Con rinnovato piacere vi propongo questo articolo di Nicola Dell’Oro. Buona lettura! A.G.
Dal II secolo a.C. fino alla caduta dell’impero mongolo la Via della Seta collegò i popoli eurasiatici dal Mar Giallo al Mare Nostrum istituendo così il primo modello di mercato globale. La Cina, nel XXI secolo, ambisce a riattivare questa rete commerciale con il progetto Belt and Road Initiative per affrontare la supremazia economica americana.
Un simile piano necessita tuttavia di solide alleanze e l’intesa con la Russia non è sufficiente. Nell’estremo opposto dell’Asia, la Turchia, a causa delle tensioni con Washington, cerca un nuovo partner strategico in grado di difenderla dalle minacce a stelle e strisce: se la Turchia farà qualcosa che, nella mia grande e impareggiabile saggezza, ritengo superi i limiti, io distruggerò totalmente e annienterò l’economia della Turchia (l’ho fatto prima!) – tweet di Trump del 13 gennaio 2019. Questo scenario geopolitico forgia così l’asse sino-turco.
L’Impero del Centro ha bisogno di uno Stato stabile, in grado di collaborare per la sicurezza dei traffici, ma soprattutto strategico per il collegamento al mercato europeo. La Turchia incarna perfettamente l’alleato ideale, può agire su tre quadranti diversi -Medioriente, Nordafrica ed Europa balcanica-, possiede un esercito capace di difendere le rotte commerciali ed è privilegiata nella cooperazione con le nazioni turcofone dell’Asia centrale, importanti zone di transito delle rotte commerciali della BRI. Xi Jinping, conscio dell’ingente apporto strategico che offre Ankara, negli ultimi anni ha quindi elargito innumerevoli aiuti economici all’industria turca più che mai vulnerabile, visto il tentativo in atto di emancipazione dalla Nato. Favori che però non sono gratuiti, infatti Pechino grazie ad essi ha imposto ad Ankara di ritirare le accuse sui trattamenti riservati agli uiguri e di non interferire con il controllo del Xinjiang, snodo vitale per le Nuove Vie Della Seta.
La Turchia d’altro canto non vuole diventare un proconsolato della Cina, per questo motivo la risoluta adesione alla Belt And Road Initiative è dettata da ragioni più profonde di semplici entrate nelle casse dello Stato. Il neo-ottomanesimo di Erdogan vede di buon occhio questa collaborazione con i cinesi poiché la possibilità di proiettare nell’Asia centrale il proprio softpower per salvaguardare i commerci eurasiatici permetterebbe di aumentare l’influenza negli Stan turcofoni, così da affermare la propria figura di guida della comunità turca mondiale. “One Road One Belt”, appellativo della BRI, per la Turchia identifica in questo modo la possibilità di stringere a sé potenziali alleati.
Frutto di questa visione strategica sono le infrastrutture finanziate per incrementare i legami economici con Kabul e Baku, le innumerevoli visite in Kazakistan e Turkmenistan e l’ingente potenziamento dei collegamenti con i Balcani. Inoltre il ruolo di giunzione tra il mercato asiatico, soprattutto energetico, e l’Europa consentirebbe alla Turchia di rafforzare la propria posizione nelle relazioni con il Vecchio Continente.
Xi Jinping bussando alla porta di Erdogan in cerca di un nuovo compagno per creare il “triangolo delle autocrazie asiatiche” – Pechino, Mosca e appunto Ankara- offre al sedicente erede di Ataturk l’opportunità di perseguire la strategia kemalista: stringere a sé le nazioni orientali per aumentare il potere negoziale da valorizzare al cospetto degli Stati europei. L’odio verso Washington ha partorito una nuova intesa e il progetto delle Nuove Vie Della Seta inevitabilmente potrà svilupparla.
Nicola Dell’Oro
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