Il negazionismo di Marattin sui tagli alla sanità: storia di una sporca operazione di propaganda liberale
di SIMONE GARILLI (FSI Riconquistare l’Italia Mantova) e GILBERTO TROMBETTA (FSI Riconquistare l’Italia Roma)
Luigi Marattin, attualmente deputato di Italia Viva, sta portando avanti in questi giorni la sua “campagna di verità” contro la presunta bufala dei tagli alla sanità pubblica.
In un’intervista per Huffington Post sostiene che non è corretto diffondere dati sui tagli dell’ultimo decennio, perché non sarebbero mai avvenuti. L’onorevole contesta in particolare i numeri di Walter Ricciardi, componente italiano dell’executive board dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nominato dal governo Gentiloni e consigliere del governo Conte II in questa fase di emergenza sanitaria.
Ricciardi per la verità non ha fatto altro che riportare in una trasmissione televisiva quanto si trova scritto nel 4° rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale della fondazione no profit GIMBE. A pagina II e 63 del rapporto si legge di tagli al fondo sanitario nazionale pari a 37 miliardi di euro nel periodo 2010-2019.
È da qui che Luigi Marattin inizia la sua battaglia, negando la validità del dato e sostenendo che, addirittura, la sanità pubblica nel decennio in esame sarebbe stata finanziata in aumento.
In effetti, ad un primo e superficiale sguardo, l’ostentata competenza dell’onorevole potrebbe ingannare. Marattin sbandiera un grafico ripreso dal sito ufficiale del Ministero della Salute in cui si può vedere la dinamica del fondo sanitario nazionale. Eccola:
Ora, sorvolando sul fatto che questa dinamica appare piuttosto fiacca, per non dire stagnante, negli ultimi dieci anni abbondanti, Marattin dimentica di ricordare che si tratta della spesa nominale, cioè non depurata dall’inflazione. In termini nominali (quasi) tutte le spese del bilancio pubblico tendono a salire, persino in anni di feroce austerità. Il valore che interessa per valutare il segno della politica economica è quello espresso in termini reali, sottraendo dal valore nominale l’aumento dei prezzi (inflazione). 100 euro di spesa sanitaria nel 2010 non comprano la stessa quantità di forza lavoro (medici, infermieri, tecnici) e di beni (dispositivi medici) di 100 euro di spesa sanitaria nel 2019, quando i prezzi nel frattempo sono aumentati del 10,7%. Innanzitutto, quindi, occorre fare attenzione alla spesa reale, e già si scopre che il fondo sanitario nazionale è decresciuto nel decennio in esame dello 0,17% medio annuo (0,9% di aumento nominale meno 1,07% di inflazione), pari all’1,7% nel decennio, pur essendo cresciuto di 8,9 miliardi di euro in termini nominali, quelli che interessano a Marattin (e solo a lui).
I tagli, quindi, ci sono stati, ma potrebbero sembrare contenuti a prima vista. In fondo l’1,7% nel decennio corrisponde ad una sostanziale stagnazione del fondo sanitario nazionale.
Il problema, tuttavia, è che la spesa sanitaria sconta altri fattori oltre all’aumento del prezzo del personale e dei beni e servizi che gli servono per funzionare. In particolare:
– l’invecchiamento della popolazione, particolarmente pesante in Italia, il secondo Paese nel mondo per tasso di persone anziane sopra i 65 anni dopo il Giappone;
– l’aumento del costo dei dispositivi sanitari, che sono beni ad alto contenuto tecnologico e di innovazione;
– la dinamica del prezzo dei farmaci, tanto più minacciosa quanto più aumenta la centralizzazione del capitale nel settore farmaceutico; in altri termini, più il settore farmaceutico tende a semplificarsi, riducendosi il numero di aziende e ingrandendosi la dimensione delle stesse in forza delle tendenze monopolistiche del capitale, più sarà difficile per il SSN contrattare prezzi favorevoli;
– l’aumento quantitativo e qualitativo delle patologie da curare, in particolare quelle croniche, dovute sia all’invecchiamento della popolazione che a stili alimentari e di vita spesso scorretti (le cosiddette “malattie del progresso”).
Per quanto riguarda quest’ultimo punto le autorità pubbliche si servono dei cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che vengono periodicamente aggiornati proprio per far fronte alle nuove patologie che il sistema sanitario è tenuto a coprire (non dimentichiamo mai l’articolo 32 della Costituzione, che al primo comma recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”)
È lo stesso rapporto Gimbe, in buona compagnia, a ricordarci come “a 30 mesi dalla pubblicazione del DPCM [Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri] sui nuovi LEA, gran parte delle nuove prestazioni ambulatoriali e protesiche non è ancora esigibile per mancata pubblicazione del “decreto tariffe” in ostaggio del MEF [Ministero dell’Economia e delle Finanze] per mancata copertura finanziaria”.
Tradotto: non ci sono i soldi per garantire la cura delle nuove patologie che sono state riconosciute a partire dal 2017.
Tralasciando per il momento il costo dei farmaci e dei dispositivi medici, su cui ci riserviamo futuri approfondimenti, anche l’invecchiamento della popolazione richiederebbe maggiori fondi, come è evidente guardando questa tabella Istat:
In sostanza, Marattin esclude dalla sua prospettiva tutti i fattori che giustificano un aumento della spesa sanitaria pubblica finalizzato NON ad una espansione del servizio, ma a mantenere il servizio sanitario nazionale su livelli quantitativi costanti e ad adeguarlo alle dinamiche demografica ed epidemiologica. Si tratta del minimo indispensabile per uno Stato avanzato e in ogni caso stiamo parlando di quanto richiede una Costituzione estremamente avanzata sotto il profilo dei diritti civili e sociali, cui gli italiani pare non abbiano nessuna intenzione di rinunciare.
D’altra parte a venire incontro al nostro ragionamento sono i documenti ufficiali del governo Monti, non certo un esecutivo che verrà ricordato per la sua carica populista. Il Ministro della Salute Renato Balduzzi, in una conferenza stampa del 2012 in cui presentava la Legge di Stabilità in corso di approvazione, riconobbe che nel quinquennio 2010-2015 il taglio del fondo sanitario nazionale rispetto al fabbisogno stimato precedentemente sarebbe stato di 25 miliardi di euro (nota 131 del IV rapporto Gimbe). La conferenza delle Regioni ribatté che il totale dei tagli ammontava invece a 30 miliardi. Considerando anche i tagli successivi al 2015 è facile ritrovarsi con i numeri del IV rapporto Gimbe diffusi da Walter Ricciardi, che parlano di 37 miliardi di tagli.
Marattin a questo punto risponderebbe che un mancato aumento non è un taglio, ma abbiamo ampiamente visto come considerare il valore nominale del fondo sanitario nazionale non ha alcun senso se poi non si approfondisce il ragionamento tenendo conto di tutti gli altri fattori, a partire dall’inflazione. Quando si tratta di finanza pubblica spesso un mancato aumento rispetto al fabbisogno stimato corrisponde concretamente ad un taglio, tanto più nel settore sanitario.
Ci teniamo però a raccogliere anche il terzo indizio, così da comporre la prova definitiva.
È chiaro che se il fondo sanitario nazionale fosse aumentato, come sostiene Marattin, il servizio sarebbe dovuto migliorare, in quantità o perlomeno in qualità. E allora perché tutti i dati riguardo ai posti letto, agli ospedali e al personale medico, infermieristico e tecnico dicono il contrario?
Leggendo lo studio Anao-Assomed pubblicato il 4 febbraio, il rapporto “Lo Stato della salute in Italia” pubblicato lo scorso dicembre dall’Ufficio parlamentare del bilancio, il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale della fondazione Gimbe, l’analisi del Centro studi della Federazione nazionale degli ordini degli infermieri (Fnopi) e La finanza pubblica italiana. Rapporto 2018, edito da Il Mulino, emerge che:
– gli ospedali sono diminuiti dai 1.165 del 2010 ai 1.000 del 2017: -14,6%;
– i posti letto si sono ridotti dai 244.310 del 2010 ai 211.593 del 2017: -16,2%;
– il numero di posti letto per 1.000 abitanti è passato dai 3,9 del 2007 (già sotto la media UE di 5,7) ai 3,2 del 2017. La Germania ne ha 8. Quasi il triplo. Ci mancano circa 70.000 posti letto. Quelli per acuti sono passati da 3,5 ogni 1.000 abitanti a 2.93 (-17%);
– abbiamo rinunciato a 42.888 lavoratori a tempo indeterminato tra il 2010 e il 2018, una riduzione del 6,2%. In alcune Regioni il taglio complessivo è stato del 16,3%. Le Regioni sottoposte a piani di rientro hanno dovuto ridurre personale medico e infermieristico rispettivamente del 18% e dell’11% tra il 2008 e il 2018;
– il numero di infermieri per 1.000 abitanti è di 6,5 contro gli 8,4 della media europea e i 12,9 della Germania. Mancano almeno 53.000 infermieri. In Campania ogni infermiere si deve fare carico di 17 malati. La media nazionale è di 11 pazienti per infermiere, quasi il doppio dei 6 pazienti per infermiere individuati in alcuni studi come la soglia che potrebbe ridurre del 20% il rischio di mortalità nelle corsie;
– l’età media dei medici è passata dai 43,5 anni del 2001 ai 50,7 del 2017, conseguenza del blocco del turn over;
– sono stati portati a termine 2 miliardi di euro di tagli al personale sanitario tra il 2010 e il 2018;
– abbiamo 2.545 euro di spesa pubblica pro capite per la salute contro i 5.289 della Norvegia e i 5.056 della Germania.
Sarebbe interessante vedere il “competente” Luigi Marattin arrampicarsi sugli specchi anche riguardo a questi dati, che per sua sfortuna non possono essere manipolati con giochini da economista di palazzo e che sono vissuti dai cittadini italiani ogni giorno sulla loro pelle.
Una volta che sarà finita l’emergenza sanitaria ed economica collegata al coronavirus, e saranno emersi in superficie i tragici effetti delle politiche di austerità euro-vincolate, non dimentichiamoci di chi ancora oggi nega la realtà, dipingendo un mondo di fantasia nel quale tutti i problemi dei servizi pubblici sono dovuti all’inefficienza dello Stato e di chi ci lavora, invece che alla cura da cavallo di matrice neoliberale a cui sono stati sottoposti.
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