanno trovato (la storia del PCI è esemplare) uno svincolo più rapido e assoluto una volta che la prassi sociale le ha definitivamente accantonate (storia ben riassunta da quella di Napolitano)
Per me bisogna proprio sbarazzarsi della sinistra e del comunismo novecentesco, in particolare delle immagini, della rappresentazione del conflitto di classe (lo ripeto: in assenza della classe e perciò del partito).
Dopo che non rimarrà pietra su pietra -uso volutamente la metafora evangelica- dell' edificio concettuale della sinistra e del comunismo novecentesco potremo, forse, se i tempi lo consentiranno, conservare-superare alcune categorie di quel pensiero.
No existen las clases sociales? Creo que deberias estudiar un poco. Sabes la diferencia de "en-sì" y "por-sì" Si no la conoces, dedicate a mirar la television, y a no decir sandeces.