di LUCA RUSSI (FSI-Riconquistare l’Italia Arezzo)
Vedo che per qualcuno, più spaventato di morire di covid che di morire di fame forse non è ancora chiaro, proverò ad essere più diretto. Le associazioni di categoria parlano di rischio di chiusura entro l’anno per decine e decine di migliaia di imprese, e oltre a tutto ciò, non so se siete al corrente che in questo paese (soprattutto al sud) c’è tantissima gente costretta a lavorare al nero: quelli per le statistiche non esistono, ma si materializzeranno come d’incanto per darvi una botta in testa e rubarvi il carrello della spesa.
La tempesta virale lascerà il posto ad un uragano sociale, e questo esattamente perché ci si rifiuta di capire cosa le misure del governo stanno provocando nel Paese, ed anche perché si continua a dare credito alle fandonie che ci hanno raccontato per anni. E pensare che in fondo una soluzione a portata di mano ci sarebbe già: intervenire immediatamente con aiuti a pioggia, pagare le casse integrazioni, sospendere il pagamento di tasse e contributi, insomma spendere.
Se fossimo governati da gente normale, infatti, e non da cagasotto servi delle banche d’affari internazionali, si prenderebbe atto che il deficit all’11,2 per cento (l’anno scorso era al l’1,6) non è più un motivo valido per le agenzie di rating per declassarci, e che…oplà, all’improvviso lo spread non costituisce più un problema, il Re è nudo, e per giunta nessun carrarmato germanico è stato segnalato al Brennero per questo.
Ne discende che potremmo continuare ad emettere serenamente i nostri titoli di stato ad interesse negativo (
come è avvenuto per la prima volta il 3 ottobre), fottercene una buona volta dei vincoli europei e delle cassandre unioniste e spendere e spandere in un momento in cui (“grazie” al covid) si è aperto uno spiraglio per poterlo fare in tutto il mondo, Unione compresa, in modo da poter tornare ad assumere medici e operatori sanitari, comprare in attesa del fantomatico vaccino tutto quello che ci può servire per fronteggiare l’emergenza (attrezzature, mascherine, fossero anche dosi su dosi di Redemsivir – o può usarlo solo Berlusconi? No, perché pare che al San Raffaele fino a poco tempo fa si trovasse, ma negli ospedali calabresi purtroppamente no), ed infine – ultimo ma non per importanza direbbero gli inglesi – venire in aiuto di chi perde il lavoro o la propria attività, disinnescando il pericolo di approfondire il solco aperto dalle divisioni manichee tra i “più” e i “meno assistiti”, magari.
Ecco, forse in questo modo si affronterebbe meglio l’emergenza sanitaria, si scongiurerebbe quella sociale, e si terrebbe unito il Paese. Ma non lo si vuol fare, si preferisce soffiare sulla paura e sulle divisioni, perpetuando la favoletta che “solo l’Europa ci può salvare” (lei che non ci ha permesso neppure di sospendere le imposte per le aziende delle zone terremotate, perché sarebbero state «aiuti di Stato»). E allora buona tempesta, ma non illudetevi troppo: “per quanto voi vi crediate assolti, sarete lo stesso coinvolti”.
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Il redattore dell’articolo intravede uno scenario indubbiamente molto probabile, specie nelle regioni meridionali, dove nel 2021 non è azzardato prevedere moti di piazza e altissimo scontro sociale, anche alla luce di quanto è successo pochi giorni fa a Napoli.
Tuttavia, una cosa è chiedersi se i moti siano probabili, altra cosa se questi moti saranno o meno funzionai al cambiamento politico che il redattore dell’articolo in qualche modo preconizza.
La risposta è facile: NO.
Tutto quello che avremo di fronte sarà solamente l’urlo disperato di chi in questo sistema è dalla parte sbagliata e protesta perché vorrebbe essere dalla parte giusta.
Non sarà assolutamente la conseguenza di un processo di comprensione delle caratteristiche del sistema, men che mai una ribellione tesa al superamento degli attuali equilibri verso altri, nuovi e migliori.
Qualche mese fa le proteste per il prezzo della benzina in Francia o quelle per la chiusura degli stabilimenti Ilva a Taranto; oggi per le chiusure e le “zone rosse”. Tutte queste proteste, spesso assolutamente giustificabili e condivisibili, hanno in comune l’ambito ideale ristretto, la povertà valoriale, l’assenza della visione complessiva, la finalità di breve termine, l’obiettivo personale, la carenza di analisi.
Se ci pensiamo bene, queste ribellioni altro non sono che l’ennesimo sintomo della totale vittoria neoliberista. Il pensiero unico liberista permea completamente il circuito mediatico e le menti delle persone e non dà spazio a nessuna alternativa possibile.
Il punto centrale è questo: non esiste nelle menti delle persone, anche quelle che protestando mettono in risalto le contraddizioni del sistema neoliberista, alcun progetto alternativo, alcuna idea di superamento dei sistemi vigenti.
Coloro che protestano, indirettamente affermano che il sistema che ha prodotto quelle difficoltà è per loro desiderabile e senza alternative; limitandosi ad esprimere il loro dissenso solo sulla distribuzione della ricchezza ma non sulla struttura nel suo insieme, ne attestano la validità.
Detto in maniera più rozza, ma efficace, non si esprime una battaglia tesa ad un interesse collettivo ma unicamente mirata alla soluzione del proprio disagio individuale.
Questo è il punto, questo è il reale dramma.
Più in dettaglio, quale tipo di protesta dobbiamo aspettarci?
Non è difficile preconizzare che saranno proteste che nasceranno sui social networks, dove monterà la rabbia, probabilmente nascerà qualche capo popolo, si incardinerà un processo di odio sociale reciproco.
Pensa forse il redattore dell’articolo, che al momento in cui questi moti esploderanno, sarà possibile indirizzarli verso una protesta nei confronti della UE, della perdita della moneta sovrana e della mancanza di una banca centrale nazionale autonoma?
Quando esploderanno, i moti saranno incontrollabili e probabilmente violenti, colpiranno in maniera indiscriminata e senza alcuna logica. Forse si indirizzerà verso l’immigrazione piuttosto che nello scontro nord-sud., chi può saperlo..
Di certo non avranno contenuto politico. Certamente non avranno una base culturale e ideologica.
Per averla, le forze politiche coscienti di quanto stava per accadere, avrebbero dovuto fare un’azione di propaganda culturale. Un’azione di spiegazione persona per persona dell’alternativa possibile. Un’azione che avrebbe dovuto fin dall’inizio eliminare i social networks come strumento di canalizzazione delle idee.
Infatti, i social rappresentano il perfetto veicolo del messaggio neoliberista. Su Facebook o Twitter ognuno può liberamente esprimere la propria individualità in competizione con gli altri.
Come nel campo economico, anche nella comunicazione, sui social vale lo stesso principio: tutti contro tutti. I social altro non sono che l’espressione dell’individualismo estremo, dell’affermazione e del tentativo di supremazia di ognuno sugli altri.
Ovviamente tante piccole voci insieme non generano che confusione e soprattutto non generano mai un’idea alternativa al liberismo. Al contrario, ne fortificano l’ideologia attraverso l’idea che ognuno può “liberamente” esprimere la propria opinione.
I “social” sono l’esatto opposto dell’organizzazione di un pensiero alternativo perché l’esaltazione dell’individuo, del proprio io, è in antitesi con la costruzione di una società in cui ci siano diritti legati all’essere umano.
Se ci pensiamo bene i social sono l’esatto opposto della politica.
Quello che stupisce è l’evidente corto circuito fra il desiderio di talune formazioni politiche di costruire un pensiero alternativo e l’uso di mezzi che per loro stessa natura non possono supportare un disegno del genere. Proprio coloro che combattono il sistema liberista utilizzano mezzi graditi all’avversario.
Non brillano per capacità strategica e comunicativa coloro che, pur propugnando idee anti-liberiste, utilizzano come campo di battaglia quello gradito all’avversario. I nemici del liberismo fanno la guerra alla globalizzazione con i like ed i tweet.
In questa miopia si distingue il Comitato Direttivo di FSI che, al contrario, prosegue nell’utilizzazione dei social networks come strumento prevalente di comunicazione.
Basterebbe uno sguardo al recente passato per capire quanto sia sbagliata tale scelta.
Se i partiti della “prima repubblica” disponevano di sezioni, cellule, case editrici, ………… Se i partiti si occupavano della vita dei propri iscritti con patronati, sindacati, parrocchie, ecc.. un senso c’era.
Il senso è che è necessario “formare” le persone, non a colpi di tweet o di ridicole litigate sui social ma entrando nella vita sociale delle persone.
Quando i partiti anti-liberisti, e fra questi FSI, avranno chiaro questo concetto sarà possibile guardare ai futuri moti di piazza con ottimismo.
Ora, purtroppo, anche a causa degli errori strategici che prima delineavo, i moti saranno esclusivamente prodromici a qualche “governo forte” che è sicuramente già scritto nel futuro dell’Italia.
Cordiali saluti al redattore dell’articolo ed a tutti i lettori della rivista.
Quando sento questo, (in materia monetaria) capisco che anche questo partito è prono al potere economico.
Del resto dire due semplici parole… STAMPIAMO NOI..
nn ci sentono proprio… esattamente come gli altri partiti politici.
CHE SCHIFO.
Orazio, i titoli di stato se si tornasse in possesso di sovranità monetaria (e dunque di un sistema finanziario nazionale) sono, assieme ad altri strumenti come lo scoperto di conto corrente del Tesoro o la riserva obbligatoria tutti strumenti con cui lo Stato di fatto “stampava” e si finanziava, tanto più che con inflazione più alta di quella attuale gli interessi reali chedovevamo ripagare erano negativi.
Se vuoi saperne di più a questo riguardo, ti consiglio di leggere il nostro programma, c’è un documento specificamente dedicato a questo argomento.
Diego Muneghina, i social sono solo un mezzo con cui noi entriamo in contatto con i simpatizzanti, alcuni dei quali poi si iscrivono e vengono in carne ed ossa alle nostre iniziative, recentemente io stesso ne ho conosciuti tre in piazza con cui per molto tempo avevo avuto rapporti solo tramite i social, appunto. Sul tema delle strutture territoriali mi trovi d’accordo, io sono dell’idea che per cresccere i gruppi territoriali si devono strutturare, partendo da quelli cittadini e provinciali, a livello regionale ha poco senso quando si è ancora pochi.
Sulle mobilitazioni: certamente allo stato attuale sono caratterizzate da frammentazione e settorializzazione relativamente alle diverse categorie che via via scendonoin piazza, e nessuna analisi né progettualità: sta a noi andare, farci conoscere ed apprezzare per il nostro punto di vista e le nostre idee, ed acquisire visibilità, chiamarsene fuori sarebbe un errore. Ma sappiamo bene che non sarà sufficiente fare quello, del resto non abbiamo mai pensato che la nostra azione si sarebbe dovuta limitare a quello, noi lavoriamo con la consapevolezza che la prospettiva dev’essere necessariamente lunga