Rino Formica boccia Conte: “Potrebbe gestire una fiera del bestiame. Stati Generali farsa circense”
di IL RIFORMISTA (Umberto De Giovannangeli)
«Siamo giunti a un punto di saturazione storica del potere costituito che non potrà mai essere potere costituente». È una lezione di storia e di politica, di passione civile e lucidità intellettuale, quella che viene da un signore di 93 anni, uno degli ultimi “Grandi vecchi”, e grandi per statura politica e non per anzianità acquisita, della politica italiana: Rino Formica. Dar conto di tutti gli incarichi di primo piano, di governo – ministro delle Finanze, dei Trasporti, del Commercio con l’estero, del Lavoro e della Previdenza sociale – e di partito, che il senatore Formica ha ricoperto, prenderebbe tutto lo spazio di questa intervista. A dar forza ai suoi ragionamenti, ai sui giudizi sempre puntuali e taglienti, non è il suo cursus honorum, ma quel mix, un bene oggi introvabile sul mercato della politica italiana, di sentimenti e di ragione che Formica offre ai lettori de Il Riformista.
Senatore Formica, in una intervista a questo giornale, Giovanni Maria Flick, che è stato ministro di Grazia e Giustizia nel 1996, chiamato a questo importante incarico da Romano Prodi, oltre che trentaduesimo presidente della Corte Costituzionale, ha affermato, dolente: «Che pena e che tonfo questa magistratura dilaniata da faide interne». E questo nel mezzo della bufera del Palamara-Gate. La storia si ripete?
La storia si ripete nel senso che quelle che erano delle registrazioni è ciò che si ricava grazie alle tecnologie attuali. C’è da domandarsi: ma quando non c’erano queste tecnologie, queste cose avvenivano o no? Qui mi sovviene una cosa: nel 1991, il ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, scrisse una lunga lettera, oltre tre pagine, al presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, in cui denunciava che nel Consiglio Superiore della magistratura, tutto era ferocemente lottizzato e che l’Associazione Nazionale magistrati gestiva quello che poi è emerso dalle registrazioni attuali. Qui nasce un problema serio, che mi pare essere l’intenzione difensiva di Palamara: in sostanza, tutto avveniva da sempre e tutto era a conoscenza di tutti e tutti coloro che all’interno della magistratura volevano concorrere a ricoprire incarichi direttivi, avevano perseguito e perseguono le strade del comparaggio associativo. Ma qui la questione si fa più grave, molto più grave…
E da cosa nasce questa gravità?
Dall’atteggiamento di Palamara, che non sostiene, per ipotesi, che tutti non potevano non sapere, ma che tutti sapevano. A questo punto si pone un problema che investe l’intero corpo istituzionale del Paese. Ma senza una rivoluzione, si potrà mai fare questo processo? Siamo giunti a un punto di saturazione storica del potere costituito che non potrà mai essere potere costituente.
E in tutto questo, che ne resta della sinistra?
Niente. Perché se si guarda bene, nell’attuale farsa da circo equestre degli “Stati generali” si esibiscono forze politiche, di governo e di opposizione, che non hanno una vita democratica interna. Tre donne in Europa – la cancelliera tedesca Angela Merkel, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – hanno con un colpo solo distrutto la democrazia diretta e la piattaforma Rousseau dei 5 Stelle. Hanno demolito l’entrismo governativo opportunistico dei post-comunisti e dei post-democristiani e hanno liquidato la rumorosa combriccola sovranista del centrodestra a guida Salvini. Ora, ma davvero c’è qualcuno che non ha portato il cervello all’ammasso e che mantiene un minimo di decenza intellettuale, che possa sostenere che una confusa parata di gitanti post segregazione virus, possa tirar fuori un piano di stabilità politica da presentare all’Europa, per realizzare riforme che richiederebbero un periodo di tempo dai 10 ai 15 anni? Si tratta di un arco temporale che copre almeno due legislature, quando non si riesce a far previsioni sulla vita di un governo per i prossimi 10-15 giorni. Questo è il punto.
Un punto che chiama in causa un deficit di leadership politica?
Non è la leadership politica che manca, fosse solo questo… Quello che manca davvero è il pensiero politico. Vede, la tradizione occidentale dice che la vita politica delle nazioni era regolata da forze politiche in concorrenza tra di loro, sulla base di serrati confronti di dottrina e di prassi nel realizzare prospettive storiche non sovrapponibili. In Italia la sbornia dello splendido ed isolato isolazionismo sovranista, avrebbe virtuosamente ed automaticamente gestito il progresso della nazione. Tutto questo era sufficiente per coprire la pigrizia mentale di classi dirigenti raccattate alla men peggio. Ma davvero pensiamo di poter affrontare le immani sfide del presente senza un pensiero forte, e critico, in grado di misurarsi con una rottura, già avvenuta e resa ancora più deflagrante dalla crisi pandemica, dell’ordine istituzionale, politico, economico e sociale, sia nella dimensione nazionale che in quella globale? Chi lo pensa, e magari ha anche responsabilità di governo, è pericoloso per sé e per gli altri.
Senatore Formica, ciclicamente si torna a parlare, scrivere, evocare, denunciare i “poteri forti”. Ma a cosa si vuole alludere?
Ci sono poteri forti extranazionali che svolgono la loro pressione sulla realtà nazionale, ma non sono affezionati a occuparsi in eterno dei guai di questo Paese, e quindi sono poteri che a un certo punto potrebbero anche disinteressarsi dell’Italia. Quanto ai poteri forti nazionali, residuali, sono Eataly di Farinetti, l’associazione degli albergatori e il sindacato dei bar e dei ristoranti… Francamente mi pare troppo poco per affidare a questi il potere sostitutivo delle istituzioni democratiche per far volare in Europa le ragioni di un grande Paese.
Ad alludere a poteri forti che tenterebbero di minare il cammino del governo da lui presieduto, è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Come lo definirebbe?
Un mediatore operoso, vicino alla figura del sensale.
E questo “mediatore operoso” può reggere un governo alle prese con la crisi pandemica e le sue pesanti ricadute economiche e sociali?
Può reggere in una fiera del bestiame.
Lei ha attraversato la sua lunga e impegnativa vita politica nel campo del socialismo. italiano. Le chiedo: socialismo, è oggi ancora una parola pronunciabile?
Si, è pronunciabile ma a una condizione: che i socialisti, quelli che restano dei vecchi e quelli che, giovani, vogliono abbracciare i vecchi ideali, la smettano di fare lunghi discorsi sulla distruzione del Partito socialista da parte dei suoi avversari, di destra e di sinistra, e comincino a ragionare sul perché nel ‘92-’96 non vi fu una resistenza socialista.
Ora con tutto l’amore ed il rispetto del mondo ma prendere in considerazione le affermazioni di un novantatreenne che spara a zero sulla politica attuale ma che “quando governava lui” i governi duravano si e no un anno ed erano tutti incentrati alla spartizione del potere nascosta da riflessioni politiche anche interessanti ma di spartizioni si finiva per parlare è, almeno secondo me, abbastanza surreale